E’
l’ultima mostra del Museo Nazionale Alinari della Fotografia, così come
l’abbiamo conosciuto. Il Museo, inaugurato nel 1985 dall’allora presidente
della repubblica Sandro Pertini presso l’ospedale di San Paolo in Piazza Santa
Maria Novella a Firenze, il prossimo 30 aprile entrerà nella Notte Bianca
fiorentina come M.N.A.F. e ne uscirà come parte integrante del nuovissimo Museo
del Novecento, il complesso con cui il sindaco Matteo Renzi ha dichiarato di
voler rilanciare la corretta fruizione dell’Arte non solo a Firenze ma in tutto
quel paese che un domani potrebbe trovarsi a governare.
Il
vecchio Alinari dunque chiude in bellezza con la mostra dedicata ad un grande
artista di quel Novecento. Un artista che per dar vita alla sua arte usava uno
strumento tipico del mondo moderno, la macchina fotografica. Endre Erno
Friedmann era nato in Ungheria nel 1913 e aveva dovuto abbandonarla ancora
adolescente perché le sue idee filocomuniste e le origini ebraiche l’avevano
reso inviso al governo di estrema destra insediatosi in quel paese dopo la
Prima Guerra Mondiale. Emigrato in Germania e da qui dopo l’avvento del Nazismo
prima in Francia e poi negli Stati Uniti, aveva incontrato dapprima la
fotografia e quindi adottato il nome d’arte con cui sarebbe diventato famoso in
tutto il mondo in segno di omaggio al suo regista cinematografico preferito,
Frank Capra.
Come
Robert Capa, divenne ben presto
famoso per i suoi reportage fotografici dai luoghi del mondo dove si faceva la
storia, negli anni terribili in cui i dittatori la scrivevano con il sangue di
milioni di persone. Nel 1936 la storia si faceva nella Spagna sconvolta dalla
Guerra Civile scoppiata per la sollevazione di Francisco Franco contro il
governo del Fronte Popolare di sinistra. Con le sue foto riuscì a trasmettere
al mondo intero l’esatta dimensione e la profonda emozione di quanto stava
avvenendo come pochi reportage scritti furono in grado di fare.
La
foto del miliziano colpito a morte dai franchisti divenne l’emblema della
Guerra di Spagna al pari di Guernica
di Pablo Picasso o di Per chi suona la
campana di Hernest Hemingway. Alla fine di quella guerra, la Spagna era
passata con Franco vittorioso nel campo delle dittature, Capa invece passò
negli Stati Uniti in cerca di una sopravvivenza che nemmeno la sua fama
mondiale in Europa poteva più assicurargli.
Nel
luglio 1943 Robert Capa era in Sicilia a documentare per la rivista Life lo sbarco anglo-americano che mise
l’Italia fuori dalla guerra. A Palermo, avrebbe raccontato, “lungo il percorso verso il centro della
città la strada era fiancheggiata da decine di migliaia di siciliani in delirio
che agitavano fazzoletti bianchi e bandiere americane fatte in casa con poche
stelle e troppe strisce. Avevano tutti un cugino a Brook-a-lee". Ero stato all'unanimità riconosciuto come
siciliano dalla folla in festa”.
La celebre foto del soldato americano e del contadino siciliano |
Quasi un anno dopo, il 6 giugno 1944 era ad Omaha
Beach nella prima ondata verso la testa di sbarco più sanguinosa di tutta l’Operazione Overlord, lo Sbarco in
Normandia. Furono poche le sue foto sopravvissute a quella giornata terribile e
decisiva, ma documentano efficacemente tutta la drammaticità del D-Day. Era un
temerario per quanto era grande come fotografo Robert Capa, e al momento di
attraversare il Reno per lanciare l’assalto finale alla Germania l’esercito
americano lo annoverò fra i paracadutisti che si lanciarono avanti alla
fanteria. Invece del Garand M1 d’ordinanza lui aveva la sua fotocamera 35 mm con cui produsse
l’ennesimo reportage d’eccezione.
A un uomo così non poteva bastare dopo la guerra
di aprire a Parigi l’agenzia fotografica più famosa del mondo, la Cooperativa Magnum, insieme a Henri
Cartier-Bresson e altri mostri sacri di quell’arte. Né di essere arruolato
nientemeno che da Alfred Hitchcock o John Houston come fotografo di scena in
alcuni dei loro più celebri capolavori. Robert Capa andava dove c’era pericolo,
perché era lì che si scriveva la storia.
Quando scoppiò la Prima Guerra di Indocina,
quella al termine della quale il Vietnam ebbe l’indipendenza dalla Francia, Capa
corse laggiù, aggregandosi alle truppe coloniali francesi. La fortuna gli
presentò il conto il 25 maggio 1954
a Thai Bihn nei pressi di Hanoi, allorché mise il piede
su una mina antiuomo. La Francia aveva già perso ormai la sua colonia dopo la
rovinosa sconfitta di Dien Ben Phu. Il mondo perse il suo più grande artista
della macchina fotografica.
Gli Alinari si apprestano a confluire nel grande
Museo del Novecento celebrando il più grande fotografo del Novecento dal 10
gennaio al 23 febbraio 2014. La mostra presenta 78 foto in bianco e nero
scattate durante la Campagna d’Italia tra il 1943 ed il 1944.
“Capa sapeva che cosa cercare e che cosa farne
dopo averlo trovato. Sapeva, ad esempio, che non si può ritrarre la guerra,
perché è soprattutto un'emozione. Ma lui è riuscito a fotografare
quell'emozione conoscendola da vicino.” (John Steinbeck).
“Uno dei desideri più forti del fotografo di
guerra è quello di rimanere disoccupato. Non è sempre facile stare da un lato e
non essere capace di fare altro che documentare la sofferenza intorno a sé”
(Robert Capa).