Quando si arrese nella primavera
del 1974, circa 30 anni dopo la sconfitta del suo paese nella Seconda Guerra
Mondiale, Hiroo Onoda fu sbrigativamente rubricato come uno degli ultimi
esemplari di quel fanatismo portato alle estreme conseguenze che aveva condotto
il mondo sull’orlo della catastrofe, quando l’ottusità nipponica e prussiana
avevano preso il sopravvento impadronendosi delle menti e dei cuori di popoli
altrimenti civili e avevano incendiato e devastato quasi ogni angolo del
pianeta.
Nel 1944, il Giappone imperiale
sentiva avvicinarsi la sconfitta, anche se non lo ammetteva esplicitamente a se
stesso. Gli americani si erano ripresi rapidamente da Pearl Harbor e dopo tre
anni stavano riconquistando tutto il Pacifico con la tecnica del “salto della
rana”, da un’isola all’altra, e avvicinandosi pericolosamente alla madrepatria.
Lo stato maggiore nipponico ricorse al tipico espediente della disperazione:
infiltrare dei guerriglieri dietro le linee nemiche per compiere azioni di
disturbo che ne rallentino l’avanzata.
Hiroo Onoda era stato addestrato
per quello a Nakano, la scuola dei soldati fantasma. Fu spedito a Lubang, nelle
Filippine, ad unirsi ai guerriglieri che avrebbero dovuto colpire alle spalle
gli americani. Ma questi ormai correvano in discesa. Nel febbraio 1945 un
attacco massiccio statunitense annientò il commando giapponese. Ne rimasero
tre, tra cui Onoda, che decisero di mantenersi fedeli agli ordini e continuare
una guerra personale. Il Giappone firmò la resa il 2 settembre di quell'anno
nelle mani del generale McArthur, a bordo della corrazzata Missouri alla fonda
nella baia di Tokyo. Il figlio del sole, l’Imperatore Hirohito, fu costretto a
rinunciare alle sue pretese divine e a ordinare al suo popolo di riconvertirsi
alla democrazia ed al mondo moderno, anche sulla spinta non indifferente delle
due bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki. Nessuno si preoccupò sul
momento dei fantasmi rimasti su alcune isole del grande oceano a coltivare il
loro sogno estremo di fedeltà agli ordini ricevuti.
Poi, quando le popolazioni locali
segnalarono diversi incidenti causati da questi guerriglieri che si mantenevano
razziando e sparando, le autorità si posero il problema di individuarli e
catturarli. I due compagni di Onoda furono abbattuti tra il 1954 ed il 1972.
Nel frattempo, Onoda era stato dichiarato legalmente morto in Giappone, salvo
poi essere fatto oggetto da una campagna finalizzata a ritrovarlo e a convincerlo
ad arrendersi che coinvolse il padre, la sorella e tutta la famiglia. Alla
fine, fu il vecchio maggiore Taniguchi, il suo ex comandante, a convincerlo.
Onoda tornò in patria dopo 30 anni, accolto come un eroe dal governo del
Giappone democratico.
E’ morto pochi giorni fa, a 91,
dopo aver vissuto la seconda parte della sua vita come cittadino brasiliano. Il
Giappone moderno era troppo per lui, non vi si riambientava. Il suo libro di
memorie No surrender, i miei trent’anni
di guerra, diventò un bestseller mondiale. Ha finanziato una scuola per
bambini in Giappone e ha donato 10.000 a una scuola elementare a Lubang,
l’isola che per trent’anni aveva terrorizzato come fantasma. Se n’è andato
portandosi via il record di penultimo soldato nipponico ad arrendersi. L’ultimo
era stato, a fine 1974, Teruo Nakamura, scoperto e arrestato a Taiwan ma morto
pochi anni dopo per un cancro ai polmoni. Era sopravvissuto a una guerra
mondiale e a trent’anni vissuti come Tarzan, ma non aveva retto di fronte al
vero male del XX° secolo.
Pochi giorni prima di Natale se
n’è andata un’altra figura controversa e singolare del secolo delle guerre
mondiali. L’ex generale dell’Armata Rossa Mikhail Timofeevic Kalashnikov era un
eroe dell’Unione Sovietica. Figlio di contadini siberiani, aveva 22 anni quando
Hitler attaccò il suo paese con l’Operazione Barbarossa e per poco non lo mise
in ginocchio, a causa della testardaggine con cui Stalin si rifiutò di credere
ai rapporti delle spie che lo mettevano sull’avviso e delle purghe che avevano
decimato i quadri degli ufficiali superiori della stessa Armata Rossa. Fu
ferito in combattimento nell’ottobre 1941 e quindi destinato alle retrovie, a
Mosca, dove gli fu affidata la progettazione dei carri armati. Il breve tempo
trascorso al fronte gli era stato sufficiente per constatare l’impreparazione
dei soldati russi, soprattutto nel campo degli armamenti. Qualche burocrate di
partito di cui la Russia comunista sembrava pullulare aveva deciso poco prima
della guerra che le armi a ripetizione non si confacevano all’esercito
sovietico.
Ci mancò poco che i nazisti
facessero un sol boccone dell’Unione Sovietica. La Grande Guerra Patriottica
finì bene per l’U.R.S.S., malgrado 22 milioni di morti che avrebbero potuto
essere evitati con una migliore preparazione. Fu nell’immediato dopoguerra e
nell’insorgere della nuova Guerra Fredda con gli U.S.A. che Kalashnikov dette
il suo contributo alla sicurezza del suo popolo e del suo regime, dando i
natali al fucile a ripetizione che da allora avrebbe portato il suo nome e
sarebbe diventato il più famoso – e utilizzato - del mondo. L’AK 47 (Avtomat Kalašnikova obrazca 1947 goda)
fu subito adottato dall’Armata Rossa nei mesi in cui
questa si disponeva ad affrontare un nuovo letale nemico, l’esercito americano.
LA carriera di Kalashnikov non
ebbe più limiti, anche se non gli fu permesso di brevettare la sua invenzione,
né tantomeno di sfruttarne i diritti d’autore. Eugene Stoner ha guadagnato un
dollaro per ogni fucile M16 venduto all’esercito americano. Kalashnikov era
destinato ad avere altre soddisfazioni, non certo quelle economiche che il
sistema sovietico non consentiva. L’AK 47 conquistò un mercato vastissimo.
L’arma era fatta apposta per diventare la preferita di eserciti, guerriglieri,
terroristi e manovalanza della criminalità organizzata di tutto il mondo:
costruita per funzionare alla perfezione alle temperature estreme del
territorio russo, era di facile utilizzo ed ancor più facile manutenzione. Non
precisissima, ma in fondo doveva sparare a raffica, e peraltro non si inceppava
mai.
Il vecchio soldato che ha
contribuito all’arte della guerra con un ordigno di pari importanza a quello
messo a punto a Los Alamos da Oppenheimer e gli altri scienziati del Progetto
Manhattan, se n’è andato a 94 anni a Izevsk, la sua città natale divenuta nel
frattempo la capitale della repubblica di Udmurtia, una delle tante nate dal
disfacimento dell’Unione Sovietica. Il generale non ha mai avuto dubbi sulla
sua creatura: fu creata per difendere la sua patria, e pazienza se è finita e
finisce tutt’ora in mano ai peggiori delinquenti e farabutti.
Nel 2002, aveva ricevuto i
complimenti più graditi proprio da colui che aveva creato il prodotto che si
era rivelato il concorrente più formidabile del suo AK 47. L’israeliano Uzi
Gal, inventore dell’omonimo fucile, gli aveva confessato: “Lei è il più
ineguagliabile e competente costruttore di armi”. L’U.R.S.S. ha perso la Guerra
Fredda, ma il suo fucile a ripetizione ha vinto tutte le sue sanguinose
battaglie.
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