Flavio Pietro Sabbazio
Giustiniano, imperatore romano d'oriente, è passato alla storia come Giustiniano
il Grande per tanti motivi. Per essere stato il promotore di una vera e propria
età dell'oro dell'impero romano superstite, quello orientale, ultimo sovrano di
lingua e cultura latina e primo monarca di ispirazione greco-bizantina; per
aver dato a Bisanzio-Costantinopoli l'impronta architettonica poi conservata per
tutto il periodo imperiale fino alla conquista ottomana, e anche oltre, a
cominciare da quel capolavoro che è Hagia
Sophia, una delle meraviglie del mondo; per aver tentato con qualche
successo di riunificare l'Impero Romano dei secoli gloriosi riconquistandone la
parte occidentale caduta in mano ai Barbari. Ma soprattutto per aver perso la
pazienza di fronte a quella babele che era diventato ai suoi tempi il diritto
romano per la proliferazione di norme sempre meno coerenti e più
particolaristiche nei secoli della decadenza.
Nel 535 d.C. Giustiniano
consegnò al mondo antico il suo Corpus Iuris Civilis, la risistemazione della giurisprudenza
greco-romana in un unico Codice, talmente ben costruito da arrivare ai giorni
nostri come la base del codice civile e penale moderno. Nelle Facoltà di Legge
si venera tutt'oggi Giustiniano come uno dei padri del Diritto, perfino in un
paese come l'Italia che da sempre ambisce ad essere considerata di quel Diritto
come la Madre. Tuttavia, il codice giustinianeo è rimasto nella storia malgrado
fosse la celebrazione formale di una battaglia persa. Non fu un caso che bizantinismo nacque allora – in omaggio all'antico nome della capitale
imperiale - come termine per designare un modo contorto di concepire politica,
diritto e in ultima analisi viver civile.
Il diritto moderno si è
sviluppato sugli effetti di una schizofrenia. Da una parte l'impianto culturale
di una grande civiltà, quella romana, famosa soprattutto nella storia per aver
dato ai popoli del mondo allora conosciuto e a venire la nozione stessa di Legge. Dall'altra la prassi distorta di una società precipitata
negli intrighi di corte, nell'applicazione dell'unica legge sostanziale
sopravvissuta di fatto ai Secoli Bui, quella del più forte, e resa appunto
schizofrenica dalla necessità di trovare comunque una giustificazione morale,
filosofica e religiosa a quello stato di natura retrocesso ai primordi, quello
che fu definito dal grande filosofo inglese Thomas Hobbes dell'Homo Homini Lupus.
Questa lunga premessa è la
concessione di chi scrive al tentativo di nobilitare con un fondamento storico l'ultima
azione di un organo - di rango addirittura costituzionale - che a voler essere
meno indulgenti (come il momento storico per la verità richiederebbe) si
potrebbe definire una violenza carnale al diritto così come ce lo avevano
consegnato i nostri antichi e gloriosi predecessori. Oltre che uno spregio al
popolo sovrano a guardia della cui Carta Costituzionale, la fonte principale
del diritto, sarebbe stata posta da dei costituenti assai fiduciosi.
Con sentenza n. 1 del 2004
la Corte Costituzionale ha reso pubbliche le motivazioni con cui ha messo fuori
dell'ordinamento giuridico italiano la legge n. 270 del 2005, quella che
conosciamo volgarmente - in tutti i sensi - come Porcellum, secondo la stessa
definizione datane dal proponente, il senatore leghista Calderoli.
E' stata la legge
elettorale con cui sono stati eletti gli ultimi tre Parlamenti, e non è cosa da
poco per un popolo venire a sapere una bella sera che si è trattato di
assemblee illegittime, incostituzionali. Non c'è alcun motivo per rimpiangere
una siffatta legge, si badi bene. Ma è il modo di questa Corte – per dirla con
il Manzoni – che ancor offende.
Una bella sera di due mesi
fa, tanti ne sono passati, erano i giorni successivi alla decadenza di
Berlusconi da senatore (nessuno annusa l'aria che tira più di un magistrato di
lungo corso) e antecedenti all'elezione di Matteo Renzi il rottamatore a
segretario del PD. Poi ci sono voluti, secondo costume inveterato, altri due mesi
circa per il deposito di sentenza e motivazioni in cancelleria, per cui uno
degli ultimi atti della Corte nel 2013 è finito per diventare il primo nel
2014.
Se uno ha la pazienza di
leggere le oltre 15 pagine della sentenza, la ragione di un simile ritardo
appare evidente. La traduzione in italiano moderno della lingua bizantina è un
esercizio complicato, faticoso, e deve aver richiesto tutte le energie degli
attempati giudici costituzionali, alcuni dei quali – come il buon Sabino
Cassese – fanno danni ormai da diversi decenni. Se uno ha quella pazienza, e
arriva comunque in fondo, si rende conto di come possa esser degenerato il
nostro diritto dai tempi di Cicerone e Giulio Cesare, e malgrado la
sistemazione del grande Giustiniano.
A differenza di altri
consessi analoghi, come la Suprema Corte americana, la Corte Costituzionale non
parla ad un popolo, con cui anzi rifiuta orgogliosamente e
"costituzionalmente" ogni rapporto. Parla ad altri magistrati, che
parlano lo stesso linguaggio, sacerdoti che celebrano misteri alla presenza di
altri sacerdoti.
Del resto, questo era
l'intento del Legislatore. La Corte interviene quando chiamata in causa da
Corti di rango inferiore. Ci sono voluti otto anni perché di fronte a un
qualunque Tribunale qualcuno si sentisse in diritto-dovere di eccepire la
costituzionalità del Porcellum. Otto anni e tre legislature prima che un
cittadino lamentasse di non aver potuto esercitare il suo diritto di voto
"personale ed eguale, libero e segreto" come garantitogli dalla
Costituzione e violato dalle liste bloccate decise dall'alto e dai premi di
maggioranza.
Dopo tre gradi di giudizio,
la Corte di Cassazione chiama in causa quella Costituzionale. Siamo arrivati in
cima, nel momento in cui la Seconda Repubblica sta vacillando e tutto il Paese
con lei. La Corte Costituzionale, vivaddio, ci mette quindici pagine di
letteratura più o meno misteriosa per dire che quel cittadino ha ragione, le
liste bloccate senza possibilità di preferenza e il premio di maggioranza su
base regionale violano i principi costituzionali. Questa legge non ha posto nel
nostro ordinamento perché ne viola dei principi essenziali, e pazienza che dai
suoi meandri sono usciti gli ultimi tre Parlamenti, uno di centrosinistra, uno
di centro-destra e uno non si sa di cosa, quello attuale. Per un malinteso principio di conservazione, gli atti prodotti da questi parlamenti illegittimi
sono dichiarati dalla Corte perfettamente legittimi. Con buona pace dei padri e
delle Madri del Diritto.
Si ritorna dunque al
proporzionale, perché la 270 del 2005 decade solo per la parte che assegna i
premi e regola la formazione delle liste. Del resto, il proporzionale è – per
così dire – il modello base. Poi il popolo italiano ha scelto come accessori
quelli del maggioritario, su cui a seguito dello storico referendum del 1993 c'è
un dibattito – interessato - da vent'anni. Tocca al Parlamento, dice la Corte e
grazie tante, fare una nuova legge. Lo dice la Corte (se uno ha la pazienza di
decifrare dall'aramaico), lo dice il Presidente della Repubblica (che poi si
inalbera se uno gli tocca il governo Letta, cioè la negazione di qualsiasi
riforma), lo dicono le forze politiche presenti in Parlamento (che poi quella
riforma in Parlamento non la fanno). E allora?
Serve qualcosa di nuovo.
Ecco allora che il nuovo che avanza oggi decide di incontrare il nuovo che
avanzava vent'anni fa. Matteo Renzi invita Silvio Berlusconi nella sede del PD.
Fino a due mesi fa era più facile pensare al primo ministro israeliano che va a
fare le vacanze d'estate a Gaza. Adesso Matteo invita e Silvio accetta.
Alle 18:30 del 18 gennaio
2014 lo storico incontro. Il vecchio leader anticomunista che fa lo storico
primo ingresso nella sede dei post-comunisti. Il giovane leader dei
post-comunisti e post-democristiani che lo accoglie a braccia aperte perché ha
capito che quell'uomo è l'unico come lui veramente interessato a che tutto cambi
non perché tutto resti come prima, come diceva invece il Gattopardo e come
sperano tutti gli altri politici di questo Paese. Perché è l'unico che come lui
vuole liberarsi della propria nomenklatura, prima ancora che di quella avversaria.
Perché sono gli unici due che possono sperare di sopravvivere al confronto con
la gente comune, se solo si liberano della rispettiva zavorra.
Dopo due ore di colloquio,
e qualche contestazione in piazza e su Twitter di quelle forze minoritarie che
non ci hanno messo molto a capire di cosa stanno parlando i due leader e che
aria tiri per loro, si apprende che tra PD e Forza Italia c'è piena sintonia sulla legge elettorale. Per quanto la famiglia Letta –
zio e nipote - aleggi sinistramente intorno a questo storico incontro, c'è aria
di cambiamento epocale. Come per Attila e Leone I, come per Vittorio Emanuele
II e Garibaldi, non sapremo mai esattamente cosa si sono detti il vecchio e il
giovane oggi pomeriggio. Sapremo solo che da quel momento il mondo, almeno per
noi italiani, non sarà stato più lo stesso.
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