Arrivò in pieno marasma, ed in
pieno marasma se ne va. Nel luglio 2012 la Fiorentina era soltanto un mucchio
di buone intenzioni, o forse soprattutto un mucchio di incubi da cui
allontanarsi prima possibile. Per due anni vari personaggi avevano cercato di
rimettere insieme i cocci rotti nella vicenda Prandelli, senza riuscirci. A
Moena nel luglio 2012 non c’era il numero legale per fare partitelle amichevoli
di calcio a cinque. Vincenzo Montella ebbe pazienza, e fu ripagato.
I Della Valle sono un fenomeno imprenditoriale
che andrebbe studiato a fondo. Gestissero tutte le loro imprese così come
gestiscono – o lasciano gestire – la Fiorentina, probabilmente a quest’ora a
malapena riuscirebbero a produrre e vendere infradito. Da quando sono nel
calcio, la programmazione – quella cosa che tiene a galla al loro pari
imprenditori molto meno accreditati di loro – è una parola per loro
sconosciuta. Ma quando si trovano con le spalle al muro, riescono in pochi
giorni a inventare squadre. Lo fecero nell’estate del 2012, dieci anni dopo il
primo miracolo (o presunto tale) seguente al fallimento di Cecchi Gori.
Montella, che aveva creduto forse
di aver sbagliato località per le vacanze, si ritrovò di punto in bianco una
squadra. E che squadra. La Fiorentina fu la rivelazione del campionato
successivo. Il calcio spagnolo trapiantato in Italia, ed allora il calcio
spagnolo era il Vangelo secondo Matteo. L’anno dopo cominciò il difficile.
Persi Jovetic e Llajic sull’altare delle plusvalenze e delle illusioni di due
ragazzi convinti di essere fuoriclasse, la società gli mise in mano due
scommesse, Pepito Rossi e Mario Gomez. Due ex ragazzi convinti di poter essere
ancora all’altezza di se stessi. L’asticella si alzò, ma si alzarono anche le
aspettative di dirigenza e tifosi.
La scoperta di avere in casa un
fenomeno come Cuadrado coprì buona parte delle lacune aperte dagli infortuni di
Gomez e Rossi. La Fiorentina arrivò a lambire il calcio che conta, lasciando
una bella impressione di sé insieme alla suggestione di pensare che con un po’
più di fortuna e pochi ritocchi il calcio che conta le avrebbe detto “prego, si
accomodi”. Peccato che quei ritocchi lo erano solo per chi si intendeva di
bilanci, non per chi si intendeva di calcio vero. “Brillante” di nome e non di
fatto, la Fiorentina che mieteva successi nei tornei estivi vendicando
addirittura un vecchio conto aperto con il Real Madrid fu bruscamente
ridimensionata già alla prima uscita seria all’Olimpico di Roma.
Difficile dire se fu Montella ad
amplificare le lacune viola, oppure furono le lacune viola a disamorarlo
all’avvio di una stagione che doveva essere quella decisiva. Per lui, per noi,
per tutti. Il girone di andata fu in pratica una polemica a distanza tra il
mister ed i suoi datori di lavoro, convinti di avergli messo in mano una
squadra più forte di quella che lui riusciva a schierare in campo. A gennaio,
quando dal cilindro della cessione di Cuadrado saltò fuori la briscola Salah,
il clima era compromesso. La squadra cominciò a volare, almeno per un paio di
mesi. Ma il mister forse faceva fatica a gioire della ritrovata sintonia con il
suo lavoro attuale. Faceva fatica perché si immaginava già altrove, proprio
mentre il mondo era costretto ad accorgersi della Fiorentina.
Ne ha di strada da fare Vincenzo
Montella prima di diventare un top mister. Lo ha dimostrato nel momento
cruciale, dopo Pasqua, quando tutti i giochi entrarono nella fase decisiva e
tutti i nodi vennero al pettine. Non era convinto di reggere su tre obbiettivi,
Vincenzo Montella. Forse non si inventò nulla per riuscirci malgrado tutto. Di
sicuro società e tifosi non gli perdonarono di non esserci riuscito, anche se
forse in mancanza di meglio avrebbero continuato ad affidarsi a lui.
O per meglio dire, i tifosi di
sicuro. La società chissà. Quando i Della Valle prendono qualcuno sulle
scatole, a torto o a ragione, non c’è più niente da fare. Prandelli fu
liquidato la notte della vittoria a Liverpool. Montella viene esonerato nel
momento in cui si dovrebbero programmare pochi, misurati acquisti per ridare
l’assalto al Gotha del calcio italiano ed europeo. A metà giugno, qualunque
siano le motivazioni che hanno spinto la proprietà a prendere questa decisione,
questo significa compromettere forse la campagna acquisti per la prossima
stagione, e quindi la prossima stagione stessa.
Adesso si scateneranno
dellavalliani e montelliani. Ma c’è qualcosa che non va, qualcosa che ricorre,
il male oscuro di questa Fiorentina che non sa o non vuole decollare. Mondonico
che si dispera la notte dello spareggio vittorioso con il Perugia, Prandelli
che si stacca da Firenze la notte di Liverpool, Montella che esce di scena
malamente dopo giorni di scazzi a distanza a mezzo stampa con una società che
per il terzo anno consecutivo guarda anche grazie a lui dall’alto società ben
più blasonate e perfino l’arrogante e pompatissimo Napoli. C’è qualcosa
nell’anima di questa Fiorentina che si rifiuta di crescere, di maturare. E
siccome i suoi padroni sono gente che ormai va per i sessant’anni o c’è già
arrivata, è difficile pensare che a quell’età si facciano ulteriori
maturazioni.
Non si tratta di difendere
Montella, che magari sa già bene dove andare l’anno prossimo, e che quantomeno
si ritrova nella peggiore delle ipotesi uno stipendio già pagato. Si tratta di
scongiurare la perdita di altri due anni. Con personaggi improbabili come
questo Paulo Sousa che sembra tanto – con rispetto parlando - un Ottavio
Bianchi in versione portoghese, o con altre improvvisate del genere. Per poi
magari ritrovarsi tra un po’ a stipendiare il terzo allenatore – il Delio Rossi
della situazione – che venga di corsa a salvare il salvabile.
Tutto questo non lo trovate nel
comunicato dell’ACF Fiorentina. Ma è un film già visto. E come le repliche del
vecchio, glorioso cinema Universale, ormai forse lo abbiamo visto troppe volte.
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