lunedì 31 agosto 2015

DIARIO VIOLA: FIORENTINA, RITORNO SUL PIANETA TERRA



Non ce l’ha fatta la Fiorentina a terminare questo insolito mese di agosto senza sconfitte, anzi soltanto con quelle vittorie che avevano  travolto la tifoseria come in un film di Lina Vertmuller. Non ce l’ha fatta soprattutto a confermare quell’idea di squadra che aveva lasciato intravedere al suo allenatore ed al suo pubblico nelle uscite precedenti, allorché il risultato comunque aveva felicemente occultato alcune consistenti magagne.
All’Olimpico di Torino finisce l’imbattibilità (di breve durata) della squadra viola. E finisce forse – ma questo è francamente il male minore – il gemellaggio (anacronistico come tutti i gemellaggi) con i colori granata. Essere “anti” (nel caso specifico, avversi al colore bianconero) evidentemente non basta più. Marcos Alonso festeggia il bel gol del vantaggio viola e la sua inedita qualifica di capocannoniere della propria squadra più o meno come fanno tutti nel calcio moderno, con gesti e pantomime che ormai sono diventati consueti.
Ai supporters granata, che credevano di aver sopravanzato tecnicamente una Fiorentina rimasta sostanzialmente al palo della campagna acquisti e che invece si ritrovano bruciati dal ceffone del gol lampo della squadra viola e soprattutto dall’incapacità di aggredire per tutto un tempo i suoi portatori di palla, la mimica dello spagnolo è un comodo pretesto per sfogare la frustrazione. L’Olimpico da quel momento fischia Alonso in ogni occasione in cui questi riceve la palla, fino al termine della partita. Bravo Sousa a non toglierlo per non assecondare immotivatamente gli umori ferini di quel pubblico. Resta il fatto che forse d’ora in avanti c’è un motivo in più per scegliersi i cosiddetti amici in maniera più avveduta, fermo restando che chiunque doverosamente continuerà a commemorare la Tragedia di Superga ad ogni suo avversario.
Ma parliamo del presente, che finalmente incombe anche nel risultato oltre che – è il caso di dire – nel gioco. Prima e dopo il gol di Alonso, propiziato da una delle poche cose buone fatte da Borja Valero in questa partita e dallo sfortunato colpo di testa troppo centrale di Kalinic sul portiere Padelli su cui si avventa con classe e freddezza il novello goleador viola, la Fiorentina ha buon gioco a mettere nell’angolo un Torino che, come il Milan una settimana fa, arrivava allo scontro diretto accreditato di una presunta superiore e sontuosa campagna acquisti e che invece si presenta più o meno come il Grande Nulla, per usare un termine caro alla letteratura fantasy.
Per 25 minuti lo stadio granata ribolle di frustrazione a vedere i propri eroi rinunciatari perfino ad andare a pressare i portatori di palla dei gemellati avversari, per paura di subirne il contropiede. Kalinic dimostra di avere qualche numero, velocità e tenuta di palla, e lascia supporre che se servito a dovere – magari in un futuro non tanto remoto – qualche soddisfazione ai suoi tifosi finirà per darla.
Tra i suoi compagni, il gioiello Bernardeschi ha lasciato il posto per scelta del tecnico all’altro gioiello Mati Fernandez, mentre più indietro Suarez ha preso il posto a Badelj. Entrambi fanno poco o nulla per guadagnarsi lo stipendio. Molto meglio un Ilicic dalla vena ritrovata e dalla velocità di esecuzione leggermente incrementata, mentre per almeno venti minuti Borja Valero illude di essere tornato quello dei suoi ormai lontani esordi in viola.
Fatto sta che la Fiorentina mette sotto il Torino per un tempo, anche se sono i granata ad avere le migliori occasioni da rete ed è Tatarusanu a superarsi per sventarle, soprattutto su Quagliarella che ambisce a confermarsi pericolosissimo ed avvelenatissimo ex. Questo la dice lunga sul gioco viola, che qualcuno battezza come completamente cambiato dai tempi di Montella. In cosa, nello specifico, non è dato sapere, perché sia nel momento migliore che in quello peggiore la Fiorentina dimostra di prediligere la fitta trama di passaggi laterali, giravolte e rarissime verticalizzazioni che resero celebre il predecessore di Paulo Sousa su questa panchina.
Senonché, gli interpreti attuali del gioco viola sembrano un gradino al di sotto di quelli che non ci sono più, per un motivo o per l’altro. E alla fine, calato il fiato, il momento peggiore inesorabilmente arriva. Dopo aver corso un rischio assurdo nei secondi finali del primo tempo, in controllo assoluto del pallone e del risultato, la Fiorentina si ripresenta in campo nella ripresa con la chiara intenzione di trotterellare fino al novantesimo.
Il giochino le era riuscito con il Milan, e avrebbe potuto essere riproposto con successo anche in questa seconda giornata se l’ineffabile Tagliavento avesse concesso un rigore abbastanza poco discutibile su Kalinic, come da prima intenzione poi rimangiata su segnalazione del guardalinee. Ma tenere l’1-0 senza cercare più il raddoppio e senza avere a centrocampo palleggiatori robusti e di sicuro affidamento sul pressing granata che lentamente comincia a farsi assiduo ed insistente è evidentemente un’impresa al di sopra di questa Fiorentina a cui il fiato e la concentrazione non reggono novanta minuti.
Al ventiduesimo della ripresa si assiste al primo gol dell’ex, che vale il pareggio del Torino, di una squadra cioè che fino a quel momento era apparsa assolutamente inconsistente. Emiliano Moretti, ex giovane viola che vide naufragare le sue promesse nel crepuscolo e nell’agonia di Cecchi Gori, beneficia di una surreale disposizione a peracotta della difesa fiorentina. Tra un nugolo di maglie bianche bordate di viola Moretti ha il tempo di coordinarsi in una splendida veronica che fulmina l’incolpevole Tatarusanu.
E’ chiaro che non è finita qui. Un minuto dopo una Fiorentina che ha sostituito lo stato di shock a quello di torpore si fa uccellare dal fulmine Quagliarella, che va a segnare un gol formidabile in fotocopia a quello subito sempre dai nostri eroi da Tevez nella scorsa stagione sempre qui a Torino, sponda bianconera. Come dire, certe cose non cambiano mai.
Non è ancora finita. L’ex obbiettivo di mercato Baselli, nella prateria inpresidiata che è la trequarti viola, ha il tempo di prendere la mira e caricare un destro da fuori area che sorprende l’ancor incolpevole e sempre più infelice Tatarusanu.
3-1 e tutti a casa. Inutili gli ingressi di Bernardeschi e del redivivo Giuseppe Rossi, al quale bastano paraltro un paio di giocate delle sue per prendere più calci di punizione dal limite dell’area avversaria del resto della sua squadra in tutta la stagione scorsa. E per far vedere la differenza tra un giocatore di calcio vero e quelli che sta comprando, o tentando di comprare, la Fiorentina.
E’ arrivato Verdu, e il bilancio va sempre più su, cantano alla fine amareggiati i pochi tifosi trascinatisi fino a quassù speranzosi. Ce n’erano di più venerdi a vedere gli allenamenti a porte aperte. E’ il grande cuore di Firenze. Che ancora – va detto – non ha saputo o potuto trovare braccia adeguate, né troppo corte né troppo lunghe.
Oggi finisce il calciomercato. Se Dio vuole.

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