Non ce l’ha fatta la Fiorentina a
terminare questo insolito mese di agosto senza sconfitte, anzi soltanto con quelle
vittorie che avevano travolto la
tifoseria come in un film di Lina Vertmuller. Non ce l’ha fatta soprattutto a
confermare quell’idea di squadra che aveva lasciato intravedere al suo
allenatore ed al suo pubblico nelle uscite precedenti, allorché il risultato
comunque aveva felicemente occultato alcune consistenti magagne.
All’Olimpico di Torino finisce
l’imbattibilità (di breve durata) della squadra viola. E finisce forse – ma
questo è francamente il male minore – il gemellaggio (anacronistico come tutti
i gemellaggi) con i colori granata. Essere “anti” (nel caso specifico, avversi
al colore bianconero) evidentemente non basta più. Marcos Alonso festeggia il
bel gol del vantaggio viola e la sua inedita qualifica di capocannoniere della propria
squadra più o meno come fanno tutti nel calcio moderno, con gesti e pantomime
che ormai sono diventati consueti.
Ai supporters granata, che
credevano di aver sopravanzato tecnicamente una Fiorentina rimasta
sostanzialmente al palo della campagna acquisti e che invece si ritrovano
bruciati dal ceffone del gol lampo della squadra viola e soprattutto
dall’incapacità di aggredire per tutto un tempo i suoi portatori di palla, la
mimica dello spagnolo è un comodo pretesto per sfogare la frustrazione.
L’Olimpico da quel momento fischia Alonso in ogni occasione in cui questi riceve
la palla, fino al termine della partita. Bravo Sousa a non toglierlo per non
assecondare immotivatamente gli umori ferini di quel pubblico. Resta il fatto
che forse d’ora in avanti c’è un motivo in più per scegliersi i cosiddetti
amici in maniera più avveduta, fermo restando che chiunque doverosamente
continuerà a commemorare la Tragedia di Superga ad ogni suo avversario.
Ma parliamo del presente, che
finalmente incombe anche nel risultato oltre che – è il caso di dire – nel
gioco. Prima e dopo il gol di Alonso, propiziato da una delle poche cose buone
fatte da Borja Valero in questa partita e dallo sfortunato colpo di testa
troppo centrale di Kalinic sul portiere Padelli su cui si avventa con classe e
freddezza il novello goleador viola, la Fiorentina ha buon gioco a mettere
nell’angolo un Torino che, come il Milan una settimana fa, arrivava allo
scontro diretto accreditato di una presunta superiore e sontuosa campagna
acquisti e che invece si presenta più o meno come il Grande Nulla, per usare un
termine caro alla letteratura fantasy.
Per 25 minuti lo stadio granata
ribolle di frustrazione a vedere i propri eroi rinunciatari perfino ad andare a
pressare i portatori di palla dei gemellati avversari, per paura di subirne il
contropiede. Kalinic dimostra di avere qualche numero, velocità e tenuta di
palla, e lascia supporre che se servito a dovere – magari in un futuro non
tanto remoto – qualche soddisfazione ai suoi tifosi finirà per darla.
Tra i suoi compagni, il gioiello
Bernardeschi ha lasciato il posto per scelta del tecnico all’altro gioiello
Mati Fernandez, mentre più indietro Suarez ha preso il posto a Badelj. Entrambi
fanno poco o nulla per guadagnarsi lo stipendio. Molto meglio un Ilicic dalla
vena ritrovata e dalla velocità di esecuzione leggermente incrementata, mentre
per almeno venti minuti Borja Valero illude di essere tornato quello dei suoi
ormai lontani esordi in viola.
Fatto sta che la Fiorentina mette
sotto il Torino per un tempo, anche se sono i granata ad avere le migliori
occasioni da rete ed è Tatarusanu a superarsi per sventarle, soprattutto su
Quagliarella che ambisce a confermarsi pericolosissimo ed avvelenatissimo ex.
Questo la dice lunga sul gioco viola, che qualcuno battezza come completamente
cambiato dai tempi di Montella. In cosa, nello specifico, non è dato sapere,
perché sia nel momento migliore che in quello peggiore la Fiorentina dimostra
di prediligere la fitta trama di passaggi laterali, giravolte e rarissime
verticalizzazioni che resero celebre il predecessore di Paulo Sousa su questa
panchina.
Senonché, gli interpreti attuali
del gioco viola sembrano un gradino al di sotto di quelli che non ci sono più,
per un motivo o per l’altro. E alla fine, calato il fiato, il momento peggiore inesorabilmente
arriva. Dopo aver corso un rischio assurdo nei secondi finali del primo tempo,
in controllo assoluto del pallone e del risultato, la Fiorentina si ripresenta
in campo nella ripresa con la chiara intenzione di trotterellare fino al
novantesimo.
Il giochino le era riuscito con
il Milan, e avrebbe potuto essere riproposto con successo anche in questa
seconda giornata se l’ineffabile Tagliavento avesse concesso un rigore
abbastanza poco discutibile su Kalinic, come da prima intenzione poi rimangiata
su segnalazione del guardalinee. Ma tenere l’1-0 senza cercare più il raddoppio
e senza avere a centrocampo palleggiatori robusti e di sicuro affidamento sul
pressing granata che lentamente comincia a farsi assiduo ed insistente è
evidentemente un’impresa al di sopra di questa Fiorentina a cui il fiato e la
concentrazione non reggono novanta minuti.
Al ventiduesimo della ripresa si
assiste al primo gol dell’ex, che vale il pareggio del Torino, di una squadra
cioè che fino a quel momento era apparsa assolutamente inconsistente. Emiliano
Moretti, ex giovane viola che vide naufragare le sue promesse nel crepuscolo e nell’agonia
di Cecchi Gori, beneficia di una surreale disposizione a peracotta della difesa
fiorentina. Tra un nugolo di maglie bianche bordate di viola Moretti ha il
tempo di coordinarsi in una splendida veronica che fulmina l’incolpevole
Tatarusanu.
E’ chiaro che non è finita qui.
Un minuto dopo una Fiorentina che ha sostituito lo stato di shock a quello di
torpore si fa uccellare dal fulmine Quagliarella, che va a segnare un gol
formidabile in fotocopia a quello subito sempre dai nostri eroi da Tevez nella
scorsa stagione sempre qui a Torino, sponda bianconera. Come dire, certe cose
non cambiano mai.
Non è ancora finita. L’ex
obbiettivo di mercato Baselli, nella prateria inpresidiata che è la trequarti
viola, ha il tempo di prendere la mira e caricare un destro da fuori area che
sorprende l’ancor incolpevole e sempre più infelice Tatarusanu.
3-1 e tutti a casa. Inutili gli
ingressi di Bernardeschi e del redivivo Giuseppe Rossi, al quale bastano paraltro
un paio di giocate delle sue per prendere più calci di punizione dal limite
dell’area avversaria del resto della sua squadra in tutta la stagione scorsa. E
per far vedere la differenza tra un giocatore di calcio vero e quelli che sta
comprando, o tentando di comprare, la Fiorentina.
E’ arrivato Verdu, e il bilancio
va sempre più su, cantano alla fine amareggiati i pochi tifosi trascinatisi
fino a quassù speranzosi. Ce n’erano di più venerdi a vedere gli allenamenti a
porte aperte. E’ il grande cuore di Firenze. Che ancora – va detto – non ha
saputo o potuto trovare braccia adeguate, né troppo corte né troppo lunghe.
Oggi finisce il calciomercato. Se
Dio vuole.
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