sabato 11 giugno 2016

Adriano Panatta, formidabile quel 1976

Suo padre Ascenzio era il custode del Tennis Club Parioli. Grande appassionato di calcio come tutti i bambini italiani, il piccolo Adriano aveva finito per passare le sue giornate più con la racchetta in mano che con il pallone tra i piedi. Nel 1968, a 18 anni, era una delle promesse del nostro tennis, la punta di diamante di un gruppo che era stato spedito in Australia (uno dei paesi del Grande Slam, uno degli Eldorado del tennis di quei tempi) a farsi le ossa.
Era tornato con le ossa abbastanza robuste da sconfiggere il numero uno di allora, il mostro sacro Nicola Pietrangeli, in una delle più leggendarie finali dei Campionati nazionali assoluti italiani di sempre, a Bologna nel 1970. La carriera di Adriano Panatta era cominciata così, raccogliendo la successione di un altro predestinato fuoriclasse. Destinato a ripeterne i risultati. L’ultimo ad esserci riuscito.
Adriano aveva un fisico atletico che se ben allenato era assai potente, quanto bastava per assecondare in maniera esplosiva il suo immenso talento tennistico. Il problema era proprio quello, l’allenamento. Se calava, il ragazzo tendeva ad appesantirsi ed il talento non bastava più. La sua carriera nei primi anni fu costellata di alti e bassi che facevano disperare i suoi allenatori al pari dei suoi tifosi.
Dotato di temperamento agonistico, grinta, carattere e intelligenza, era capace di rovesciare risultati compromessi e vincere partite incredibili contro ogni pronostico. Dotato di bella presenza, savoir faire, predisposizione alle lingue, carisma personale e voglia di vivere, era capace di furoreggiare nei luoghi del jet set romano, a casa sua, e di ogni dove. Salvo poi scoprirsi in debito di ossigeno sul campo e finire a perdere – sempre contro pronostico – altrettanto incredibili partite già vinte o alla sua portata.
Dal 1970 al 1975 Adriano vinse poco, molto meno sicuramente di quanto la sua classe gli avrebbe consentito. Palcoscenici principali delle sue crisi ricorrenti e della perdita di fiducia in se stesso erano gli Internazionali d’Italia a Roma e la Coppa Davis. Proprio le competizioni a cui teneva di più. A Roma, non riusciva ad esprimersi, proprio davanti alla sua gente, soffrendo le forti aspettative del pubblico del Foro Italico più dei suoi stessi avversari. In Davis, la peggior debacle gli era capitata a Parigi nel 1975, dove aveva perso il punto decisivo di un match già vinto contro i carneadi francesi Jauffret e Dominguez.
Fu il momento più basso della sua carriera. Il più critico, quello in cui pensò addirittura di smettere. L’anno prima aveva perso una semifinale abbordabile contro il Sudafrica sempre in coppa. L’Italia avrebbe potuto essere la prima nazione a spezzare il predominio dei quattro paesi del Grande Slam in Davis. Invece questo onore era toccato ai sudafricani boicottati dal resto del mondo, grazie alla sua sconfitta contro un quasi ex giocatore come Bob Hewitt.
Adriano aveva buon sangue, e carattere. Si era anche sposato con la donna giusta, la compagna della vita, Rosaria. Nel momento peggiore, i pezzi del suo puzzle interiore andarono tutti a posto. Pochi mesi dopo quella famigerata Davis a Parigi, a Stoccolma batté il numero uno del mondo Jimmy Connors. Pochi mesi ancora, fu 1976. Una straordinaria annata.
Con Nicola Pietrangeli come capitano non giocatore, la squadra italiana di Davis di cui lui era il numero uno si issò fino ai turni finali. Ma prima, Adriano si trovò di nuovo a fronteggiare la sua Nemesi. Al Foro Italico si presentò una volta di più come favorito, oltre che come beniamino della sua gente, del suo pubblico. E una volta di più, fu subito psico-dramma.
Al primo turno aveva di fronte Kim Warwick, australiano atipico, da terra veloce. Al Foro la terra c’era, ma sembrava quella di una palude. Warwick era un ammazza-grandi. Adriano si ritrovò sotto 6-3 5-2 40-15 in un batter d’occhio. Due match points. Due attacchi alla disperata di Adriano, annullati. Ai vantaggi, altri tre matchball su servizio contro. Altri tre attacchi, e tre passanti sbagliati dell’australiano. Sul 5-4, altre tre palle per chiudere a favore di Warwick. Palle appena fuori, o deviate dal nastro, fallite in un corpo a corpo in cui Adriano era maestro, con i suoi voli sottorete, le sue veroniche (volée alte di rovescio). L’ultimo matchball, l’undicesimo, annullato con un servizio ed uno smash al tie break del terzo set. 3-6 6-4 7-6
Sopravvissuto ad una simile ordalia, al termine della quale avrebbe dichiarato di non aver mai avuto paura di perdere, Adriano avrebbe superato un secondo turno difficile contro Tonino Zugarelli, una specie di derby romano, finito 7-6 6-3. Poi avrebbe eliminato il numero uno jugoslavo Zeliko Franulovic 6-1 6-4. Nei quarti, contro Harold Solomon, nuovo psico-dramma. L’americano era un pallettaro di lusso. Adriano aveva il gioco per neutralizzarlo, ma non la tenuta fisica. In vantaggio 4-0 nel terzo set, si era fatto riprendere e superare 5-4. Poi Solomon aveva contestato un lob di Panatta sulla riga che lo mandava sotto a 0-30. Infuriato per la convalida arbitrale aveva finito per abbandonare. 6-2 5-7 4-5 30-0
In semifinale, un grande vero campione aspettava Adriano. John Newcombe era uno degli ultimi giocatori che avevano fatto la leggenda del tennis australiano. Ma aveva imboccato la fase calante della sua carriera. E quel giorno Adriano aveva una delle sue giornate irresistibili. Quelle in cui tutto gli riusciva e niente gli veniva meno. Quelle in cui dava 6-0 6-0 ad un Ivan Lendl. Newcombe fu sconfitto 6-2 6-4 6-4, senza troppi patemi e con una sola palla break annullata.
Il giorno dopo in finale c’era Guillermo Vilas, il poeta argentino. Gran regolarista secondo solo a Bjorn Borg. Adriano lo subì solo nel primo set, poi lo aggredì volando da una parte all’altra del campo e della rete. Chiudendo il tie break finale in una apoteosi che trasformò il Foro Italico in una bolgia. 2-6 7-6 6-2 7-6
Adriano era diventato profeta in patria. Ma non gli bastava. Roma era un torneo importante, ma non uno dei più importanti. Il giorno dopo cominciava Parigi, l’Open di Francia. Era lì che si faceva la storia, lì che si entrava nella Hall of Fame di questo sport.
Al primo turno, ancora un match point annullato, con una volée in tuffo sul passante del cecoslovacco Pavel Hutka. Non erano gli undici matchball di Warwick ma come inizio non c’era male. 2-6 6-2 6-2 0-6 12-10
Al secondo, facile vittoria sul giapponese Jun Kuki per 6-3 6-1 7-5. Al terzo, facile anche contro l’altro cecoslovacco Jiri Hrebec, 7-5 6-3 6-4. Negli ottavi, ancora Franulovic, stavolta più resistente: 6-2 6-2 6-7 6-3
Nei quarti, la resa dei conti. A chi gli aveva contestato la vittoria di Roma perché mancava il numero uno sulla terra, il ragazzo prodigio, il terribile Bjorn Borg, Adriano rispose offrendo le più belle due ore di tennis viste da tanto tempo a quella parte. Era stato l’ultimo a battere Borg al Roland Garros nel 1973. Lo ribatté di nuovo nel 1976 per 6-3 6-3 2-6 7-6. Quando lo svedese si ritirò nel 1982, Adriano Panatta si vide certificato il suo status definitivo di unico giocatore in assoluto capace di batterlo sulla terra dello Slam parigino.
In semifinale, una delle due brutte copie di Borg, Eddie Dibbs. L’americano fu travolto 6-3 6-2 6-4. Ma era come se Adriano non avesse fatto nulla. In finale lo aspettava una specie di gemello di Dibbs, per di più con il dente avvelenato: Harold Solomon. Stavolta non ci furono abbandoni. Solo gran tennis da parte di Panatta nei primi due set, 6-1 6-4. Poi la stanchezza di tre settimane giocate come solo in paradiso, il terzo set all’americano per 6-4 e il quarto, drammatico, con Adriano che sentiva le energie scemargli. Forse non più sufficienti ad un quinto set. Al tie break del quarto, Adriano Panatta si tenne aggrappato alla vittoria a botte di servizio, finché sul 6-3 Solomon mise in rete una facile volée.
Panatta era il primo italiano a vincere Roma e Parigi nello stesso anno, l’ottavo in assoluto della storia dopo gente come Jaroslav DrobnyLew HoadKen RosewallRod LaverTony RocheIlie Nastase e Bjorn Borg. Con la Coppa dei Moschettieri in mano, concludeva un mese d’oro del tennis italiano che purtroppo da allora non ha più avuto repliche.
Formidabile quel 1976. Ma non era finita. La Davis era stata fino allora un miraggio per gli italiani, arrivati soltanto due volte in finale contro la fortissima Australia nel 1960 e 1961. Niente da fare. Stavolta, dopo l’Inghilterra dei fratelli Lloyd battuta sul centrale di Wimbledon, l’Australia la affrontammo al Foro Italico. Panatta soffrì John Alexander, sua storica bestia nera. Ma ribadì la vittoria del torneo su John Newcombe.

A dicembre, in Cile, fu già un primo successo evitare il boicottaggio che certe forze politiche avrebbero voluto attuare contro Pinochet. Poi arrivò il successo vero, di Panatta, BarazzuttiBertolucci, Zugarelli e Pietrangeli. Vittorie di Corrado su Jaime Fillol per 7-5 4-6 7-5 6-1 e di Panatta su Pato Cornejo per 6-3 6-1 6-3. Poi Panatta-Bertolucci presero il punto decisivo a Fillol-Cornejo, 3-6 6-2 6-3 9-7. L’insalatiera veniva per la prima volta in Italia. Non c’è più tornata, dopo quel memorabile 1976.

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