venerdì 24 giugno 2016

Il mio bel San Giovanni

I legionari di Giulio Cesare che stabilirono il primo accampamento sulle rive dell’Arno, a mezza strada tra la sorgente e la foce, ai piedi dell’insediamento etrusco di Faesulae, lo chiamarono Florentia, il posto dei fiori, e lo consacrarono – com’era pressoché d’obbligo, trattandosi di legionari – a Marte, il dio della Guerra.
A Marte eressero una statua nei pressi del ponte che attraversava l’Arno, e che un giorno – dopo che tanta acqua sarebbe scorsa sotto di esso – sarebbe stato conosciuto come il Ponte Vecchio. Sempre a Marte era dedicato il tempio che eressero poco più in là, a nord. E Campo di Marte si chiamava l’area adibita alle esercitazioni della Legione di stanza nella zona. Uno dei pochi toponimi giunti dall’Età di Cesare ai giorni nostri.
La statua sarebbe sopravvissuta all’Impero Romano e alla vecchia religione politeistica a cui aveva reso omaggio fino al 1333. In quell’anno, recitano le cronache medioevali, una alluvione dell’Arno più o meno delle proporzioni di quella a cui avremmo assistito personalmente sei secoli dopo la spazzò via.
Il Ponte resse, come avrebbe fatto in seguito resistendo all’incuria del tempo e degli amministratori comunali. La statua no. A quel punto, nessuno venerava più quel dio da tempo immemorabile. Nessuno ne sentì la mancanza. Dal sesto secolo la parte di mondo in cui si trovava il borgo di Florentia, o Fiorenza, era ricaduta sotto il dominio dei Longobardi, la tribù di origine germanica che soppiantò i Visigoti accampandosi sulle rovine della penisola romana.
Il cristianesimo che dette la prima impronta alla città di Firenze come la conosciamo oggi fu appunto quello, rozzo e fanatico, di questi Germani convertiti dopo lungo penare dai successori di Pietro che avevano ereditato la capitale imperiale. Non era capitale di alcunché invece Firenze, all’epoca. Anzi, probabilmente si trattava di un borghetto senza nessuna particolare importanza alle estreme propaggini del Ducato di Spoleto. Ma con il progressivo civilizzarsi di un orda barbarica che in principio detestava la prossimità dei corsi e delle distese d’acqua, la sua importanza andò progressivamente aumentando.
La città cominciò a trasformarsi ed arricchirsi. Il Campo di Marte rimase tale perché le guerre continuarono anche in epoca cristiana. Il tempio di Marte invece fu abbattuto e sulle sue vestigia fu edificato il più antico e forse più suggestivo e prestigioso monumento della Firenze medioevale pervenuto ai giorni nostri: il Battistero, che sembra risalire al VII° secolo.
Vigeva già l’usanza – ereditata dal Paganesimo – di intitolare i luoghi di culto a figure oggetto di devozione. Non più gli Dei, ma piuttosto i Santi. L’edificio era un enorme fonte battesimale. Era quasi gioco forza dedicarlo alla figura di Ioannes Prodromos, Giovanni il Precursore. Colui che aveva battezzato Gesu Cristo avviandolo verso il suo destino di fondatore di una nuova religione. Colui che dopo il martirio di Cristo – ed il proprio – sarebbe stato conosciuto come Giovanni Battista.
Piazza Santa Croce nel XVII secolo
Martirizzato da quell’Erode contro i cui facili costumi si era scagliato senza paura, Giovanni era stato inserito nel calendario cristiano con il prestigio di un Santo guerriero. Per questo la sua figura era estremamente suggestiva per il popolo dei Longobardi, semiconvertiti alla civiltà cristiana ma pur sempre feroci maneggiatori di armi e spargitori di sangue. San Giovanni Battista, l’ultimo dei profeti precursori di Cristo, personalità talmente evocativa da essere cooptata anche dalla religione islamica (lo Yahya del Corano), divenne quindi il Santo principale venerato a Firenze. Il suo Santo Patrono, a cui votarsi nella buona e nella cattiva sorte.
Le prime testimonianze di una festività del Patrono risalgono al XIII° secolo, all’epoca di Dante. Che peraltro raccontò di essere stato lui stesso battezzato nell’edificio dedicato al Battista, e ne parlò con trasporto pari alla suggestione che per sua ammissione aveva provato sostandovi in preghiera.
A partire dal Quattrocento, il Battistero dovette condividere il prestigio di contribuire a delineare il landscape tipico di Firenze con la chiesa di Santa Maria del Fiore che la nuova signoria medicea aveva commissionato per dotare la città di una Cattedrale adeguata. La Chiesa sorse sulle rovine della precedente intitolata a Santa Reparata. Accanto ad essa, il Campanile intitolato ad Angelo di Bondone detto Giotto, diventato nel frattempo capomastro della signoria fiorentina, completava uno dei trittici monumentali più celebri del mondo, allora come adesso.
A quell’epoca, era stata consolidata l’usanza di festeggiare la ricorrenza del Patrono con una processione di ceri portati dai nobili fiorentini fin sul sagrato del Battistero e della Cattedrale. La processione umana fu progressivamente sostituita da quella che aveva in testa un carro trainato da buoi. Il Carro di San Giovanni, su cui veniva trasportato in Piazza San Giovanni, o Piazza del Duomo, un unico enorme cero votivo.
Piazza Santa Croce oggi
Sembra che l’idea di provocare uno scoppio di quel carro risalga addirittura alle Crociate. Secondo la leggenda, fu il fiorentino Pazzino de’ Pazzi il primo nobile cristiano a salire sulle mura di Gerusalemme il 15 luglio 1099, quando la grande coalizione guidata da Goffredo di Buglione riuscì a sfondare le difese musulmane, a conquistare la Città Santa ed il Santo Sepolcro e a concludere vittoriosamente la Prima Crociata.
Per riconoscimento, Goffredo di Buglione fece dono a Pazzino de’ Pazzi di tre schegge della Pietra del Santo Sepolcro, che al ritorno del Crociato furono custodite nella Chiesa dei Santi Apostoli ed esibite ad ogni ricorrenza del Sabato Santo. In quella stessa circostanza veniva perpetuata l’usanza di distribuire il fuoco santo ai fiorentini, da cui la processione dei nobili che portavano i ceri e poi la trasposizione di questi sul Carro che andava ad onorare le pietre del Santo Sepolcro. Probabilmente, una di queste processioni si concluse con lo scoppio accidentale del Carro di San Giovanni. Il che, lungi dallo spaventare i cittadini come presagio di sventura, fu mantenuto come tradizione per i secoli a venire.
Il Corteo Storico degli Sbandieratori
La cerimonia fu lasciata alla responsabilità organizzativa della Famiglia Pazzi fino al 1478, anno in cui a seguito della celebre congiura contro i Medici la famiglia fu decimata e i superstiti banditi da Firenze. Lo scoppio del Carro fu proibito dalla signoria, fintanto che nel 1494 ai tempi di Savonarola non fu cacciata la signoria stessa e la cerimonia del Carro fu ripristinata. I Medici ritornarono a Firenze come Duchi e Granduchi grazie alle armi dell’Imperatore Carlo V, ma non si sognarono più di vietare lo Scoppio del Carro, diventato ormai una delle tradizioni di Firenze. Ai Pazzi, poco prima che perdessero il privilegio di organizzatori, sembra sia dovuta la struttura attuale – più resistente - del Carro di San Giovanni e l’uso della Colombina per incendiarlo.
Tra le leggende di Firenze, c’è quella che vuole la Colombina sempre a bersaglio, tranne in annate in cui si verificano poi calamità. In epoca moderna la superstizione pare essere stata confermata nel 1940 (entrata dell’Italia nella guerra mondiale) e nel 1966 (alluvione di Firenze e della Toscana). Senza esito, per fortuna, il recente mezzo flop del 2014.
Altra leggenda di Firenze è quella – confermata però dai libri di storia – che stila l’atto di nascita ufficiale del gioco del calcio a Firenze e nel mondo al 17 febbraio del 1530. Giorno in cui, mentre le armate dell’Imperatore assediavano la città da tempo per imporle il ritorno dei Medici e la fine della Repubblica, i nobili fiorentini decisero di tirare a Carlo V uno schiaffo morale, mettendosi a disputare la prima partita di cui si ha memoria scritta in Piazza Santa Croce, sotto gli occhi degli Imperiali che osservavano strabiliati dalle colline.
In realtà, il gioco affondava le sue radici nell’Impero Romano, come la città. Florentinum Harspatum era il nome con cui era conosciuto al tempo dei Cesari, e praticato un po’ in tutto il loro dominio. Quella del 1530 dunque fu una delle tante, anche se la più celebre delle partite. Il gioco proseguì per i due secoli successivi, per estinguersi praticamente con la dinastia Medici. Pare che l’ultima partita ufficiale fu giocata a Santa Croce nel 1739, alla presenza di Maria Teresa d’Asburgo, che l’anno dopo sarebbe diventata Imperatrice d’Austria e per una combinazione del destino avrebbe sposato quel Francesco di Lorena destinato ad ereditare proprio la corona granducale dai Medici.
Fu il gerarca fascista Alessandro Pavolini nel 1930, per celebrare la ricorrenza del quattrocentesimo anniversario della storica partita-beffa contro Carlo V, a promuovere la ripresa del Calcio Storico fiorentino. Mentre nel frattempo una sua variante aveva germogliato in Inghilterra prima e nel mondo poi sotto il nome di football, il calcio di Firenze riprese quindi la sua epopea nella cornice tradizionale della Piazza dove in ottemperanza al Regolamento del Giuoco del Calcio stilato da Giovanni de’ Bardi nel 1580 si disputava da sempre.
Se lo Scoppio del Carro era nel frattempo migrato verso il giorno di Pasqua, le sfide calcistiche rimasero ancorate alla Festa del Patrono, con le tradizionali semifinali e finale disputate tra i quattro rioni storici della Città: i Bianchi di Santo Spirito, gli Azzurri di Santa Croce, i Rossi di Santa Maria Novella e i Verdi di San Giovanni. Con l’unica interruzione dovuta alla guerra mondiale (che non impedì comunque la disputa di una partita vinta nel 1942 dai Rossi sui bianchi per una caccia e mezza a una), il calcio storico ha onorato San Giovanni e Firenze fino ai giorni nostri.
In alcune occasioni straordinarie il calcio fiorentino è stato giocato anche in altre città, per esempio il 28 agosto 1960, quando si giocò a Roma, a Piazza di Siena, in occasione delle Olimpiadi, oppure il 12 ottobre 1976 quando una partita venne effettuata a New York nell'ambito delle manifestazioni del Columbus Day. Il 3 luglio 1998 un incontro si disputò nella Place Bellecour di Lione in occasione dei mondiali di calcio.

Di tradizione più recente sono il Corteo Storico con gli Sbandieratori, le gare fra i club di Canottieri in Arno e soprattutto i fuochi d’artificio. O Fochi.


Regolamento del Giuoco del Calcio a Firenze
di Giovanni de’ Bardi, 1580
suddiviso in trentatre capitoli

  1. Teatro del Calcio sia la Piazza di S. Croce.
  2. Dal giorno sesto di Gennaio fino a tutto il Carnevale, sia il campo conceduto agli esercizi del Calcio.
  3. Ciascun dì verso la sera, al suono delle Trombe compariscano in campo i Giuocatori.
  4. Qualunque Gentiluomo, o Signore vuole la prima volta esercitarsi nel giuoco: siasi avanti rassegnato al Provveditore.
  5. Facciasi cerchio, e corona in mezzo al Teatro con pigliarsi per mano i Giuocatori; acciò dal Provveditore, e da quei, che saranno da lui a tale effetto invitati, siano scelte le squadre, e ciascuno inviato al posto, ed uficio destinatoli.
  6. Nel Calcio diviso, il numero de' Giuocatori sia di 27 per parte, da distribuirsi in 5 Sconciatori, 7 Datori, che quattro innanzi, e tre addietro: e quindici corridori in tre quadriglie: tutti per combattere ne' luoghi ed ordini soliti, e consueti del Giuoco.
  7. I Giuocatori siano a tal fine trascelti, e descritti nella lista, né aggiugnere vi se ne possa, o mutarne.
  8. In vece de' Mancanti, prima di cominciar la battaglia, proponga il Provveditore gli scambj; I Giudici gli eleggano.
  9. Escano le Schiere in campo all'ora concordata.
  10. Nella comparsa i Primi siano i Trombetti, Secondi i Tamburini, poi comincino a venire gli Innanzi più Giovani, a coppie, di maniera che a guisa di scacchiere nella prima coppia a man dritta sia l'Innanzi dell'un colore, nella seconda dell'altro, nella terza come nella prima, seguendo coll'ordine predetto di mano in mano. Dopo tutti gli Innanzi vengano gli Alfieri a' quali nuovi tamburi marcino avanti. Appresso loro seguano gli Sconciatori. Dietro questi i Datori innanzi, de' quali quelli del muro portino in mano la palla. Per ultimi succedano i Datori indietro.
  11. Quel degli Alfieri cui la sorte averà eletto sia alla destra.
  12. Girata una volta la piazza, le insegne diansi in mano de' Giudici. Nelle livree più solenni, e nelle disfide si consegnino a i Soldati della Guardia del Sereniss. Granduca Nostro Signore, per tenersi ciascuna d'avanti al proprio Padiglione.
  13. Pur nelle livree, e Disfide, il Maestro di Campo, colle Trombe, e i Tamburi avanti, vada il primiero, seguito dagli innanzi del suo colore a coppie, precedenti tutti l'Alfiere, il quale colle genti di suo servizio d'attorno porti l'insegna, seguito poi dagli Sconciatori, e Datori: uscendo di così in ordinanza, ciascuna schiera di per se dal proprio Padiglione, giri sulla man destra tutto il Teatro fino al luogo donde prima partì.
  14. In luogo alto, e sublime, sì che è veggano tutta la piazza, seggano I Giudici. Siano eletti di comun consenso, né concordandosi, de' proposti dalle Parti in numero uguale, pongansi alla ventura.
  15. Al primo tocco della Tromba, che faran sonare i Giudici si ritirino tutte le genti di servizio, lasciando libero il campo.
  16. Al secondo, vadano i giuocatori a pigliare i lor posti.
  17. Al terzo, il pallaio vestito d'amendue i colori, dalla banda del muro rincontro al segno di Marmo, giustamente batta la palla.
  18. Coll'istesso ordine si cammini, sempre, che per essersi fatta la caccia, o il fallo, debba darsi nuovo principio al giuoco.
  19. Il Pallaio gli ordini de Giudici prontamente, eseguendo sempre, e dovunque bisogno ne sia, la palla rimetta.
  20. Uscendo la palla de gli steccati portata dalla furia de' Corridori rimettasi per terra in quel luogo dond'ella uscì.
  21. Uscendo la medesima de gli steccati per mano del Datore, (mentre non sia caccia, né fallo) se i Corridori vi saran giunti in tempo, che potessero al nemico Datore impedirne il riscatto, rimettasi quivi per terra; ma non sendo arrivati in tempo, diasi in mano al Dator più vicino, ed allora i Corridori tornino dentro a gli Sconciatori a' lor luoghi ed ufici, senza perder però l'avvantaggio della piazza già guadagnata.
  22. Sia vinta la caccia sempre, che la palla spinta con calcio, o pugno esca di posta fuora degli ultimi steccati avversarj di fronte.
  23. Sia sempre fallo, che la palla sia scagliata, o datole a mano aperta, sì che ella così percossa s'alzi oltre l'ordinaria statura di un uomo.
  24. Sia fallo eziandio, quando la palla resti di posta fuora dell'ultimo steccato dalla banda della fossa.
  25. Se la palla esca di posta fuori dello steccato verso gl'angoli della Fossa, la linea diagonale della piazza prolungata distinguerà se sia Fallo, o Caccia.
  26. Due falli, in disfavore di chi gli fe', vagliano quanto una caccia.
  27. Vinta la caccia, cambisi posto. Alle disfide nel mutar luogo l'Insegna vincente sia portata per tutto alta, e distesa, la perdente fino a mezzo bassa, e raccolta.
  28. Rompendosi la palla da' Corridori, che fossero stati, nell'atto del darle, già fuora degli Sconciatori, s'intenda esser mal giuoco, e da' Giudici si determini ciò, che sia di ragione.
  29. Nell'interpretare, ed eseguire i presenti Capitoli, ed in ciò, a che per essi non si provede, sovrana sia l'autorità de' Giudici, e da loro se ne attenda presta, ed inappellabil sentenza.
  30. Vincansi le deliberazioni fra loro, colla pluralità de' voti.
  31. Un giuocatore per parte, e nella disfida Mastro di campo, e non altri, abbiano autorità di disputare d'avanti a' Giudici tutte le differenze occorrenti.
  32. Sia spirato il termine, e finita la giornata allo sparo, che sarà fatto d'un mastio subito sentite le 24 dell'oriuol maggiore.
  33. Sia la vittoria di quella parte, che avrà più volte guadagnata la caccia, ed allora le insegne siano dell'Alfiere vincitore: ed in caso di parità ciascuno riabbia la sua.


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