mercoledì 15 giugno 2016

Tragedia di Newtown. Siamo tutti americani. E il Bowling non abita più solo a Columbine



You&News, 15 dicembre 2012

La strage alla Sandy Hook Elementary School di Newtown, Connecticut, viene da lontano. E lontano porta la strada lungo la quale si è compiuta. Ce ne saranno altre, lo sappiamo tutti. Quando si saranno asciugate le lacrime di Obama e di tutti gli americani che si sono svegliati con le news di questo nuovo orrore e gli inevitabili rimorsi di una coscienza troppo spesso frastornata o comunque inascoltata, quando si saranno spente le eco delle manifestazioni di protesta davanti alla Casa Bianca e agli altri luoghi del potere americano per chiedere leggi più restrittive sul possesso e l’uso delle armi, quando i media su cui scriviamo e leggiamo queste riflessioni a caldo o a freddo saranno carta straccia o bites d’archivio, allora sarà il momento per nuove lacrime e per nuovi orrori.
La commozione di Barack Obama
Il male, cari signori, questo male che ci strazia oggi come in passato, è dentro di noi. E’ dentro la razza umana. Si può circoscriverlo alle Lobbies venditrici di armi, alla cultura di frontiera americana, agli stessi Stati Uniti che molti si ostinano ancora a vedere come Grande Satana dei nostri tempi. Ma in realtà è un male insito nell’uomo, e cambia solo la forma in cui si manifesta e le sue cause scatenanti, da una latitudine all’altra, da una cultura all’altra.
All’epoca del precedente più famoso di questa ultima tragedia a Newtown, il massacro alla Columbine High School in Colorado, il regista Michael Moore ha descritto bene nel suo film documentario Bowling a Columbine il malessere specifico che affligge la società americana. Moore è famoso per le sue posizioni estremamente critiche verso l’establishment e la cultura ufficiale americani, eppure non ha avuto esitazioni a propugnare una tesi piuttosto eterodossa rispetto alle posizioni di quanti in queste ore credono che basti vietare il possesso di armi e chiedono leggi in tal senso come la panacea di tutti questi mali. Al contrario, il regista giunge alla conclusione che "non è l'arma in sé a creare il crimine, ma la paura del crimine stesso che negli Stati Uniti, attraverso i suoi mezzi d'informazione e l'uso politico delle differenze sociali, porta chiunque a diffidare del prossimo, trascinando questi contrasti a forme di difesa personale eccessiva".
In altre parole, c’è qualcosa che alimenta – nella cultura ufficiale – le turbe psichiche di tanti americani (anche se non spesso, per fortuna, fino al livello dello sciagurato Adam Lanza che ha rivolto l’arma contro la propria madre insegnante e poi contro dei bambini inermi) e che li spinge prima o poi a reazioni eccessive. Contro chi? Contro altri cittadini come loro, vittime altrettanto inermi dello stesso sistema.
Le conclusioni di Moore sono avvalorate dalla sua indagine, che mette a confronto con gli USA il vicino Canada, dove un background culturale ed una legislazione tutto sommato abbastanza simili hanno portato comunque nel tempo a risultati assolutamente diversi, dal momento che simili tragedie a nord dei Grandi laghi non si verificano.
Michael Moore - Bowling a Columbine
E allora? Le risposte ormai le conosciamo da decenni. La frenesia alienante dei ritmi di vita e della ricerca di un presunto benessere americani (unitamente al rovescio della medaglia rappresentato dalla crescente insicurezza causata dalle vere o supposte aggressioni da parte di nemici interni o esterni) sono andate ad innestarsi su un tronco culturale che è quello impiantato nel continente nordamericano da archetipi quali i Padri Pellegrini (gente che fuggiva da persecuzioni e orrori senza nome nel Vecchio Continente) e gli Uomini della Frontiera (gente che per molti decenni non ebbe altra difesa contro una natura e delle popolazioni ostili se non le proprie armi e la propria abilità nell’usarle). Fino a tutto il diciannovesimo secolo, una cultura legalitaria quale la intendiamo noi non si affermò nel territorio statunitense se non con estrema difficoltà. Finché appunto ci fu una Frontiera da conquistare, non solo socialmente ed economicamente, ma anche giuridicamente.
Queste cose le sappiamo tutti, fino alla noia. Dal John Steinbeck di Furore al Joel Schumacher di Un giorno di ordinaria follia, sappiamo tutto di quanto possono essere devastanti certe aberrazioni della cultura americana. E fino alla noia possiamo riproporre l’eterno dibattito, ideologico anche nell’epoca della fine delle ideologie: è un male esclusivamente degli ingenui, ipocriti e rozzi americani, come si legge da più parti in queste ore? O è un male di tutta la razza umana? Oppure anche noi, in forme più raffinate e soltanto apparentemente meno ipocrite, siamo capaci di rivoltarci contro noi stessi, i nostri cuccioli, la nostra dignità umana?
Da queste parti, è molto più difficile (in apparenza) mettere le mani su un’arma, almeno legalmente. Ancora le nostre psicosi individuali e/o di massa non ci hanno spinti al procedimento inverso a quello americano, chiedere cioè a gran voce, pubblicamente ed in forma organizzata la liberalizzazione delle armi da fuoco. Ciò non significa che la realtà che sta sotto alle nostre civiltà e cultura apparentemente più progredite non sia altrettanto a livelli di guardia di quella americana. Basta girare per le periferie di qualsiasi nostra città medio-grande e parlare con la gente che ci vive per rendersi conto che a molti piacerebbe l’idea di qualche drugstore aperto H24 con licenza di vendita di armi da fuoco. Sicuramente per questa gente sarebbe un’idea più accettabile che non quella di uscire dopo cena a buttare la spazzatura o portare fuori il cane e trovare, e trovarsi, a dio-solo-sa-cosa.
Per non parlare di altre amenità. Ci sono regioni italiane in cui il possesso di armi alla luce del sole e l’uso efferato delle stesse in sparatorie che coinvolgono e uccidono innocenti anche in tenerissima età sono – in proporzione – all’ordine del giorno allo stesso modo che nelle metropoli americane. Che Scampia sia un luogo più sicuro del Bronx o che una scuola elementare di Casal di Principe sia più a cuor leggero frequentabile di quella di Newtown è tutto da dimostrare. Con buona pace delle nostre leggi più evolute e della nostra civiltà più raffinata, noi che invece dei rozzi Padri Pellegrini potremmo vantare ben altri archetipi, come i filosofi della Magna Grecia, per rimanere alle zone sopra citate.
Ci sono poi intere regioni, la Toscana per esempio è una di queste, dove per almeno cinque mesi l’anno è consentito a chiunque dietro pagamento di una apposita tassa (e nessun altro esame attitudinale) di girare armati pressoché dovunque, comprese le proprietà private altrui, e sparare a tutto ciò che si muove. Queste persone si chiamano cacciatori, termine anche nobile nel nostro glossario. In realtà sono persone con licenza indiscriminata di uccidere, erga omnes. Dal gatto di casa vostra a propri parenti e consanguinei, a estranei, voi stessi compresi se andate a fare una passeggiata nel bosco sbagliato nei giorni sbagliati.
Cacciatori italiani
C’è un ordinamento giuridico che, a chiacchiere, funziona molto meglio di quello americano, o almeno di ciò ci vantiamo. Di fatto, se stermini la tua famiglia in modo efferato te la cavi con tre-quattro anni di galera, ti fai un sacco di pen-pal e alla fine ti affidano al servizio sociale, e se sei fortunato anche ai talk-show. Se sei uno psicopatico che minaccia di morte la ex-compagna hai buone probabilità che il Gip a cui sei stato segnalato ritenga la tua pratica infondata (del resto, cosa si vuole, ne arrivano talmente tante sul suo tavolo!). Se poi guidi senza patente, ubriaco e ammazzi qualcuno sulle strisce, ci sono buone probabilità che ti venga data una seconda chance. Di riprovarci, sì, e se la prima volta non hai fatto strike, ritenta, sempre sulle strisce ovviamente, e forse sarai più fortunato.
Chissà dove ambienterebbe il suo Bowling Michael Moore, se fosse un regista italiano. Non certo a Columbine, ma le location qui si sprecano. Chissà chi è andato a fare più danni, storicamente parlando, se i Padri Pellegrini che sbarcarono a Newport, Rhode Island, o tutti i sepolcri imbiancati che rimasero in Europa a far finta che tutto andasse bene. E tutti in nome di Dio e della propria superiorità culturale sugli altri.
Le marce di protesta si fanno sempre bene a casa degli altri. A casa propria, mai.

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