Arrivare a Trieste lungo la
litoranea che da Sistiana scende a Barcola non è soltanto un itinerario geografico,
ma piuttosto un’esperienza di vita, e di quelle intense. Dopo aver percorso il
tratto terminale friulano della pianura padana, che costeggia il Carso fino a
Duino ed al Lisert, all’improvviso ci si trova di fronte al mare, ed è sempre
una vista che non lascia indifferenti.
Unico tratto italiano dell’Adriatico
dove il sole va a morire sul mare, anziché nascervi, la città di Trieste sorge sulle
rive di un ampio golfo contornato sullo sfondo dalle Alpi italiane e austriache
e da un orizzonte sul quale nelle giornate migliori, quando la Bora ripulisce
il cielo dalle nuvole, si può intravedere perfino Venezia ed il suo Campanile
di San Marco.
In questo angolo di mondo che
sembra essere stato dotato dalla natura di tutti i doni possibili, il porto
naturale più ospitale e capiente del tratto di mare compreso tra la penisola
balcanica e quella italiana, insieme alla politica illuminata adottata dai suoi
possessori per ben sei secoli, gli Asburgo Imperatori d’Austria (non a caso
ancora oggi rimpianti da molti “nostalgici”), ha fatto sì che sorgesse una
delle città più cosmopolite e veramente internazionali d’Europa.
Superando il Castello di
Miramare, costruito da Massimiliano d’Asburgo come residenza personale prima della
sua sfortunata e fatale avventura in Messico, e poi base del Comando militare
dei Blue Devils, i soldati americani di stanza a Trieste prima del suo ritorno
all’Italia nel 1954, e la riviera di Barcola, di fronte alla quale si svolge la
celebre regata annuale, ed arrivando al centro storico che sorge intorno al
Porto Vecchio ed a quelle che i triestini chiamano le Rive, ci si accorge
presto di essere arrivati nella capitale di tante cose: della Mitteleuropa, più
di Vienna, Budapest o Praga, del Mediterraneo civilizzato dalla marina e dal
commercio italiani, di un impero che aveva saputo trascendere la sua origine
montanara austriaca per diventare il più straordinario melting pot di
genti e di culture realizzato dall’uomo prima degli Stati Uniti d’America.
Trieste è la città della Bora,
il vento di est-nord-est che trae origine dalla pianura ungherese e che quando soffia
a più di cento chilometri orari (cioè quasi sempre) è capace di gettare in mare
anche i veicoli più pesanti che si trovano sulle Rive. Ma è anche e soprattutto
la città del Neoclassico, che qui ha avuto la sua massima espressione.
Basta mettere le spalle al
Molo Audace (che prende il nome dall’incrociatore italiano da cui la mattina
del 3 novembre 1918 scesero i bersaglieri con il tricolore a rivendicare la
città al Regno d’Italia) e guardare verso la Piazza dell’Unità d’Italia, che già
da sola offre gli splendidi esempi architettonici rappresentati dai palazzi una
volta di proprietà del governatore imperiale o delle assicurazioni (Trieste fu
il porto della penisola in cui i Lloyd di Londra scelsero di stabilirsi,
fondando il Lloyd Triestino), e adesso sedi di Comune, Regione Autonoma e
Prefettura.
Dalla piazza, poi, percorrendo
le Rive o addentrandosi nell’interno per le vie del borgo medioevale o per i
nuovi quartieri voluti nel settecento da Maria Teresa d’Asburgo fino alla
Stazione e al Porto che la sovrana stessa volle come via d’accesso marittima
all’Impero, è un percorso architettonico e culturale che sublima neoclassico e
Mitteleuropa come non è dato di vedere da nessun altra parte.
L’antica città romana di
Tergeste, costruita in un punto strategico per le comunicazioni tra le due
penisole affacciate sull’Adriatico, aveva conosciuto una fase di decadenza
durante il dominio della Serenissima repubblica di Venezia, che non tollerava
concorrenti. Quello che fu vissuto come un pericolo mortale da gran parte dell’Europa
e del Mediterraneo, l’ondata espansiva turca ottomana, si rivelò il colpo di
fortuna decisivo per i triestini.
Gli Asburgo, unici sovrani
dell’Europa dell’Est che parevano in grado di fermare la marea ottomana, si annessero
la parte della penisola balcanica fino al nord della Serbia, compresa l’Istria
e, appunto, Trieste. E quando Maria Teresa, la più lungimirante dei sovrani
austriaci, desiderò dotare l’Impero di uno sbocco al mare che facesse
concorrenza a Venezia, a Istanbul, a Genova e a chiunque altro nel Mediterraneo
attirando i commerci del Commonwealth inglese, la città incontrò il suo
destino.
Abbattute le mura medioevali,
costruiti il porto e la ferrovia, attirati nella città commercianti e
imprenditori di tutte le etnie e confessioni religiose, la grande impresa di
Maria Teresa provocò dapprima il boom di abitanti (da 6.000 a 30.000 alla metà
del 18° secolo) e poi, nel secolo successivo dopo la caduta della repubblica di
Venezia, il suo primato economico e culturale. Trieste è a tutt’oggi l’unica
città italiana in cui sono presenti edifici di culto di tutte le confessioni
religiose europee. In particolare la chiesa serbo-ortodossa spicca per lo
splendore della sua facciata, in un quartiere che di splendide chiese ne può
vantare molte.
E molte sono le vestigia di un
passato culturale glorioso. Da Italo Svevo, a Scipio Slataper, a Reiner Maria Rilke,
a Umberto Saba (del quale si può ammirare ancor oggi la storica libreria dove
lavorò), al triestino d’adozione James Joyce (che vi soggiornò a lungo e qui
iniziò la stesura del suo capolavoro, l’Ulysses), la storia della
letteratura a cavallo tra la fine dell’ottocento e la prima guerra mondiale fu
scritta in gran parte qui. Pare che, in tutto il diciannovesimo secolo, il solo
Stendhal rimanesse immune del fascino di questa città e proprio qui accusasse
una pausa nella propria celebre sindrome. Come dire, l’eccezione (per quanto clamorosa)
che conferma la regola.
Nessun commento:
Posta un commento