L’anno scorso il simbolo di
Fiorentina – Napoli fu il buon David Pizarro che in mezzo al campo al fischio
finale mimò il gesto delle manette, a sottolineare l’esito di una partita
giocata dai suoi come meglio non si poteva e diretta dall’arbitro come peggio
era difficile fare. Quest’anno è impossibile non scegliere a simbolo di questa
riedizione (che in sede di presentazione del campionato 2014-15 era stata
presentata come lo “spareggio per il terzo posto”) il pessimo Iosip Ilicic che
dapprima si toglie via dal braccio la fascia nera sbattendola a terra e poi –
novello Batistuta – al momento di uscire dal campo risponde ai fischi
assordanti del Franchi con il dito sulle labbra, a zittire tutti.
Peccato non fossimo al Nou Camp.
Peccato che quella fascia nera fosse il simbolo di un lutto profondamente
sentito dalla gente di Firenze, commossa e grata nell’ultimo addio a uno degli
eroi del secondo scudetto, Giambattista Pirovano, spentosi proprio alla vigilia
di questo sciagurato Fiorentina – Napoli.
Sono tante le cose che i prodi
guerrieri in maglia viola si sono dimenticati di onorare, non soltanto la
memoria di questo loro antico ex collega che da solo valeva quanto buona parte
dei quattordici scesi in campo ieri sera messi assieme. Oltre al buon Pirovano,
perlatro, c’era anche una vendetta sportiva – tanto per dirne una – da
consumare rispetto alle ingiustizie sofferte proprio nella stagione scorsa
contro questo stesso Napoli. Per non parlare di una tifoseria accorsa una volta
di più a sostenere i propri beniamini “senza se e senza ma”, a dispetto di una
classifica che non è ancora preoccupante (né potrà probabilmente diventarlo
perché almeno tre squadre più impresentabili di questa Fiorentina vivaddio ci
sono) ma sicuramente è mediocre nella maniera più desolante, per una squadra
che si era presentata spezzando le reni nientemeno che al Real Madrid.
Stavolta il Napoli per “razziare”
Firenze non ha avuto bisogno di arbitri compiacenti (Valeri e i suoi
collaboratori sono stati impeccabili, pescando Higuain per esempio in un
millimetrico fuorigioco nella prima delle sue due segnature, giustamente non
convalidata), né delle sceneggiate di “Genny ‘a carogna” e compagni (con
relativa latitanza e/o compiacenza delle cosiddette autorità). Si è potuto
addirittura permettere di perdere Insigne nei primi minuti di gioco, per una
contrattura muscolare abbastanza grave e non se n’è quasi accorto nessuno.
Maertens non l’ha fatto rimpiangere, il Napoli ieri sera era troppo squadra
rispetto alla Fiorentina per fermarsi “per così poco”.
Agli azzurri di Rafa Benitez è
stato sufficiente essere schierati in campo con la saggezza di un allenatore
che all’età del suo dirimpettaio già vinceva le Champion’s (vero, Milan?) e
aver ritrovato forma fisica e determinazione che erano mancate all’inizio di
questa stagione, insieme ad un Gonzalo Higuain in forma mondiale, quella che –
per capirsi – aveva quasi fruttato all’Argentina un titolo mondiale ai danni
della più forte Germania.
Di fronte a questa armata
ricompattata, che non fa mai cose eccelse ma che difende in modo arcigno
(orchestrata dal mai troppo poco rimpianto Christian Maggio) e riparte in
contropiede in modo micidiale con i suoi attaccanti Higuain, Callejon e
Maertens, è scesa in campo una Fiorentina che è sembrata più che in difficoltà
tecnico-tattica momentanea. E’ sembrata decisamente alla fine di un ciclo, una
volta di più.
Le due squadre, se si vuole, sono
le stesse per organico della scorsa stagione, ma mentre il Napoli sembra aver
trovato una dimensione di squadra più matura, mettendosi al servizio del suo
micidiale goleador senza fronzoli né incertezze, la Fiorentina ha smarrito
anche quelle sue poche, di certezze. Gli uomini che l’anno scorso avevano fatto
la differenza, sopperendo anche all’assenza pesantissima di Gomez e Rossi,
quest’anno sembrano ragazzotti allo sbando in un gioco più grande di loro.
Il resto lo fa un Vincenzo
Montella che, dopo la parentesi felice di giovedi con il Paok, sembra tornato
quello degli ultimi due mesi: in confusione mentale, oppure in polemica con una
società a cui aveva chiesto altri effettivi che non questi con cui si ritrova,
e con i quali non vuole o non sa più preparare le partite. Narra Radio
Spogliatoio che il tecnico di Pomigliano d’Arco sia ai ferri corti ormai con lo
staff dirigenziale viola, leggasi Mario Cognigni, il potente factotum di una
proprietà che stenta a superare la propria estraneità rispetto al mondo del
calcio. E’ probabilmente un film già visto, non molti anni fa, e c’è da
chiedersi quando arriverà alle orecchie del successore di Cesare Prandelli la
stessa fatidica frase: “si cerchi un’altra squadra”.
Se Montella però è in questo
momento un condottiero allo sbando, i suoi uomini non lo aiutano con la loro
condizione malcerta. Qualcuno mette sul banco degli accusati la preparazione
estiva, fatta più sulle spiagge di Copacabana che sulle montagne delle Alpi e
dell’Appennino come usava una volta. Ma è un alibi che non regge, anche le
squadre che stanno davanti alla Fiorentina in classifica hanno preferito il
fruscio dei soldi delle tournée estive al sudore delle corse in salita. Eppure
adesso pedalano molto più veloce dei viola, anche senza prendere a pietra di
paragone il più lento di tutti, quel Iosip Ilicic che perfino ieri per
offendere la memoria di un morto glorioso che ha onorato la maglia da lui
adesso indegnamente indossata e la platea che giustamente fischiava la sua
inguardabile prestazione ci ha messo un tempo interminabile, tanto si muove al
rallentatore.
Degli altri, non è che ci sia
molto più da dire. Tolti i 10 minuti finali in cui il fiato del Napoli era un
po’ calato e le residue briciole di orgoglio viola sono tornate a galla, la Fiorentina
è stata tutta in un tiro da fuori di Babacar che ha scheggiato la traversa
nell’agghiacciante primo tempo in cui gli azzurri potevano segnarne almeno
quattro senza discussione, e in un colpo di testa di Mario Gomez che ha avuto
la stessa sorte nella ripresa, poco dopo che i due portieri si erano esibiti in
parate spettacolari (Neto su Higuain e Rafael su Cuadrado) e che il Pipita però
aveva trovato il corridoio giusto portando finalmente in vantaggio i suoi.
Nell’Armata Brancaleone disposta
da Montella indietro il solo Savic appare in crescita rispetto al passato,
Tomovic pare tornato quello di Genova (sul gol di Higuain è andato a marcare
Neto) e Alonso quello di Firenze un anno fa, mentre Gonzalo Rodriguez è uno dei
fenomeni involutivi più clamorosi della storia del calcio a Firenze. In mezzo,
Aquilani è costretto a fare il Pizarro anche quando c’è Pizarro, che comunque è
meglio dell’attuale ectoplasma a nome Borja Valero (chissà se Del Bosque si fa
ancora risate per gli appelli dei tifosi fiorentini prima dei mondiali). Per
non parlare di Mati Fernandez, tornato giocatore da calcio a cinque come agli
esordi viola.
In avanti, fuori il Vargas in
forma smagliante di questo periodo a beneficio di un incomprensibile Ilicic (ma
forse Cognigni & C. potrebbero dare qualche spiegazione di questa
preferenza), con un Cuadrado in questo momento emarginato dal gioco di una
squadra che trotterella e tocchetta (quando non è costretto a fare il terzino
dalle buche lasciate dai compagni), le uniche note positive sono costituite da
un Babacar che appare grandemente maturato, riuscendo quasi da solo a fare
reparto, e da un Gomez che mostra di stare ritrovando una condizione
accettabile, se Eupalla non lo fermerà di nuovo con qualche malanno.
La banda Montella contro il
rasoio affilato di Benitez è apparsa alla fine di un ciclo, dicevamo. La
scommessa di puntare su giocatori che avevano fatto un gran campionato (oltre
che sul recupero di Pepito Rossi) aggiungendo solo alcuni rincalzi di presunta
qualità si è dimostrata perdente. Probabilmente alcuni personaggi di questa
Armata, che in casa non segna da quattro partite e che in undici partite ha
fatto tredici punti perdendone già quattro e vincendone solo tre, hanno dato il
massimo e adesso sono in fase discendente. Il giochino di Montella ormai tra
l’altro lo conoscono tutti, e inoltre è apparso anche snaturato, a metà del
guado tra il vecchio tiki taka e una velleitaria ricerca della profondità.
Senza Jovetic né Rossi e con
Cuadrado atteso al varco da almeno due marcatori fissi (senza che nessuno dei
suoi compagni sappia approfittare di questo raddoppio), le speranze viola di
buttarla dentro sono affidate a quei due ragazzoni là davanti, il tedesco ed il
senegalese. Sulle loro spalle sta il peso di portare in fondo questo campionato
senza farlo diventare l’ennesimo, devastante anno zero.
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