Succede nella vita di
tutti di incontrare prima o poi il proprio limite. Dentro di noi sappiamo più o
meno qual è, sappiamo dove possiamo arrivare e dove saremmo costretti a
fermarci, a cose normali e senza il concorso di circostanze più che favorevoli.
Ma trovarsi di fronte alla constatazione di tutto questo è un’altra cosa. La
fine delle illusioni, il brusco risveglio sono sempre dolorosi, per quanto
preparato possa essere il nostro inconscio.
Succede anche alle squadre di
calcio. La Fiorentina partiva per Sevilla portandosi dietro una prestigiosa
imbattibilità esterna nell’Europa League giunta alla semifinale, oltre
all’enorme carico delle illusioni di tutti i suoi tifosi, quelli imbarcatisi
sull’aereo con lei e quelli rimasti a casa, molti dei quali già in possesso del
biglietto per il match di ritorno da giocare in uno stadio Franchi che si
annunciava strapieno.
Le ragioni del tifo, si sa, non
sono mai facili da confutare, anche se difficilmente possono sostituirsi alla
realtà. E la Fiorentina era destinata ad incontrare la propria realtà, il
proprio limite, sul terreno di gioco dello stadio Ramon Sanchez Pizjuan al
cospetto dei detentori della Coppa. Una sfida affascinante ed intrigante, tra
la quinta della Liga spagnola e la quinta del campionato italiano, ambedue
accreditate di un gioco piacevole a vedersi come pochi altri ma in entrambi i
casi non sufficiente a consentire loro di fare risultato contro le rispettive
prime della classe nazionali, il Real e la Juventus.
Era dunque uno spareggio per il
torneo di consolazione, questa Europa League che ha sostituito solo in parte la
vecchia e prestigiosa Coppa Uefa, ma che comunque distribuisce pur sempre un
posto gratis nella prossima Champion’s. Una posta in palio più che sufficiente
a nobilitare una stagione altrimenti da rubricare come semplicemente “positiva”.
Con il 99,9% delle probabilità
sarà il Sevilla a volare a Varsavia per l’ultimo atto, quello che la opporrà al
sorprendente Dnipro beneficiato da una svista alla Ovrebo oppure ad un Napoli
ferito nell’orgoglio e capace di rimontare in Ucraina. Gli andalusi detentori
del trofeo hanno messo sotto ed umiliato la Fiorentina con un secco 3-0. E
adesso già circola a Firenze la battuta: il prossimo sponsor della Fiorentina
sarà la TRE. Per chi si mettesse in collegamento soltanto adesso, il
riferimento è al numero dei gol incassati mediamente nell’ultimo mese e mezzo
dalla squadra viola in ogni partita giocata.
E’ bene ricorrere ad un po’ di
umorismo, altrimenti come si commenta un match come questo, dove la Fiorentina
per un tempo gioca addirittura meglio dei più quotati avversari mettendoli in
difesa in casa propria e sprecando, anzi “strafalcionando” (ci si perdoni il
doveroso neologismo) almeno quattro occasioni da gol di quelle che anche il vostro
cronista di mezza età, un po’ sovrappeso e completamente fuori allenamento
trasformerebbe tranquillamente?
Una squadra meno leziosa e meno
idiosincratica al gol di quella viola chiude il primo tempo in vantaggio almeno
per due a zero e chiude soprattutto i discorsi, cominciando a pensare se sia
meglio per la finale trovare il modesto ma galvanizzato Dnipro già regolato un
anno fa sempre in Coppa o il forte ma affaticato Napoli contro il quale cercare
più di una rivincita.
La Fiorentina no, non gioca per
segnare gol agli avversari (lo si vede perfino nell’allucinante minuto di
recupero finale in cui gioca per linee laterali assolutamente compassata, come
se stesse gestendo una tranquilla vittoria casalinga invece che cercare di
limitare i danni per tenere viva la speranza) ma per stordirli e stordirsi di
passaggi e triangolazioni fini a se stesse e a poco altro, se non a consentire
agli avversari stessi un più agevole recupero del pallone ed una fulminea
ripartenza che la trova regolarmente sguarnita in difesa.
La Fiorentina non chiude nel
primo tempo una partita già vinta, ed anzi chiude in svantaggio. Perché il
Sevilla segna prontamente nell’unica occasione da gol che ha in tutta la prima
frazione. Aleix Vidal non ha nulla a che vedere con il suo omonimo Arturo della
Juventus, ma nella circostanza può permettersi di piazzarla come un giocatore
di biliardo, perché di difensori o di centrocampisti in maglia viola dalle sue
parti non ce n’è neanche l’ombra. Un gol in fotocopia di quello preso da Biglia
all’Olimpico contro la Lazio. Come dire, mai imparare dai propri errori. Di
cosa parli Montella ai suoi giocatori nelle sedute di allenamento
infrasettimanali a questo punto non è dato sapere.
La Fiorentina irretisce ma non
segna quando ha la palla, e subisce senza remissione quando ce l’hanno gli
altri. E’ un limite questo della squadra viola che ormai conosciamo bene, dopo
tre anni di tiki taka montelliano. Ma a questi livelli viene fuori con una
chiarezza lampante. Siamo in semifinale, è giusto che il tuo avversario non ti
perdoni nessuna delle tue usuali sciocchezze. E’ giusto che un centrocampo come
quello andaluso – che non è, si badi bene, quello del Barcellona, altrimenti il
Sevilla sarebbe al posto del Barcellona in Spagna ed in Europa – ti
sopraffaccia prima o dopo. I centrocampisti viola del resto sono giocatori da
calcio a cinque o da playstation, anche questo lo sappiamo. Al Pizjuan è
arrivata la certificazione.
Gonzalo e Savic, coadiuvati da
una batteria di terzini nessuno dei quali è adeguato probabilmente a giocare a
questi livelli, reggono finché possono. Poi, alla seconda occasione sevillana –
creata da un centrocampo (nella fattispecie dall’impresentabile Badelj) che non
solo non aiuta la difesa ma la mette in difficoltà perdendo sovente palla sulla
propria tre quarti – devono soccombere ad un nuovo tiro chirurgico di Vidal,
stavolta coadiuvato da una scelta sbagliata di Neto, che si butta a proteggere
il palo più lontano ed improbabile.
Sul 2-0 per i padroni di casa, la
partita è chiusa, insieme alla stagione di questa Fiorentina. Seguono quaranta
minuti di agonia viola, durante i quali c’è solo – francamente – da vergognarsi
di come i nostri eroi cedono psicologicamente di schianto e finiscono per farsi
irridere dagli spagnoli ormai esaltati come toreri in una delle loro Plazas de
Toros. Alla fine i gol sono tre, forse per compiacere – secondo la battuta – il
prossimo sponsor. Cambia francamente poco. Una remuntada casalinga di questa
Fiorentina a questo Sevilla appare francamente già inverosimile sul 2-0, il
terzo gol di Gameiro al termine di una azione da flipper in un’area viola
completamente sguarnita di difensori non sposta assolutamente nulla.
Avrebbero potuto spostare
qualcosa forse i due rigori netti negati ai nostri eroi dall’arbitro tedesco
Felix Brych. Del resto, i viola come si è visto nelle ultime uscite segnano – o
non segnano – ormai prevalentemente su calcio di rigore o comunque da fermo
(magari calciato meglio di quanto sia in grado di fare l’attuale Matias
Fernandez). Avrebbero potuto, certo, ma paragonare gli episodi di Sevilla a
quelli di Monaco di Baviera del 2010 come fa un Della Valle in vena di
arrampicature sugli specchi a fine partita appare francamente eccessivo. Così
come appare eccessivo sentir dire a Montella che “abbiamo giocato alla pari”.
Per mezz’ora forse sì, poi i veri valori delle due squadre sono inesorabilmente
venuti fuori.
Da Andrea della Valle, o chi per
lui, vorremmo piuttosto sapere cosa ne sarà della banda viola adesso che la
stagione può considerarsi conclusa (in attesa di riprova già domenica prossima
ad Empoli) e che anche il ciclo aperto da Pradé e Macia tre anni fa può dirsi
giunto al termine. L’anno prossimo ci sono diversi cambiamenti da fare, nei
vari ruoli della squadra prima ancora che nello staff tecnico e dirigenziale.
Un esempio su tutti, ha ancora
senso mantenere al centro dell’attacco un Mario Gomez che per stoppare il
pallone rischia di farsi male in una spaccata degna di Heather Parisi? E se
proprio ormai si è rinunciato ad Aquilani (ieri tenuto a scaldarsi per buona
parte del secondo tempo malgrado non ci fosse alcuna evidente intenzione di
impiegarlo a ridare vita ad un centrocampo esangue), c’è l’intenzione di andare
sul mercato a cercare qualcuno in grado di stare in mezzo al campo con un po’
più di sostanza rispetto ai figuranti visti all’opera ieri sera?
Per dirne soltanto due, perché le
domande sarebbero tante di più, e probabilmente anche ingenerose (nella
sostanza e nei toni) se fatte in questo momento di comprensibile – per quanto prevedibile
– amarezza. Un ciclo, un progetto sono arrivati al termine, anche se non sono
mai stati veramente e compiutamente realizzati. Seguirà come l’altra volta
un’epoca di incertezze costellata di personaggi a cui “si spenge la luce” o di
schiaffoni tra allenatori e giocatori?
Chi vivrà, vedrà. Intanto è
arrivato il caldo, e si sente già profumo di mare. Ite, Missa est. La stagione
è finita, andate in pace.
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