Sevilla, capoluogo dell’Andalusia,
quarta città della Spagna per grandezza ed importanza, una delle ultime prima
di Gibilterra, il promontorio che gli Antichi consideravano una delle due
Colonne d’Ercole, la fine del mondo a loro conosciuto. La fine del mondo, il
limite estremo che non può essere superato. A meno di non voler fare la fine di
Ulisse, l’eroe che dopo l’Odissea di Omero Dante Alighieri – grandissimo poeta
ma uomo in tutto e per tutto del suo tempo, il Medioevo che credeva la Terra
piatta e il Mare Oceano delimitato da un bordo al di là del quale si
precipitava negli Inferi – immaginò perito in mare a causa della propria
superbia e perciò condannato a passare l’eternità all’Inferno.
Non è un caso forse che la
superbia di una Fiorentina sospinta avanti dall’eroe Mohamed Salah oltre i
propri meriti abbia incontrato il proprio limite qui, a 250 chilometri circa
dalla Fine del Mondo, o almeno di quel continente che sognava ad un certo punto
di conquistare, insieme alla certezza di disputare ancora l’anno prossimo le
Coppe europee.
Sevilla – Fiorentina è una
partita di cui si parlerà a lungo. Magari non tanto quanto le gesta dell’Eroe
di Omero per antonomasia, Odisseo, ma di sicuro più che del rinnovo del
contratto di Babacar o di Aquilani. Mettere sotto per un tempo i detentori dell’Europa
League e riuscire alla fine a perdere tre a zero non è roba che succede tutti
gli anni, nemmeno nei romanzi satirici di Stefano Benni. Neppure arrivare bene
o male ad una semifinale europea, anche se del torneo di consolazione che ha
preso il posto della vecchia gloriosa Coppa UEFA, è qualcosa che succede tutti
gli anni. La Fiorentina – va detto - l’ha fatto per la seconda volta in otto
anni. Il bicchiere viola, più che mezzo pieno o mezzo vuoto, assomiglia a
quelle sfere che si vendono su certe bancarelle: a seconda di come le giri, sul
paesaggio locale nevica o meno.
Fiorentina di nuovo tra le prime
quattro dell’Europa minore. Comunque vada a finire la remuntada giovedi
prossimo al Franchi, è comunque un risultato lusinghiero. Sono in molte le
società europee anche prestigiose a guardare quella viola da dietro le spalle
in questo scorcio di maggio 2015. Le due semifinali di EL di Della Valle
probabilmente valgono la finale UEFA di Pontello ed altrettanto probabilmente la
seconda Champion’s di Cecchi Gori (quella fermatasi al Mestalla di Valencia sul
gol annullato ingiustamente a Rui Costa), e stanno subito dietro la Champion’s
di Prandelli scippata da Ovrebo, Klose e compagnia bella.
Eppure, alzi la mano chi può
dirsi veramente contento, anche tra i tanti che ostentano un GRAZIE FIORENTINA
più di maniera che di sostanza. In una Firenze sconvolta dalla troupe
cinematografica di Ron Howard che sta girando l’ultima trasposizione del
capolavoro dantesco, l’Inferno di Dan Brown, i fiorentini viola si domandano arrovellandosi
se sia stato peccato di superbia sperare nel primo titolo dell’era dellavaliana
con questa squadra di pelotari di salsa spagnola e di poca hombrìa (alla prova
dei fatti), oppure se era lecito sognare, e come già altre volte è mancata la
fortuna, non il valore.
Un mese fa, la squadra scendeva
in campo per il match di ritorno con una Juventus bastonata a domicilio dalla
folgorante cavalcata di Salah, il terzo Califfo. Sembrava, del triplete che
baluginava davanti agli occhi dei tifosi gigliati abbacinati dal riverbero di
tanto splendore, l’appuntamento tutto sommato più facile. Un mese dopo non
rimane più niente. Si spera in un miracolo nel ritorno col Sevilla di quelli
che forse non si vedono più nemmeno a Mediugorje. Si spera anche di non fare
figuracce con l’Empoli, a questo punto temibile come una nave corsara saracena,
per salvare un quinto posto che comunque rappresenta un declassamento rispetto alla
fila di quarti che dai tempi di Corvino siamo abituati a considerare gembionz.
Allora com’è questo bicchiere?
Come la palla con la neve che cade sul Vesuvio o sulle Piramidi? O come quello
che un mese fa circa ci ha descritto accuratamente Eduardo Macia, all’atto di
salpare per l’ultimo viaggio (almeno in partenza da Firenze) come Odisseo?
Bastava che Gomez facesse il Gomez, che Montella si ricordasse a cosa serve nel
calcio il centravanti, oppure è colpa di una società che promette vittorie e
titoli, e poi quando si arriva al dunque stende sempre il cosiddetto braccino
fino ad un metro dal traguardo, e mai oltre?
Accademia, a questo punto. La
stagione 2014-15, a meno di un miracolo, volge al termine. Dice, ma il Bayern
ne ha fatti sei al Porto in rimonta. Più seriamente, se ci va bene, ma
parecchio bene, l’anno prossimo non si fanno i preliminari di Europa League. Se
ci va male, e non sarebbe di fuori visto che dall’ultimo allenamento della
Fiorentina arrivano rumors che parlano di musi lunghi e clima teso, si potrebbe
mandare in replica quel film che comincia con le polemiche sul nuovo stadio e
la proprietà che ridimensiona i suoi investimenti nell’autofinanziamento e che
va a finire tra un anno in una megacontestazione al termine di un campionato
che più che mediocre si potrebbe definire agghiacciante, passando per i
mercoledi trascorsi a vedere le repliche di Law and Order Unità Speciale, gli
schiaffi del prossimo allenatore al prossimo trequartista lavativo (ci sarebbe in
questo caso l’imbarazzo della scelta) e le polemiche devastanti tra chi non vuole
ritornare a Gubbio a spalare la neve e chi s’è rotto le scatole di aspettare
Rossi, Gomez, Godot, il 25 sulla Bolognese e un titolo che non arriva mai a
rinfrescare quello vinto da Manuel Rui Costa. Era, per chi non se lo ricorda,
il 2001. L’alba di questo secolo.
Per gli Antichi il mondo finiva
alle Colonne d’Ercole. Per i moderni a quelle di Cognigni. Se poi qualche
coraggioso Ulisse vestito di viola ci vuole smentire, saremo i primi ad esserne
contenti.
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