L’Unione Sovietica era più ad est
degli altri Alleati. La resa della Germania nazista firmata dal generale Jodl a
Reims nelle mani di Eisenhower fu comunicata all’Occidente alle ore 23,00 dell’8
maggio 1945. Per l’URSS erano già le prime ore del giorno 9. Per questo il V
Day, il giorno della vittoria in Europa che poneva fine alla Seconda Guerra
Mondiale, è il 9 maggio e non l’8.
Re Giorgio VI, Winston Churchill ed una giovanissima principessa Elisabetta salutano la folla in festa per la vittoria l'8 maggio 1945 |
Finiva il massacro più
abominevole dell’intera storia dell’Umanità. Nasceva, o poteva finalmente
nascere, una nuova Europa. Chissà se quella che abbiamo sotto gli occhi settant’anni
dopo assomiglia almeno vagamente a ciò che Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e
gli altri confinati di Ventotene avevano immaginato e descritto almeno in
embrione nel loro Manifesto del 1944, scritto quando ancora tuonava il cannone
ma già si lavorava ad un assetto del mondo futuro che impedisse una volta per
tutte il ripetersi dell’orrore scatenato da Hitler e dai suoi alleati e
seguaci.
La festa di quella vittoria non
si celebra più. E’ durata ancor meno di quanto durò quella della Prima Guerra
Mondiale, sopravvissuta un po’ dappertutto almeno fino agli anni settanta. In
Italia fu soppressa nel 1977 dal governo Andreotti, preoccupato della presenza
nel nostro calendario di troppe festività, in epoca di austerity. La Seconda
noi non l’abbiamo mai festeggiata, avendola terminata tecnicamente dalla parte
degli sconfitti. A poco a poco anche i vincitori ci hanno raggiunti nella terra
dell’oblio.
Piccadilly Circus, VE Day |
Ad oggi, solo la Russia di Putin –
per motivi peraltro che poco hanno a che fare con la celebrazione di quello che
fu – ha solennizzato la ricorrenza di quella che per essa fu la Grande Guerra
patriottica. Quella che fece di un paese sottoposto a cordone sanitario
mondiale per la paura che contagiasse tutti con il suo virus letale, il
Comunismo, la seconda superpotenza del pianeta, capace di tenerlo in scacco
nella Guerra Fredda per i successivi quarant’anni. Quella che fece di Stalin da
possibile concorrente di Hitler per il titolo di più grande boia di tutti i
tempi il “piccolo padre” di tutti coloro che ai quattro angoli della terra
sognavano il sole dell’avvenire e credevano che tutto il mondo sarebbe prima o
poi diventato come l’Unione Sovietica.
Altiero Spinelli nel 1983 al parlamento europeo di Strasburgo |
Sulla Piazza Rossa soltanto si
celebrano dunque i settant’anni dalla resa del generale Keitel, il collega di
Jodl recatosi nello stesso momento ad est, nelle mani del maresciallo Zukov,
che disponeva il cessate il fuoco anche ad oriente dell’Elba. Com’è nata questa
Europa non lo ricorda ne lo richiama alla memoria altrui più nessuno. Meno che
mai alle giovani generazioni verso le quali il governo continentale istituito
nel frattempo si è dimostrato sempre più patrigno, indifferente se non ostile.
Dal Trattato di Roma del 1957 che
istituiva la Comunità Economica Europea a quello di Maastricht del 1992 che
istituiva l’Unione Europea, la federazione sul modello degli Stati Uniti d’America
che metteva in comune la moneta, l’economia, parte delle istituzioni politiche
in attesa di avere a regime un unico governo sovranazionale, la storia d’Europa
è stata quella dell’illusione di generazioni ormai invecchiate insieme alla
speranza di aver trovato – come auspicavano Spinelli e gli altri di Ventotene –
la soluzione definitiva a tutti i problemi ed a tutte le conflittualità che
avevano gettato per due volte nel ventesimo secolo il continente nel fuoco e
nel carnaio dei nazionalismi portati alle estreme conseguenze.
Tutto questo, insieme alla
commozione per le vittime subite ed i sacrifici fatti settant’anni fa ed anche
in seguito nonché all’orgoglio per certi versi giustificato per quello che
siamo diventati adesso – da Lisbona a Vladivostok - , è qualcosa che dice poco
a nuove generazioni il cui problema è trovare un posto, costruirsi un futuro in
una società globale che ha già bruciato molte delle risorse a loro destinate e
che ha ridotto le possibilità economiche necessarie al loro ingresso nel mondo
del lavoro e della prosperità come nemmeno la guerra mondiale aveva fatto settant’anni
fa. Nuove generazioni che, continuando il trend attuale, saranno portate
inevitabilmente a vedere le precedenti non come maestre di qualcosa, custodi di
tradizioni positive e gloriose, ma come ostacoli insormontabili sulla strada
della sopravvivenza.
Se quest’epoca rischia di
assomigliare a qualche altra, è più al primo dopoguerra che non al secondo. Il
sogno di Spinelli e compagni appare assai lontano dall’essersi realizzato. Il
nome stesso di quei confinati diventati i padri dell’Europa unita è soggetto ormai
all’oblio, se non - in alternativa - a qualche futura maledizione. Il V Day,
del resto nel nostro paese non è più associato a quel giorno in cui le radio di
tutta Europa trasmisero l’annuncio che la guerra era finita, ma a quello molto
più recente in cui un sedicente uomo politico locale lanciò il suo messaggio
alle piazze, semplice, diretto e sintetico come pochi altri: “vaffa….”.
L’Europa unita era nata come
risposta al Fascismo ed ai suoi orrori. Potrebbe diventare lo scenario più
propizio ad una sua riedizione aggiornata ai tempi se continuerà ad essere
governata sostanzialmente da una Banca Centrale Europea che come la vecchia
Società delle Nazioni distribuisce solo ingiustizia e miseria. O da una
Germania che ha dimenticato, o fatto finta di dimenticare, perché settant’anni
fa a quest’ora era ridotta ad un cumulo di macerie fumanti.
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