Alle 22,30 circa
l’Italia conquista la medaglia d’oro numero 200 della sua storia olimpica. La
199 era arrivata a Londra, sulla punta del fioretto di Valentina
Vezzali, che aveva chiuso la sua leggendaria carriera portando il
punto decisivo per la vittoria della squadra italiana. E chiuso anche, in
ottemperanza alla sciagurata decisione del C.I.O.,
l’avventurosa storia del fioretto femminile a squadre alle Olimpiadi,
che a Rio è stato cancellato dal programma.
La "rabbia agonistica" di Fabio Basile |
Fabio Basile sale sulla
pedana per spaccare il mondo, oltre al suo ultimo avversario il campione del
mondo coreano An Baul che non si aspettava di finire sotto ad
un simile tsunami. E lo spacca, prendendo per sé e per l’Italia la
storica medaglia. L’Inno di Mameli suona finalmente a bordo
pedana del Judo nella Carioca Arena 2, anticipando di poco l’Arena
3, dove Daniele Garozzo conquista la medaglia 201
schiantando nella finale l’americano Massialas (non
prima di averci fatto temere di poter subire una rimonta come quella della
ungherese Szasz ai danni di Rossella Fiamingo).
Garozzo tiene duro, e porta l’Italia al quarto posto complessivo provvisorio
del medagliere di Rio2016.
Dagli sport cosiddetti minori
arrivano come sempre le soddisfazioni azzurre. Sport che vivono di vita
propria, oltre che della passione di chi li pratica, perché da governo e C.O.N.I.
non c’è verso che arrivi un sostegno che uno, se non la stretta di mano del
rappresentante di turno quando c’è da salire sul podio e farsi scattare belle
foto con medaglie al collo di bei ragazzi e ragazze sorridenti.
Daniele Garozzo, la grande scuola del Fioretto |
Siamo un paese che da un paio di decenni
non investe più su se stesso. Portato a morire di lenta agonia da una classe
politica e dirigente che ormai è autoreferenziata, e dedita soltanto
ad investire sulla propria prorogatio come casta ormai scollata dal paese
reale. Siamo figliastri di uno Stato che ha sempre investito poco su tante
cose, a cominciare dallo sport. Finito nel dopoguerra il dilettantismo di
stato felicemente brevettato a livello mondiale dal regime fascista, ci
siamo ritrovati più che altro a vivere come sportivi da poltrona, spettatori
vittime consapevoli di una dicotomia mediatica. Anzi, per coniare un
neologismo, una tricotomia.
Il Calcio, alcuni Altri sport, tutti gli
Altri sport. Il Calcio è la passione ed il veleno di ogni italiano che si
rispetti. Che si giustificava e si giustifica con l’appartenenza alla
maglia ed al campanile, oltre che con il doping di stato
del Totocalcio (con la bufala di regime che i proventi
andavano anche agli sport minori).
Alcuni Altri sport, quelli che bene o
male intravedevamo a scuola, stretti dentro palestre poco più grandi dello
stanzino delle scope. Pallacanestro e Pallavolo nascevano lì, e continuavano
nel doposcuola, in un’epoca in cui chi era tanto fortunato da non
saper giocare a pallone veniva portato da mamme e babbi a giocare ad altro,
presso una miriade di società sorte con il boom economico e quello sportivo
autogestito. Per i più benestanti, c’erano poi lo Sci, che richiedeva un background
familiare non comune a tutti, e il Tennis che si stava allineando ad esso sulla
scia dei successi dei Quattro Moschettieri di Coppa
Davis, diventando un improbabile sport di massa. Poi c’era il Nuoto,
che almeno fino ad una certa epoca i pediatri consigliavano alle mamme più
attente allo sviluppo sano ed equilibrato dei propri figli.
Tania Cagnotto e Francesca Dallapé |
Infine, c’erano tutti gli Altri sport.
L’Atletica la vedevamo una volta l’anno, ai Giochi finali della Scuola (in
qualche caso propedeutici a quelli della Gioventù). Il resto era lasciato al
buon cuore ed al caso. Siccome però eravamo ancora un paese in cui molti
avevano fame, almeno in senso lato, il popolo rimediava come sempre a
modo suo alla latitanza delle istituzioni. I fratelli Abbagnale
andavano ad allenarsi alle cinque di mattina, prima di andare a lavorare. Pietro
Mennea e Sara Simeoni volevano l’oro olimpico ed il
record del mondo, ma prima di tutto volevano uscire da una provincia che ancora
negli anni Settanta – Ottanta soffocava. I judoka, gli schermidori, i
ciclisti erano prima di tutto ragazzi in fuga dal destino. Poi diventavano
grandi campioni. Poi lasciavano dietro di sé grandi scuole.
Poi, una volta ogni quattro anni,
arrivavano le Olimpiadi. E come successe nel 1983 con Azzurra
alla Coppa America di Vela, tutti diventavano appassionati di
tutti gli sport. Tutti tornavano ragazzi. In fuga, da una quotidianità dove la fame
era progressivamente sparita ma dove ancora si soffocava. E lo Stato, un po’
dappertutto, lasciava vivere su alcune cose ma latitava su tante altre.
Elisa Longo Borghini terza a Copacabana |
Siamo un paese che da tanto tempo ha
dimenticato da dove viene. E perché. Siamo un paese che si fa invadere,
piuttosto che accogliere ed integrare, e che quindi perpetuerà alle seconde e
terze generazioni degli immigrati le storture del rapporto malsano tra Stato e
cittadini che gli italiani storici hanno sempre patito. Bello vedere le ragazze
di colore nella Nazionale di Volley, Paola Egonu e Miriam
Sylla, oltre a Valentina Diouf che è stata la prima
ma che stavolta è rimasta a casa per scelta del tecnico. Chissà cosa pensano di
questo loro nuovo paese. Chissà se pensano la stessa cosa di quelli che ci
vivono da sempre. Chissà la fatica che hanno fatto a fare sport, a trovare
quello a loro congeniale, nonché impianti adeguati ed efficienti. Ed i loro
genitori a portarcele.
Siamo un paese che una volta ogni quattro
anni si illude di essere una potenza sportiva mondiale. E il bello è che ogni
quattro anni Olimpia alimenta e quasi giustifica questa sua
illusione. Ci piaccia o no, ce lo meritiamo o no, siamo al quinto posto nel
Medagliere assoluto di tutti i tempi, con 236 medaglie d’oro tra Giochi estivi
ed invernali. Roba da non credere.
Abbiamo passato i primi giorni a Rio
credendo che la storia finalmente si fosse decisa a presentarci il conto. La
sfortuna sembrava essersi imbarcata sull’aereo per il Brasile con gli Azzurri.
Ma soprattutto stava emergendo la mancanza di ricambio generazionale, naturale
conseguenza di una politica sportiva tendente allo zero.
Il Calcio non finanzia più neanche se
stesso, e da due edizioni dei Giochi non è più nemmeno capace di qualificarsi.
Il Basket è stato il più pronto ed il più sciagurato nell’adeguarsi. Esportiamo
talenti nell’N.B.A. statunitense e poi, anche qui, da Pechino
2008 non riusciamo nemmeno ad andare alle Olimpiadi come ripescati. Vien da
pensare che Pallanuoto e Pallavolo siano due isole felici, due sport congeniali
a noi come abiti di sartoria, perché continuano a sfornare risultati. Forse
hanno soltanto dirigenti un po’ meno preoccupati di se stessi e un po’ più
attenti a quello che hanno per le mani.
Insomma, pensavamo che stavolta smuovere
il medagliere sarebbe stata un’impresa. Ed ecco due ragazzi che ancora hanno
fame, e se la vogliono togliere in discipline che non portano
megacontratti e mogli o compagne veline, prime pagine (se non per due
giorni in tutta la vita) e sponsor pubblicitari. Ecco dietro di loro
altri ragazzi e ragazze a cui manca alla fine un attimo, un metro, uno spunto,
un nervo più saldo, ma che comunque portano a casa la loro medaglia che fa
quarto posto provvisorio al pari di quelle d’oro.
Odette Giuffrida |
Rossella Fiamingo, Odette
Giuffrida (a proposito, non si può disperarsi troppo perché l’oro va a
Majilinda Kelmendi, ed è il primo della storia per il
Kossovo), le splendide Tania Cagnotto e Francesca
Dallapé, l’incredibile Gabriele Detti e la stoica Elisa
Longo Borghini, che corre una gara massacrante a ridosso del luogo di
piacere più famoso del mondo, Copacabana, e per poco non
vendica Vincenzo Nibali e tutta la maledetta sfortuna che –
come non bastasse quella di venire da un paese dove lo sport è negletto – ha
perseguitato gli azzurri nelle prime 48 ore di queste Olimpiadi. E mettiamoci
pure la squadra femminile di Tiro con l’Arco, che arriva
quarta per colpa di un braccio che trema due volte sulla scoccata decisiva, per
la finale e nella finalina, ma sono esordienti, e l’emozione fa
pessimi scherzi sotto i Cinque Cerchi. Loro si rifaranno, c’è da scommetterlo, lavorando
duro per quattro anni nell’oblio generale, ma si rifaranno.
Siamo quarti, chissà se dura, aggrappati
come siamo a Federica Pellegrini, a Gregorio
Paltrinieri e a poco altro, in termini di certezze. Oppure a qualche
ragazza o ragazzo che ancora si allenano nell’ombra, e magari nei prossimi
giorni da quell’ombra usciranno, in termini di imponderabile. Per il momento,
possiamo dire che non sarà la peggiore Olimpiade di sempre, come temevamo. A
parte due edizioni a zero medaglie, ma erano le pionieristiche Atene 1896 e
Saint Louis 1904 (più un Circo alla Buffalo Bill che
un’Olimpiade, e secondo il C.I.O. di allora l’Italia neanche avrebbe
partecipato, pensate un po’ come tenevano i conti….), finora il peggior bottino
era stato a Montreal nel 1976, due ori, sette argenti, 4 bronzi.
Stiamo a vedere. Il furbetto del
governino intanto se n’è tornato in Italia, caricando nuovamente famiglia
e bagagli sull’aereo presidenziale. Almeno ha dato un passaggio anche a
Vincenzo Nibali, che qualcosa alla patria ha donato anche questa volta, una
clavicola. Vediamola in positivo: il nostro governo non fa nulla per lo sport e
poco per il resto, che almeno non stia lì a intralciare e a gravare sulle
spese.
Sarà un caso, ma decollato l’Air
Renzi One sono arrivate subito due medaglie d’oro.
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