Fra poche ore,
al Maracanà di Rio, le squadre olimpiche tornano a sfilare. I
Giochi della XXXI^ Olimpiade torneranno a fermare il mondo, o
almeno a provarci. Le tregue olimpiche sono sempre più difficili da
attuare, ma almeno lo spettacolo che si rinnova di oltre 10.000 ragazzi da
tutto il pianeta che sfilano con i colori dei rispettivi paesi mantiene tutta
la sua suggestione, per quante illusioni possa aver perso la razza umana da
quando Pierre de Coubertin riportò in vita il mito di Olimpia.
E’ un esercito pacifico e gioioso quello
dei ragazzi che vanno a prestare il Giuramento Olimpico ogni
quattro anni ai quattro angoli del mondo (sarebbero cinque, come i cerchi della
bandiera, quest’anno tocca per la prima volta al Sudamerica, manca – ad oggi –
la prima volta dell’Africa). E come ogni esercito che si rispetti ha bisogno di
un alfiere. Qualcuno che porti le insegne, la bandiera.
Un onore non da poco. Da conferire di
volta in volta a chi si è distinto nelle campagne precedenti. Illustrando
la patria, come si diceva una volta. Qualcuno - o qualcuna, da quando le
donne hanno cominciato a mietere allori olimpici quanto e più degli uomini –
che ha già fatto risuonare l’Inno di Mameli in passato, in
qualche prestigiosa competizione internazionale.
A Rio, tra poche ore, questo onore
toccherà a Federica Pellegrini. E non c’è da discutere. Alzi
la mano chi in questo momento è in grado di individuare un personaggio
sportivo, uomo o donna, più carismatico in senso umano e sportivo della
ventisettenne milanese che cominciò a incantare il mondo (non solo per la
sua avvenenza) ad Atene del 2004, diventando la prima donna capace di riportare
l’Italia sul podio olimpico 32 anni dopo Novella Calligaris.
Da allora Federica non si è più fermata,
seppur con qualche appannamento e passaggio a vuoto. Come a Londra, quattro
anni fa, quando sembrava che il tempo fosse passato inesorabilmente anche per
lei, come ha fatto per cannibali come Michael Phelps,
lasciandola fuori dal podio sia nei prediletti 200 stile libero che negli
ambiziosi 400 (una doppietta che le era riuscita ai Mondiali, ma mai alle
Olimpiadi, comunque).
Federica non ha mollato. Aveva la voce
rotta dal pianto per la commozione l’anno scorso a Kazan, quando le chiesero di
commentare l’argento mondiale appena vinto, unica atleta della storia a salire
sul podio in sei edizioni consecutive. Pochi giorni dopo, bis in staffetta
4x200, con entrata in vasca per l’ultima frazione al quinto posto e taglio del
traguardo al secondo.
A maggio è tornata a Londra, per gli
Europei. Stavolta l’Inghilterra è stata benevola, un oro (nei 200) e tre
argenti nelle staffette. Il C.O.N.I. non poteva aver dubbi su
a chi affidare la nostra bandiera. Con l’auspicio che le sue braccia siano
ancora capaci di sopportare la fatica non soltanto per reggere il tricolore, ma
per regalarci un altro sogno in vasca.
E’ l’ultima (per ora) di una lunga serie
di signore portacolori dello sport italiano, Federica. Da quando fu
introdotta la sfilata preolimpica, a Stoccolma nel 1912, fino a Helsinki nel
1952 erano sempre stati gli uomini a vedersi conferire l’alto onore. Spadaccini
di prestigio come Nedo Nadi e Giulio Gaudini,
atleti e ginnasti plurimedagliati come Alberto Braglia, Ugo
Frigerio e Giovanni Rocca.
Fu Miranda Cicognani, la
signora della Ginnastica italiana degli anni cinquanta, la prima donna azzurra
a portare la bandiera nella capitale finlandese in occasione della XV^
Olimpiade. Poi ancora una teoria di mostri sacri di sesso
maschile, da Edoardo Mangiarotti il re della Scherma (due
volte), al suo erede Giuseppe Delfino, al mitico cavaliere Raimondo
d’Inzeo (il re di Roma nel 1960), all’istriano marciatore Abdon
Pamich, all’altoatesino tuffatore Klaus Dibiasi.
Sara Simeoni a Los Angeles 1984 |
Nel 1980 le bandiere non sfilarono. A
Mosca, gli alleati degli Stati Uniti (che boicottavano protestando per
l’invasione sovietica dell’Afghanistan) parteciparono in ossequio al
compromesso né bandiere né inni né atleti appartenenti all’esercito. Pietro
Mennea, che fu uno degli eroi di quella Olimpiade, dovette aspettare
quella di Seoul otto anni dopo per vedersi affidata la bandiera.
A Los Angeles, nel 1984, era toccato nel
frattempo di nuovo ad una signora, Sara Simeoni, eroina
anch’essa della trasferta in Russia. A Barcellona non si poteva negare l’onore
a Giuseppe Abbagnale, uno dei fratelloni del
Canottaggio. Ad Atlanta toccò di nuovo alla Scherma. Ma al femminile, perché
ormai tutti i successi della nostra grande scuola erano colorati tutti di rosa.
Nel 1996 fu Giovanna Trillini. Valentina Vezzali,
a cui l’onore sarebbe toccato a Londra nel 2012, ad Atlanta vinse le prime
medaglie di metallo pregiato prenotando il futuro.
Valentina Vezzali a Londra 2012 |
A Sidney, a rappresentare l’Italia del
Basket tornata grande, portabandiera fu designato il fresco campione d’Europa Carlton
Myers. Ad Atene, la scelta cadde sul monumento della nostra Ginnastica
Artistica Yuri Chechi, che aveva mostrato al mondo come si può
cadere (Barcellona) e stringendo i denti risorgere (Atlanta). Il canoista più
amato dalle italiane Antonio Rossi portò il tricolore a
Pechino. Poi Valentina, che chiuse da gran signora la sua carriera a Londra
portando alla vittoria un bel manipolo di sue eredi conclamate.
Nel frattempo, i Giochi invernali avevano
preso una loro strada, diversa da quelli estivi. Da Eugenio Monti
(il mitico vincitore della prima medaglia De Coubertin della storia,
per aver prestato agli inglesi Nash e Dixon il bullone di riserva che consentì
loro di vincere a Innsbruck nel 1964 nel Bob a 2), a Gustav Thoeni
e Paul Hildgartner (entrambi due volte a testa), ad Alberto
Tomba, la bandiera era sempre stata un affare da uomini. Fino a
Lillehammer, quando passò alla prima vera fuoriclasse donna del nostro sport
alpino, Deborah Compagnoni. Poi a Gerda Weissensteiner
dello Slittino, a Isolde Kostner e a sua cugina Carolina
Kostner. Per finire a Giorgio Di Centa e Armin
Zoeggler.
Domani sera, al Maracanà, apre
la fila Federica. Un solo augurio: grande Federica. E grande Italia.
Una volta di più.
Carolina Kostner a Torino 2006 |
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