La Nordschleife,
l’anello nord del Nurburgring (costruito nel 1927 presso
Adenau in Renania) era insieme a quello di Monza il circuito
più prestigioso della Formula 1. E il più difficile. Era stato
disegnato appositamente per portare all’estremo la capacità di resistenza delle
vetture e le prestazioni dei piloti. E ci era riuscito puntualmente, nelle
ventidue circostanze in cui era stato sede del Gran Premio di Germania.
Enzo Ferrari, Niki Lauda, Luca Cordero di Montezemolo |
Era un circuito amatissimo dagli
appassionati e detestato dagli addetti ai lavori, i piloti, che già nel 1970
avevano chiesto ed ottenuto la sua messa in mora a favore del più sicuro Hockenheimring
del Baden-Wurttemberg. Dopo alcuni lavori di adeguamento, il Nurburgring si era
ripreso la titolarità del GP di Germania l’anno seguente,
mantenendo peraltro inalterate alcune delle caratteristiche che ne facevano una
trappola potenzialmente mortale per i forzati della velocità. Subito oltre i
guardrail installati nel 1970 lungo tutti i 23 chilometri del
percorso, non c’erano mai o quasi vie di fuga e in alcuni casi c’erano a
ridosso di essi pareti rocciose verso cui si arrivava a velocità vertiginosa, come alla
curva del Bergwerk dove nel 1976 si decise il suo destino, insieme a
quello del più grande pilota di quei tempi.
Andrea Nikolaus Lauda
detto Niki era arrivato alla Ferrari nel 1974, in un momento in cui
la Casa di Maranello cercava di tornare al successo dopo i
dieci anni di digiuno seguiti all’ultima vittoria di John Surtees.
Dopo due anni di apprendistato, Niki si era già imposto come il pilota del
futuro, quello a cui tutti gli addetti ai lavori avevano pronosticato l'avvenire
più luminoso.
Niki Lauda al Nurburgring nel 1975 |
Nel 1975, al secondo anno di Ferrari,
Niki aveva ripagato tutti della stima concessagli, a cominciare dall’ingegner
Enzo, portando la 312T al titolo mondiale piloti e costruttori. Era il più
veloce, e guidava la macchina più veloce. Proprio al Nurburgring aveva
stabilito il record della pista con un favoloso 6’58”6. Nessuno poteva immaginare che il suo record fosse destinato a restare imbattuto per sempre.
Un anno dopo, era il 1° agosto 1976. Niki
tornò al Nurburgring con la 312T2, evoluzione della monoposto con cui aveva
dominato l’anno precedente, dopo sette gare di campionato in cui aveva
proseguito incontrastato il suo dominio. All’avvio del Gran Premio di Germania,
era primo in classifica con 61 punti. Secondo era l’inglese James Hunt,
l’unico peraltro capace di stare al suo passo, con 29. Sembrava non esserci
partita.
Il destino era in agguato alla Bergwerk.
La gara, rinviata a causa della necessità di riparare i danni provocati nel
corso di quella di una categoria inferiore svoltasi in mattinata, fu rinviata
quanto bastava per cominciare dopo che una fitta pioggia si era abbattuta sul
circuito. Niki Lauda era tra coloro che avevano montato gomme
da pioggia, ma al via la pioggia si era interrotta, favorendo le gomme slick.
Il leader del mondiale aveva perso subito posizioni, era rientrato al secondo
giro, aveva cambiato gomme ed era ripartito tirando come un forsennato per
riprendere la testa della corsa che gli era sfuggita, malgrado il suo distacco
in classifica generale gli consentisse anche di assorbire tranquillamente una
giornata no.
La Bergwerk era nel punto più
lontano dai box. Fu lì che Niki perse il controllo della macchina slittando su
un cordolo, schiantandosi contro la roccia retrostante al guardrail,
rimbalzando in mezzo alla pista con la vettura subito in fiamme. Dove fu
centrato dalle sopraggiungenti monoposto di Harald Ertl, Guy
Edwards e Brett Lunger. Un’ecatombe dalle
conseguenze drammatiche.
La Ferrari di Niki Lauda in fiamme |
Svenuto, senza il casco che gli era
saltato via nell’urto, avvolto dalle fiamme e dai vapori della combustione, il
pilota della Ferrari sarebbe stato condannato a morte se non fosse stato
prontamente soccorso oltre che dai tre suddetti anche dall’italiano Arturo
Merzario, arrivato alla curva fatale subito dopo.
Arturo aveva nozioni di pronto soccorso.
Durante il servizio militare, raccontò poi, aveva frequentato un corso di massaggio
cardiaco e respirazione artificiale, una di quelle cose che si facevano per
avere qualche giorno di licenza in più, senza immaginare che un giorno potevano
magari tornare drammaticamente utili. Fu lui a tenere in vita Niki strappandolo
al suo abitacolo divenuto una trappola mortale e rianimando le sue funzioni
vitali fino all’arrivo dei soccorsi.
Quei quaranta secondi abbondanti tra le
fiamme deturparono per sempre il volto del campione del mondo, che una volta
tornato in pubblico ed alle corse avrebbe peraltro esibito le sue ferite con nonchalance.
«Quando mia moglie (Marlene Kraus, n.d.r.) mi vide per la
prima volta dopo l’incidente, svenne. Capii così che non ero messo bene. Col
tempo, le rughe hanno nascosto le cicatrici, e mi ci sono abituato», raccontò
in seguito. «Mi sono sottoposto alla chirurgia soltanto per migliorare la mia
capacità visiva. La cosmesi chirurgica è noiosa e costosa, tutto ciò che poteva
fare era darmi un’altra faccia. Mi sono preoccupato solo che i miei occhi
funzionassero, di tutto il resto non m’importava».
Il ricordo di quel giorno di quaranta
anni fa è stampato indelebilmente nella memoria degli spettatori di tutto il
mondo, al pari del volto deturpato di Niki con i quali quegli spettatori
avrebbero dovuto fare i conti da allora in poi. Cosa successe in quel minuto in
cui la vita di Lauda cambiò per sempre e il destino del Nurburgring fu segnato
(dall’anno dopo il GP di Germania passò definitivamente ad Hockenheim), lo
rievocano efficacemente le parole di Arturo Merzario.
«Ancora non ho capito che cosa mi spinse,
quel giorno, a fermare la macchina. Voglio dire: non era il primo incidente
drammatico che mi capitava di vedere in pista, e tutte le altre volte mi sono
comportato in maniera diversa, ho continuato la mia corsa, come del resto
facevano e fanno tutt'oggi i piloti. Quel giorno, però, ci fu qualcosa, e
ancora non ho capito cosa, che mi suggerì, anzi mi impose di fare altro, di
fermarmi, di scendere dalla macchina e correre verso Niki. Cosa? Domanda da un milione di dollari. È stato un baleno, un lampo. Non pensai
a nulla, sopraggiunsi all'uscita della curva e trovai quella roba lì, lamiere e
fiamme. Dentro poteva esserci chiunque, Niki, Clay Regazzoni, Jackie
Stewart. Vedo la macchina in mezzo alla pista, scendo e corro verso
l'abitacolo».
Niki Lauda al ritorno alle corse a Monza 42 giorni dopo l'incidente |
Il resto della storia è noto, grazie agli
annali della Formula 1, ed anche al film di Ron Howard, Rush,
che ha rinfrescato a tutti la memoria su quel terribile 1976 culminato in quel
1° agosto in Renania. Hunt che recupera buona parte del vantaggio su Lauda, il
quale decide di tornare in gara a Monza, 42 giorni soltanto dopo lo spaventoso
incidente. L’austriaco sembra farcela a difendere il titolo, ma al Fuji
in Giappone nell’ultima e decisiva gara, sotto una pioggia ben peggiore di
quella che l’aveva quasi ammazzato in Germania, decide che basta così, ci sono
cose più importanti nella vita di un titolo mondiale. Scende dalla Ferrari e
lascia via libera alla McLaren di Hunt. Che diventa campione
per un punto.
E’ storia anche il siparietto con
Merzario, che si aspettava da lui almeno un grazie, arrivato
goffamente soltanto mesi dopo sotto forma di donazione del celebre orologio
d’oro che lo stesso Merzario rifiutò. E’ storia il dissidio gelido e
sotterraneo con un Enzo Ferrari che non l’aveva mai amato
veramente, pur stimandolo inevitabilmente, e che cominciò a distaccarsi dal suo
pilota quel giorno al Fuji, per dirgli addio un anno dopo malgrado Niki si
fosse appena ripreso alla grande ciò che era suo, il numero 1 sulla
vettura. E’ storia il suo ritiro prematuro dalle corse a fine 1978, il suo ritorno
nel 1984 con la McLaren ed il suo terzo titolo mondiale (per mezzo punto sul
compagno di squadra Alain Prost), seguito da un nuovo - stavolta
definitivo - ritiro.
Niki Lauda e James Hunt |
E’ una storia che conosciamo tutti, e che
Ron Howard ha romanzato efficacemente. Il povero Hunt non c’è più, portato via
pochi anni dopo quei fatti dalle conseguenze di certi suoi eccessi fuori pista.
Niki Lauda è ormai un anziano signore che parla con distacco di quei giorni.
«Quando, dopo l’incidente, tornai in pubblico e la gente mi guardava, vidi che
tutti erano scioccati. Mi mandava in bestia. Pensavo, come possono essere così
maleducati da non nascondere le loro emozioni negative riguardo al mio aspetto?
Poi vidi il film (Rush, n.d.r.), e mi fece guardare le cose da
un altro punto di vista, quello delle altre persone che mi avevano davanti agli
occhi. Mi ha aiutato a capire perché tutti erano scioccati”.
Lo siamo ancora. Sono passati
quarant’anni. 1° agosto 1976, curva Bergwerk del Nordschliefe
von Nurburgring. La Ferrari numero 1 in fiamme. Lì dentro c’è
Niki Lauda, il campione del mondo, il nostro campione. Quattro uomini lottano
disperati per salvarlo. Lo tirano fuori, è ancora vivo, è una maschera, come il
Fantasma dell’Opera. Non è un film fantasy. E’ la
storia della Formula 1. La nostra storia.
Niki Lauda oggi |
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