Avevamo lasciato una gran folla festante che parla portoghese a
Parigi, poco meno di un mese fa. Ne troviamo un’altra a Rio de Janeiro, ancora
più grande. Sono i centomila del Maracanà. Ma stavolta il calcio
non c’entra.
Avevamo lasciato il Brasile ferito a morte per la
pessima prova della sua Seleçao in quello che doveva essere il suo Mondiale,
e che invece si era rivelato il peggior Mondiale di calcio della storia, per i
padroni di casa e in assoluto. Lo ritroviamo due anni dopo con l’entusiasmo
alle stelle per aver organizzato la XXXI^ Olimpiade, con la testa
sgombra da quel veleno che una volta era la sua gioia e la sua ragion d’essere,
il futebol. E la voglia di proporre a tutto il mondo qualcosa di
diverso, di migliore.
Se il buongiorno si vede dal mattino, cioè da questa cerimonia
inaugurale, al peggior Mondiale di sempre forse faranno seguito le migliori
Olimpiadi di sempre. Stavolta niente Jennifer Lopez, niente overdose di samba distrattamente
e in modo raffazzonato elargita, con l’occhio all’orologio per il fischio
d’inizio del match d’esordio dei verdeoro. Stavolta il Brasile fa
sul serio. Fa se stesso nel modo migliore.
E’ l’italiano Marco Balich, il progettista di Expo
2015 e dello Juventus Stadium l’ideatore della
splendida coreografia che sorprende e incanta tutti, a partire dalle note
struggenti di Aquele abraço di Gilberto Gil, la
canzone con cui salutò il suo paese al momento di partire per l’esilio nel
1968, durante la repressione del governo militare.
La storia visiva della vita sulla Terra e del Brasile
la fanno da padroni stanotte, insieme alla musica che questo paese ha fatto
amare a tutto il mondo. Sul palcoscenico che richiama quelle forme di Rio rese
immortali dallo scomparso architetto Oscar Niemeyer si
alternano le immagini, i giochi di luce e le danze che raccontano il destino di
questa terra, dalla prima ondata che portò la vita sotto forma di organismi
monocellulari e poi sempre più complessi, alla costruzione del paradiso
terrestre da parte degli Indios, alla conquista ed alla
colonizzazione portoghese, all’indipendenza ed alla liberazione degli schiavi
venuti dall’Africa, all’integrazione ed allo sviluppo urbano moderno con la
convivenza di metropoli avveniristiche e favelas.
Alla potenza evocativa e visiva di tutto ciò si alterna la grande
musica brasiliana. La chitarra classica di Paulinho da Viola accompagna
la più suggestiva esecuzione della Marcha Triunfal, l’inno
brasiliano, mai sentita. Alla fine i centomila del Maracanà la
cantano a cappella, come due anni fa per la loro Seleçao, ma quanta
più grazia e suggestione stanotte! Poi è la volta della Ragazza di
Ipanema, Daniel Jobim canta per il nonno Antonio, mentre Gisele
Bundchen, la modella brasiliana diventata una istituzione nazionale,
attraversa lo stadio in tutta la sua lunghezza per la più lunga ed emozionante
passerella della sua vita.
Il Brasile celebra le sue eccellenze. Ed ecco allora il tributo ad Alberto
Santos Dumont, l’uomo che si contende con i fratelli statunitensi Wilbur
ed Orville Wright l’onore di aver compiuto il primo storico volo nella
storia umana. I fratelli Wright volarono per la prima volta il 17 dicembre
1903, ma sparati da una specie di fionda. Santos Dumont fu il
primo a staccarsi dal suolo con decollo autonomo il 13
settembre 1906 a Parigi con il suo celebre apparecchio 14 bis, di
cui una riproduzione viene fatta alzare in volo sul cielo di Rio e ad
accompagnarlo è sempre Tom Jobim con la sua Samba do aviao,
la canzone della meraviglia per chi arriva a Rio dal cielo.
Ancora grande musica, è Jorge Ben con il suo Pais
tropical. Poi è samba, e non può essere altrimenti, con le
Scuole che sfilano dietro le loro bandiere anticipando la promenade degli
atleti. Ma prima, la degna conclusione di questa cerimonia a bassissima
tecnologia e ad altissima coscienza sociale ed ambientalista. Un breve filmato,
ma efficace come un cazzotto nello stomaco, che mostra gli effetti
dell’inquinamento e del surriscaldamento globale sui cinque continenti che oggi
si ritrovano qui, a giocare. E’ un momento da prendere sul serio, potrebbero
non essercene più altri in un prossimo futuro.
I Cinque Cerchi disegnati dal coreografo sono verdi, ed hanno un
impatto che va ben al di là della loro ragione immediata. E’ la più bella
cerimonia inaugurale di sempre.
Arriva il momento delle squadre. La fanfara olimpica richiama
tutti al sogno di sempre, quello che ci accompagna fin da ragazzini ai quattro
angoli di questa Terra non più spensierata, se mai lo è stata. Stavolta non ci
sono discussioni, entra per prima la Madre Grecia. Dopodiché, ad ognuno le sue cineserie.
Come a Pechino otto anni fa, si fa confusione con la propria lingua e il
proprio ordine alfabetico. La Germania è Alemaña, ed entra
per seconda. Gli Stati Uniti sono Estatos Unidos, e si vedono
spostare dalla tradizionale collocazione in coda al corteo, quella che secondo
loro riscuote più applausi ed impatti mediatici. Un po’ come la collocazione
nella scheda elettorale. Solo che qui non si vota, si gareggia. Ed il
giuramento olimpico letto dal velista Robert Scheidt, enfant
du pays, ricorda a tutti come si gioca. Pulito e senza trucchi.
Stona un po’ l’assenza di autorità brasiliane, il paese legale non
se la passa meglio di quello reale, a regola. Sona anche l’assenza
di autorità sportive come Usain Bolt, e viene da chiedersi perché,
senza ricorrere al solito pensar male. Gli assenti stasera hanno più torto che
mai. Non stonano per niente le divise della squadra italiana, disegnate da Giorgio
Armani, e si vede. Le Olimpiadi della moda le abbiamo vinte noi, nessun
dubbio, prima ancora di giocare. E Federica Pellegrini è una
gran portabandiera.
E’ il momento della fiaccola, che arriva da Olimpia ad accendere il
braciere. Per mesi il Brasile ha sognato che l’ultimo tedoforo potesse
essere il suo figlio prediletto, Edson Arantes do Nascimento,
la Perla Nera. Ma Pelé versa in cattive condizioni
di salute, e già due volte è stato ripreso per i capelli. Mohamed Alì non
è più con noi, non si può ripetere la suggestione di Londra. E allora?
E allora il Brasile sconfitto dal calcio e nel calcio dimostra di
avere grandi orgoglio e creatività, rialzando la testa nel modo migliore. Nello
stadio entra Guga Kuerten, vecchia gloria del tennis di vent’anni
fa. A mezza corsa la torcia passa ad Hortensia Marcari, cestista
medaglia d’argento ad Atlanta. E poi l’ultimo cambio. Ad accendere la fiamma ci
va lui, Vanderlei da Lima, il maratoneta che sognava di arrivare
primo da Maratona ad Atene nel 2004, e che invece dovette lasciare via libera
al nostro Stefano Baldini complice anche il disturbo di un
tifoso. Chi cade e poi risorge (Vanderlei arrivò comunque al bronzo) merita
questo onore, dice il Brasile.
I Giochi di Rio 2016 sono aperti. E’ tutto? Non ancora. Regina
Casé, popolarissima attrice locale, trova le parole che potrebbero
consegnare alla storia questa XXXI^ Olimpiade e tutto quanto di buono saprà
ispirare. Cerchiamo le cose che abbiamo in comune e celebriamo le
differenze!.
Alle prime Olimpiadi le donne non erano ammesse, quest’anno
potranno gareggiare i Transgender. Sempre alle prime Olimpiadi, le razze
diverse da quella bianca erano ammesse più che altro come fenomeni di costume,
tipo Circo di Buffalo Bill. Adesso, il melting pot brasiliano
ricorda a tutti a colpo d’occhio quello che le parole della Case’ suggeriscono.
Ne ha fatta di strada la fiaccola di Olimpia dalla
prima volta che partì dal Tempio di Zeus. Chissà se il barone de
Coubertin se lo sarebbe mai immaginato.
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