Michele
Emiliano resta, Enrico Rossi va. Alla fine lo Scisma
si consuma, ma ha ben poco di drammatico e molto di farsesco. I protagonisti
aspirerebbero forse a recitare un ruolo tragico, shakespeariano, in questa
vicenda. Il Governatore della Toscana probabilmente si sente un novello Macbeth,
quello della Puglia un Amleto dei giorni nostri. Pierluigi
Bersani, uno dei numi tutelari di questa fine ingloriosa di un partito
che era finora sopravvissuto a ben altri drammi e scissioni, probabilmente vaga
sconsolato per i meandri della propria mente sconvolta come un Riccardo III
Duca di York. E chissà, a proposito di menti, se quella di Massimo
D’Alema ormai è tormentata dagli stessi incubi di un Re Lear.
Ma Shakespeare è lontano dalla sede del
PD, non siamo sull’Avon ma sul Tevere le cui acque hanno visto scorrere anche
questa, mentre fuori della sede di quello che era il partito di maggioranza
urlano i tassisti inferociti contro la legge Bersani e il Milleproroghe
di Gentiloni, qualcuno alza il braccio destro in un saluto
romano che da queste parti è sempre fortemente evocativo, ed i Cinque
Stelle di lotta e di governo non trovano di meglio che cavalcare
questa tigre inaspettata, trattenendo a stento il grido di carica! e
l’irruzione nella sede dello psicodramma del partito democratico.
Shakespeare, dicevamo, non abita qui. I
personaggi in cerca di riposizionamento, più che di autore, assomigliano più a
quelli della commedia goldoniana o dei pupi siciliani. Baruffe chiozzotte
e finte mazzate, scene da consultorio di igiene mentale
alternate a sussulti di straordinaria lucidità e autoconsapevolezza sul letto
di morte.
Già, perché l’unico dato certo è che il
partito che una volta si chiamava comunista e adesso democratico
non riuscirà quasi certamente a bissare la ricorrenza del centenario che riuscì
di celebrare al partito socialista, poco prima di dissolversi
nella bufera di Mani Pulite. Il 21 febbraio, giorno in cui
ricorre il 169° anniversario della pubblicazione a Londra da parte di Karl
Marx e Friedrich Engels del Manifesto del
partito comunista, il PCI – PDS – DS – PD vede certificata la sua
entrata in coma irreversibile e si appresta a lasciare la scena che ha calcato
per tutto il dopoguerra nel nostro paese.
A differenza di Craxi, bersaniani
e/o renziani non riusciranno a soffiare sulle cento candeline che
avrebbero dovuto essere accese il 21 gennaio 2021, e chissà in che condizioni
arriveranno alla ricorrenza della rivoluzione d’ottobre, il 7 novembre
prossimo, secolare anniversario del suo evento fondante principale, la
rivoluzione bolscevica russa.
Ma per quanto lunga, più o meno
drammatica (è dal 1956 all'incirca che il principale avversario degli esponenti
e dei militanti di questo partito è la coscienza, prima ancora che
l’intelligenza), più o meno condivisibile o esecrabile, la lunga storia della cosa
rossa finisce appunto in farsa, in tragicommedia.
E’ lo stesso segretario uscente Matteo
Renzi a confermarlo: «Fuori di qui, ci prendono per matti». E
meno male, viene da aggiungere, non a selciate, come è toccato a tanti
malcapitati che ieri a Roma si sono imbattuti o trovati sulla strada dei
manifestanti anti-Uber. O a monetine, come toccò a Craxi
all’uscita dell’Hotel Rafael quando Mani Pulite lo
detronizzò togliendogli il partito socialista, dimenticando poi di fare la
stessa cosa con i dirimpettai comunisti.
C’è la sensazione appunto che questo
appuntamento con la storia sia stato ritardato - con quali danni per l’Italia
chissà quando finiremo di apprezzarlo e di quantificarlo - di venticinque anni
circa. E che alla fine si ritorni comunque al celebre aforisma di Karl Marx,
secondo cui la storia si ripete sempre due volte, la prima in tragedia, la
seconda in farsa. O magari, nell’accezione di Indro Montanelli,
secondo cui in Italia si riesce sempre a trasformare la tragedia direttamente
in farsa, saltando – è sottinteso – il primo passaggio.
E così, mentre chi sogna un’Italia senza
PD dovrà rassegnarsi a ringraziare paradossalmente Matteo Renzi, l’uomo che ce
la sta facendo a distruggerlo, restano sul palco, o a terra, le comparse.
Michele Emiliano fa un dribbling degno di Lionel Messi e scarta tutti, compagni
ed avversari. «Questa è casa mia», dice, annunciando la candidatura
anti-renziana. «Se vinco, riunirò di nuovo il PD». Più facile annullare
lo Scisma del 1054 con la Chiesa Ortodossa o la Riforma Protestante, ma non è
questo che interessa al funambolico fantasista pugliese. Emiliano è il vero
erede di Walter Veltroni, con i suoi ma anche. Sto
fuori, ma anche dentro. Provate a prendermi, se vi riesce.
Bersani si aggira sconsolato per la landa
desertica dei suoi collegi elettorali, una volta orgogliosamente bulgari
nelle loro percentuali, farneticando di recupero di posizioni tra i giovani e
scrivendo sonetti in vernacolo ad Elsa Fornero. D’Alema si è
imbarcato sul suo brigantino, e veleggia verso chissà quale porto. Forse il suo
destino è quello dell’Olandese Volante, tra Capalbio e Gallipoli le
sue urla e le sue maledizioni risuoneranno terrorizzando gli scismatici fino
alla notte dei tempi.
Ma il destino più incerto, per gli amanti
del genere thriller, è quello di Enrico Rossi. Malgrado schiere di legulei e di
filosofi del diritto siano già all’opera per dimostrare il contrario, da ieri
sera il transfuga convinto di essere l’unica e ultima speranza dei lavoratori
italiani non ha più maggioranza in Consiglio Regionale. La sua Giunta reggerà
fino al 15 marzo, data in cui il congresso del suo ex partito sancirà
verosimilmente la riconferma di Renzi a segretario e, tra le altre cose, il
passaggio dei suoi 28 consiglieri ad altro referente. Da quel momento (che
peccato aver riformato lo Statuto e la legge elettorale giusto qualche
anno fa......), decorrono sei mesi oltre i quali – a prescindere da come
avranno luogo le doverose dimissioni di presidente ed assessori – c’è soltanto
la conclusione anticipata (per la prima volta dal 1970) della legislatura
regionale, dopodiché nuove elezioni.
A quel punto, una candidatura al
parlamento europeo, sdegnata da Rossi due anni fa e adesso agognata come unica
ancora di salvezza della sua carriera politica, sarà assai improbabile, se
conosciamo Matteo Renzi come abbiamo imparato a conoscerlo in questi anni.
Poi resterà un uomo solo al comando. Fino
alle elezioni politiche. La storia cominciata a Livorno finisce a Rignano.
Nessun commento:
Posta un commento