Come cambiano i tempi. Nel 1970 un secondo posto mondiale dietro al
Brasile di Pelé e dopo un 4-3 alla Germania Ovest che ancora
fa tendenza fu festeggiato da un bel lancio di pomodori dai tifosi che
aspettavano la Nazionale all’aeroporto. Oggi, anno domini 2016,
un quarto di finale non superato per un soffio sempre con la Germania (non più
Ovest e che fa molta meno tendenza di allora) e pregiudicato in ultima analisi
dalle sciocchezze di un paio di ragazzotti che forse invece che in Nazionale
agli Europei si sentivano sulla spiaggia di Milano Marittima a giocarsi il
favore di qualche tedeschina, è stato accolto con applausi. Sentiti applausi.
Tanto sentiti che il commissario tecnico – anzi, ormai ex commissario tecnico – Antonio
Conte si è detto pentito della scelta fatta un paio di mesi fa in
favore del Chelsea.
Facce da rigore: Leonardo Bonucci 2016 |
Tornerà, prima o poi, Antonio su questa panchina azzurra. Lui che ha
rimesso in sella – e nel cuore dei tifosi – una Nazionale che dopo i mondiali
brasiliani sembrava ridotta a un qualcosa di vintage. Come quei
grammofoni e quei mangiadischi che teniamo in soffitta perché sono un caro
ricordo del passato e buttarli via del tutto ci pare un peccato.
Nel frattempo, a Giampiero Ventura lascia in eredità
temporanea un’Italia che ha ritrovato il suo legame con il proprio passato.
Quello che le ha fatto cucire sulla maglia azzurra quelle quattro stelle.
Quello che ti pesa sulle spalle quando scendi in campo e gli avversari ti
pressano da tutte le parti, le gambe non ti reggono più, la milza ti esplode,
eppure al ‘120 se ti capita la palla ti fai ancora 80 metri di campo per rifare
quel giochino che riuscì a Domenghini e Rivera, a Bruno
Conti e Altobelli, a Cannavaro, Gilardino e Del
Piero, a Montolivo e Balotelli. E che
prima o poi riuscirà a qualche altro ragazzo azzurro. Perché il calcio italiano
non poteva essere diventato quello degli ultimi quattro anni.
Quel passato che ti manda sul dischetto del calcio di rigore a denti
stretti a fare il tuo dovere anche se dentro ti senti morire, con sessanta
milioni di occhi addosso. E la televisione inquadra impietosa i tuoi, di occhi,
cercandovi un segno di forza o di debolezza. Gli occhi di Francesco
Totti al ’90 di Italia-Australia. Gli occhi di Fabio Grosso al quinto
rigore per il titolo mondiale. Gli occhi di Leonardo Bonucci per
pareggiare Ozil e negare una volta di più alla Germania la
soddisfazione di una vittoria chiara e netta. Gli occhi di Roberto
Baggio, che sa di avere una gamba sola, a Pasadena, eppure va lo stesso. A
compiere il suo e il nostro destino.
Se su qualcosa dovrà migliorare, il CT Ventura, sono proprio questi
benedetti rigori. Avessero imparato a calciarli, i nostri azzurri, avremmo
molte più stelle su quella benedetta maglietta, sopra lo scudetto tricolore.
Tutto evidentemente non si può avere. I nostri buttano l’anima in campo, se il
condottiero sa motivarli, come Bearzot, come Lippi,
come Conte. Poi, sul dischetto, spesso vedono le streghe. O i propri limiti.
Roberto Baggio 1994 |
Questi stramaledetti calci di rigore, che invece i tedeschi tirano
sempre benissimo (o quasi) cominciarono a risolvere le partite internazionali
nel 1976. Proprio ai tedeschi toccò l’onore e l’onere di inaugurare la prassi,
nella finale dell’Europeo jugoslavo contro la Cecoslovacchia. Sbagliò Uli
Hoeness, uno dei migliori (quello che due anni fa è finito in galera per
frode fiscale al Bayern Monaco). La Germania Ovest lasciò il titolo
alla Cecoslovacchia. Da allora, ha sbagliato ancora bilanci e gestioni, con o
senza Hoeness, ma rigori decisivi non ne ha sbagliati più.
Per l’Italia, il discorso cominciò subito dopo, e fu ben diverso. Nel
1980, all’Europeo casalingo, la Nazionale azzurra post-calcioscommesse mancò
la finale di Roma e finì a giocare quella per il terzo posto contro la
Cecoslovacchia campione in carica. Dopo l’1-1 stentato dei tempi regolamentari,
finì 9-8 per i Cechi ai rigori, dopo l’errore decisivo di Fulvio
Collovati, uno dei pilastri di quella squadra destinata due anni dopo a
laurearsi campione del mondo.
Italia 80 fu un’anticipazione di Italia 90, in tutti i sensi. Nella
delusione finale, con tanto di Germania Ovest in festa sul prato dell’Olimpico
di Roma in entrambi i casi, e nelle modalità, maturate ai calci di rigore. La Nemesi azzurra
nel 1990 si materializzò al San Paolo di Napoli contro una pessima Argentina
che Diego Maradona trascinò fino alla resistenza al gol di Schillaci e
poi fino ai penalties fatali per la Banda Vicini.
Sbagliarono Donadoni e Serena, due che in
campionato non sbagliavano mai. Vicini fu accusato di aver tenuto fuori Roberto
Baggio.
Quattro anni dopo, negli USA, Baggio c’era, e portò la Banda Sacchi in
finale di peso, malgrado il mister di Fusignano avesse commesso ben più errori
di quello di Cesena. In finale, contro un Brasile più o meno ai livelli
dell’Argentina di Napoli, gli azzurri avevano testa e gambe stanche. Baggio
aveva una gamba sola, e purtroppo non era quella che serviva per calciare il
rigore. Prima di lui avevano sbagliato due colonne, Franco Baresi e Daniele
Massaro. Il suo quinto rigore serviva per non morire anzitempo. Invece fu
la fine.
Altri quattro anni passati, dopo il rigore sbagliato da Gianfranco
Zola che ci costò l’Europeo inglese del 1996, a Parigi ancora Baggio
tenne in vita l’Italia malgrado il mister Cesare Maldini in
lui ci credesse poco, preferendogli Zola e Del Piero. Ma la fortuna non gli
arrise, come non gli aveva arriso in passato. Il suo quasi golden gol (un’altra
diavoleria della FIFA che al pari dei rigori ci sarebbe costata lacrime e
sangue) uscì d’un soffio, gelando il sangue ai francesi. Il suo rigore, il
primo della serie come se quattro anni non fossero passati, quella volta entrò.
Toccò a Gigi Di Biagio sbagliare l’ultimo, quando l’Italia era
ancora in parità nel conto totale e la Francia cominciava a vedere qualche
strega.
Francesco Totti 2000 |
Rotterdam, anno di grazia 2000. I cucchiai si fanno e
basta, se si è in grado. Non si promettono, caro Pellé. Due volte
ci è andata a finire bene alla lotteria dei penalties. In
semifinale a Euro Belgiolanda contro i tulipani che
ci avevano fatto vedere i sorci verdi ma che di rigori quel giorno ne
sbagliarono ben cinque, due nel tempo regolamentare e tre in conclusione.
Francesco Totti segnò quel giorno uno dei due per cui la patria gli sarà per
sempre eternamente grata. Quello del cucchiaio. In finale, ci si
mise il golden gol di Trezeguet a fare quello
che solitamente ci facevano i tiri dal dischetto: il danno oltre alla beffa.
Due anni dopo ancora golden gol, quello di Ahn coadiuvato
dall’arbitro Moreno, in Corea del Sud. Due anni ancora, quella
volta in Portogallo fu biscotto, quello di Ibrahimovic e Poulsen.
Totti fece centro anche quella volta, ma sul viso del danese.
Per ritrovare l’Italia ai calci di rigore, bisognò arrivare alla
finale di Berlino nel 2006. Quel giorno, Pirlo, Materazzi, De
Rossi, Del Piero e Grosso non tremarono. Era l’anno
nostro. Trezeguet ci restituì il golden gol di Rotterdam sotto
forma di rigore sbagliato, l’unico francese, che ci bastò. Zidane aveva
già fatto il suo incornando Materazzi e finendo sotto la famosa doccia
anzitempo.
Francesco Totti 2006 |
Nel 2008, chiusa parentesi positiva. Italia che tenne testa alla
Spagna che studiava da campionessa, ma che ai rigori soccombette e proprio con
un eroe di Berlino, De Rossi, nonché con uno che in campionato non sbagliava
mai, Totò Di Natale.
Poi, un paio di eliminazioni al primo turno ai mondiali, in Sudafrica
e Brasile, ed un Europeo egregio ma logorante in Ucraina – Polonia. La Spagna
ce ne fece quattro, ma nei tempi regolamentari. In finale gli azzurri non ne
avevano più.
Ieri l’altro, ancora la Nemesi. Tedeschi in bambola, che
di rigori ne sbagliano tre, con Mueller, Ozil e Schweinsteiger.
I migliori dei loro. Quando ricapiterà? Ma la buona sorte ci volta le spalle
non appena vede la pantomima di Zaza, indegna perfino di un cortile
di galline ed anitre, e soprattutto il gestaccio di Pellé a Neuer.
Quando fai una cosa brutta e gratuita come quella, se c’è un po’ di giustizia
perdi. E infatti.
Graziano Pellé 2016 |
Palla al centro. Avanti la prossima. Con una raccomandazione a mister
Ventura. Sui rigori, lavoriamoci un po’, fermiamoci qualche minuto in più la
sera, alla fine degli allenamenti. Se avessimo imparato a tirarli per tempo,
chissà quante stelle avremmo sulla maglia. Altro che le quattro che ci tengono
appaiati alla Germania. Una raccomandazione anche all’ex mister Conte. La
Nazionale dà un senso ad una carriera. Più del Chelsea. Ma siamo certi che lui
questo lo sa. E prima o poi quel senso vorrà tornare a darlo.
Nessun commento:
Posta un commento