Si chiama ucronia, ed è un arte proibita, proibitissima
dalla storiografia ufficiale, a pena di scomunica. E’ l’arte di fare la storia
con i se e con i ma. Quella cosa che – ci dicevano
da piccoli – non si fa mai, mai, mai, perché è una gravissima infrazione del
galateo storiografico. Un po’ come mettersi le dita nel naso o stare scomposti
a tavola.
Eppure, a tirare in ballo quei benedetti se e ma spesso
si compie un’operazione altrettanto utile, se non meritoria, di quella
suggerita a suo tempo dalla buonanima del senatore Giulio Andreotti,
con il suo pensar male.
Sarà tra l’altro che si parla di Oriente, o quantomeno della Porta
dell’Oriente. E allora dai tempi delle Mille e una Notte sappiamo
che tutto laggiù si sfuma nei contorni, avvolto da una nebbiolina magica che fa
assumere a tutto la prospettiva e le sembianze di un miraggio.
Recep Tayyip Erdogan sopravvive ad un colpo di stato della
durata di circa sei ore. Da operetta, verrebbe da definirlo, se non
lasciasse comunque sul terreno il suo bravo cospicuo numero di morti. E se non
si portasse dietro inevitabili conseguenze la cui portata è al momento
difficile da stabilire, ma che sembra di poter prefigurare di non poco
momento.
In attesa di informazioni e analisi più accurate, alcuni dati sono
certi. Per quattr’ore il dittatore democratico della Turchia
sparisce di circolazione, ripresentandosi all’aeroporto di Istanbul quando
già le cose iniziano a volgere in suo favore, dopo alcune ore in cui il putsch militare
sembra aver successo. Ora, in occasione dei colpi di stato, i leader da deporre
non sono mai pronti e messi sull’avviso. O si fanno beccare e ci rimettono le
penne subito, o se sono fortunati si asserragliano da qualche parte e
reagiscono, insieme al popolo. Erdogan pare sia volato da qualche parte in
attesa di tornare al momento opportuno. Che sembra tanto accuratamente
preparato. Inverosimile.
Erdogan ha una lista pronta di personalità da epurare. Lasciando
perdere i vertici dell’esercito a lui ostili, ovvi bersagli della rappresaglia,
ci vanno di mezzo oltre 2.700 magistrati, con tanto di nome e cognome. Non
sembra automatica e conseguenziale come reazione, a meno che lui non l’abbia
premeditata, o addirittura fosse il suo obbiettivo primario. I magistrati
applicano la legge, e fino a ieri la legge della Turchia era abbastanza laica.
Più o meno quanto la nostra. Adesso, chi prenderà il posto dei 2.700
sicuramente non sarà inviso al capo del governo. E
probabilmente applicherà una legge meno laica e più islamica di quella vigente
finora. Se è vero che quel capo del governo ha già annunciato una riforma
costituzionale, da attuarsi sotto il regime della legge marziale e della pena
capitale appena instaurato. Verosimile.
Chi conosce la Turchia un minimo, sa che si tratta di un paese
profondamente spaccato in due. Istanbul, Ankara e i centri
abitati più grandi della costa egea da una parte, con il bisogno sempre
crescente di occidentalizzazione e modernità avviato quasi cento anni fa da Mustafà
Kemal Ataturk alla dissoluzione dell’Impero Ottomano. Dall’altra, il
grande hinterland dell’Asia Minore, abitato da una popolazione
ancora in gran parte contadina e osservante dell’Islam ortodosso,
sempre più radicalizzato dalle vicende del Medio Oriente a due passi da lì.
Finora, la bilancia pendeva dalla parte delle città europeizzanti. La Turchia
Europea è un fazzoletto disteso sul Bosforo, rispetto al
grande entroterra asiatico che va dall’altra sponda dei Dardanelli all’Anatolia,
alla Cappadocia, al confine con il lebensraum dello Stato
Islamico. Eppure Istanbul con i 16 milioni di abitanti che ormai
assomigliano alla popolazione di Zurigo e di Londra piuttosto che a qualsiasi
altra dell’Oriente di cui sono la porta, ha tenuto in scacco non solo il
fondamentalismo light di Erdogan ma anche e soprattutto quello hard del
mare magno arabico musulmano che una volta costituiva il suo impero.
L'esercito blocca il ponte sul Bosforo a Istanbul |
Questo sta cambiando proprio per effetto della continua e progressiva
urbanizzazione di quelle masse contadine che vengono nelle città a cercare
condizioni di vita migliore (una specie di miracolo all’italiana su
scala assai più grande e dai tempi più lunghi di quello nostro degli anni
sessanta), ma che si portano dietro però il Corano nella sua
versione più intransigente, con le donne velate (finora non si distingueva una
turca di Istanbul da una svizzera o da una tedesca, altrettanto belle e
disinibite), con gli uomini che assomigliano sempre più a quel modello arabo
che pur disprezzano, con la shari’a strisciante.
E’ un paese in bilico sulla lama di una scimitarra. Erdogan lo sa, e
vuole forzare la bilancia a pendere dalla sua parte. Sa anche che se ha qualche
nemico lo ha tra i ranghi dell’esercito non proprio ai massimi vertici (i nuovi Giovani
Turchi) e nelle magistrature cittadine. In Turchia, l’esercito storicamente
negli ultimi cento anni è laico, e interviene puntualmente quando si comincia a
vedere troppo fondamentalismo, troppo Islam a giro per le strade di Ankara e Istanbul.
Nessuno ha dimenticato qui il vecchio adagio di Ataturk: Se potessi,
abolirei le religioni. Tutte.
Erdogan ha dimostrato di essere un politico abile, quanto spietato. Da
undici anni, le elezioni in Turchia le vince lui. E questo vuole pur dire qualcosa.
Incassa sconfitte come quella di due anni fa a Piazza Taksim, e
puntualmente poco dopo si ripresenta al banco di gioco rilanciando. Mostrando
di aver imparato da quelle sconfitte, né più né meno come quei vecchi sultani
Ottomani che ebbero ragione della vecchia Costantinopoli prima,
dopo un assedio plurisecolare, e poi di mezza Europa dopo, quando sembravano
inarrestabili. Del resto, non si tiene testa a Putin e all’Unione
Europea insieme se si è una mezza calzetta.
Fethullah Gulen |
E allora, giochiamo a Ucronia. Un vecchio oppositore in
esilio negli Stati Uniti, l’imam Fethullah Gulen, organizza
o ispira un golpe contro l’attuale sultano. Verosimile. Il quale
viene a saperlo, e non fa niente per fermarlo, anzi capisce al volo che è la
sua tanto attesa occasione per quel giro di vite che sogna di dare, in Turchia
e nel mondo islamico circostante. Verosimile. Lascia che le cose
vadano avanti fino al punto da precipitare. Si eclissa per qualche ora Allah
solo sa dove e intanto prepara le sue liste di proscrizione. Verosimile e probabile.
Al momento giusto, quando l’America si schiera de facto dalla
sua parte, scatena la folla che risponde con una prontezza incredibile, manco
fossimo a Boko Haram o nel cuore dello Stato Islamico.
In un paio d’ore, still in charge come annuncia all’alba la B.B.C. (lasciamo
perdere la R.A.I., sono a fare gli stessi discorsi da ciclostile,
si tratti di Ankara, Nizza, Andria, Fermo o delle previsioni del tempo).
Esiste una corrente di pensiero complottista, secondo cui
– da Pearl Harbor alle Torri Gemelle – è
verosimile che un governo prepari un attentato contro se stesso. Questa non è ucronia.
E’ sciocchezza, che neanche merita di essere rubricata come follia, perché
sarebbe come darle un riconoscimento di livello superiore. Nessuno spara contro
se stesso, sperando che la cartuccia sia a salve come gli hanno detto i suoi
collaboratori. Verosimiglianza vorrebbe che i governi interessati vengano
semmai a sapere di qualcosa che si prepara, e anziché stopparla la assecondano
preparandosi a sfruttarla a proprio vantaggio. Se tutto va bene.
Così funzionano i Governi e i Servizi Segreti. Da Pearl Harbor alla
Guerra Fredda alle Torri Gemelle a tutto quanto succede in Medio Oriente. Dove
l’atmosfera da Mille e una Notte, tra l’altro, rende da sempre
tutto più sfumato nei contorni, come un miraggio nel deserto.
Questo colpo di stato, se Erdogan non l’avesse subito, avrebbe sognato
di subirlo e sconfiggerlo. Adesso la Turchia è alla sua mercé. Con la legge
marziale può fare quello che vuole, e chi si oppone è un traditore della
patria. Bingo.
Non solo. Obama commette l’ultima sciocchezza della
sua sciagurata presidenza appoggiandolo. Pare di vederli gli analisti della C.I.A. a
Langley. Appoggiamo Erdy, non possiamo permetterci una
destabilizzazione del Medio e Vicino Oriente proprio adesso, nel fianco sud-est
della NATO. Appoggiamolo, non è il primo boia che teniamo in sella, e poi è
stato eletto dal popolo, basta invocare il rispetto della democrazia e Thomas
Jefferson è soddisfatto anche stavolta.
Soldati lealisti a Piazza Taksim, Istanbul |
Erdy ripaga Obama mettendolo in un angolo, chiedendogli
una estradizione di Gulen che Obama non può concedere, perché lo manderebbe a
morte atroce. Chiedendogli addirittura di ridiscutere la politica americana in
Turchia, et eziandio anche la situazione delle basi NATO in
Asia Minore. Dove, detto per inciso, pare che qualche ceffone tra militari
lealisti turchi e militari USA sia già volato. E adesso, le relazioni
tra Stati Uniti e Turchia sono a rischio (Reuters). Thanks, mister Obama, let’s hope never to see
you again, by the will of God.
Sullo sfondo, Putin tace, ridendo sotto i suoi baffetti da tigre
siberiana nel vedere i suoi competitors che si sbranano tra
sé. Tace anche l’Europa, e se la sua voce è quella della Mogherini fa
bene.
Abbiamo sempre considerato in epoca moderna il Bosforo come la Porta
dell’Oriente. Esiste la possibilità, e non è un gioco di ucronia,
che sia appena diventata la Porta dell’Occidente. Per un Islam radicale che
forse sta di nuovo per spostare i suoi confini (e le sue macchine d’assedio)
sotto le mura di Vienna.
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