Quattro anni. Tanti ce ne sono volute
affinché lo strano caso dell’Erica Lexie e della detenzione in India dei due
fucilieri di marina italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone al di
fuori di ogni garanzia di diritto internazionale arrivasse a soluzione.
La notizia che tutta l’Italia (o almeno
quella parte della sua popolazione che può a buon diritto ancora riferirsi a se
stessa con il nome di Italia) attendeva assieme alle famiglie Latorre e Girone
è finalmente arrivata ieri all’ora di pranzo dall’Aja, la città olandese dove
ha sede il Tribunale Internazionale arbitrale.
Il governo italiano, il terzo in
ordine di tempo ad occuparsi della più grave crisi internazionale coinvolgente
il nostro paese almeno fino all’omicidio di Giulio Regeni, aveva intrapreso la
strada del ricorso all’organismo di giustizia internazionale nel luglio 2015,
riprendendo un’idea a suo tempo avanzata dalla diplomazia italiana ai tempi in
cui essa era diretta da Emma Bonino.
La strada, per quanto lunga sia
nel tratto già percorso che in quello da percorrere, si è dimostrata peraltro quella
giusta. L’unica forse possibile. Scrive il tribunale dell’Aja nella sua
sentenza di ieri: «Italia e India devono cooperare, anche davanti alla Corte
Suprema indiana, per ottenere un allentamento delle condizioni cautelari del
sergente Girone così che possa, in base a considerazioni di umanità, tornare in
Italia, mentre rimane sotto l'autorità della Corte Suprema indiana durante il
periodo dell'arbitrato».
In pratica, dopo Massimiliano Latorre
che si trova già da tempo nel nostro paese in regime di permesso speciale
(prorogato di recente) per rimettersi dai postumi dell’ictus che l’aveva
colpito durante la detenzione in India, anche Salvatore Girone può fare
finalmente ritorno a casa in famiglia, pur rimanendo sotto «l'autorità della
Corte Suprema indiana durante l'arbitrato internazionale».
Nella nota con la quale la
Farnesina ha dato notizia con legittima soddisfazione del pronunciamento della
Corte dell’Aja e della svolta della vicenda nel senso auspicato, si va
addirittura oltre. «Il Governo ha lavorato per sottoporre l'intera vicenda
all'arbitrato internazionale e, in questo quadro, riportare a casa i due
Fucilieri di Marina. L'ordinanza annunciata apre la strada a questo risultato.
Si tratta quindi di una buona notizia per i due Fucilieri, le loro famiglie e
per le ragioni sostenute dal Governo e dai nostri legali. Il Governo conta su
un atteggiamento costruttivo dell'India anche nelle fasi successive e di merito
della controversia».
In sostanza, il Ministero degli Esteri
italiano ipoteca anche l’esito del successivo dibattimento, sottolineando come
l’organo arbitrale internazionale non potrà non riconoscere le buone ragioni
del nostro paese e dei suoi militari in servizio, nell’ambito di una vicenda in
cui le autorità indiane si sono comportate fin da subito in modo da lasciare
numerose e gravi perplessità nell’opinione pubblica non solo di parte, ma anche
internazionale.
Al di là delle dichiarazioni, chi
conosce un po’ delle segrete cose di cui si nutre la diplomazia, non può non
cogliere il senso più importante di questa svolta. I Marò tornano a casa dopo
quattro anni, grazie ad una sentenza che è stata scritta nelle cancellerie diplomatiche
prima ancora che nelle aule di tribunale internazionale. Una sentenza magistralmente
redatta in modo da salvare capra e cavoli, faccia ed orgoglio indiani insieme
alle ragioni italiane.
A questo punto, è la parte non
scritta tra le righe di questa sentenza storica, qualunque cosa succeda Latorre
e Girone la vivranno qui, tra i loro connazionali ed i loro familiari. E la
sensazione è che non potrà succedere altro che una conclusione la più indolore
possibile per una crisi che è durata anche troppo ed i cui contorni ed ambiti
reali restano comunque da definire.
Il clima in questi quattro anni è
tra l’altro assai mutato, ed è da auspicare che non si verifichi una
ripetizione della tragicomica gaffe del governo Monti che in occasione delle
vacanze di Natale 2012 e del permesso speciale concesso dagli indiani ai due
Marò di trascorrerlo in famiglia, non colse al volo l’opportunità di chiudere
allora d’autorità una vicenda che con il diritto aveva poco o nulla a che fare.
La sensazione, ribadiamo, è che
stavolta le circostanze consentano – a prescindere da qualsiasi valutazione si
voglia dare della vicenda complessiva – di chiuderla diversamente, e con
soddisfazione di tutti. In questo senso, concediamo al governo Renzi di dare
grande risonanza all’evento ed al proprio ruolo svolto nel determinarlo. Di
sicuro, la diplomazia italiana ha fatto il suo dovere in modo egregio.
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