Un uomo solo al comando.
Credevamo che fosse ormai sport e letteratura d’altri tempi. Altro ciclismo,
altri campioni, ammantati di quell’aura di leggenda che pervadeva qualsiasi
impresa ai tempi in cui era la radio il nostro unico legame con il mondo, e che
si era dissolta irrimediabilmente, inesorabilmente quando la televisione era
giunta a portarci in casa tutto il mondo minuto per minuto, nei più
infinitesimali dettagli.
Il suo nome era Fausto Coppi. La
leggenda sembrava finita con lui e con Gino Bartali. Per sempre. E invece no. L’eroe
è tornato. E’ un uomo sempre più solo, in questo ciclismo – in questo sport –
fatto sempre di più di personaggi costruiti in laboratorio, che devono alla
chimica quello che non possono più chiedere al cuore ed alle gambe. Ed è di
nuovo al comando, sessant’anni dopo. Il suo nome è Vincenzo Nibali.
Chissà quanto tempo dovrà passare
prima che qualcuno delle prossime generazioni possa raccontare un’impresa
simile a quella che il corridore messinese ha messo a segno ieri, a conclusione
di una due giorni di quelle che sconvolgono il mondo. Domenica scorsa, la
rottura della bicicletta di Vincenzo aveva fatto il paio – un paio mestissimo –
con quella della moto di Valentino. Per gli appassionati italiani che cercano
nello sport quegli eroi, quegli esempi che ormai non trovano più da nessun’altra
parte, era stato un segno degli Dei. Non c’è strada per il paradiso, non per il
tricolore.
Tre o quattro giorni fa, Nibali
meditava il ritiro, per non dover sfilare oggi a Torino da sconfitto, lui che
secondo pronostico questo Giro se lo doveva mangiare, come lo squalo di cui
porta il soprannome. Alla partenza da Pinerolo per la terzultima tappa, due
giorni fa, soltanto il suo smisurato orgoglio – pari esclusivamente alla sua
classe - lo tenevano in corsa, almeno
teoricamente. Sul colle dell’Agnello, quando il destino ha deciso di risarcirlo
tutto insieme, la sua buona scorza siciliana l’ha fatto trovare più che pronto.
Risorto in un attimo, dal nulla.
Kruijsvijk va lungo nella neve, e
lascia in terra la maglia rosa. La raccoglie Chaves, ma Nibali che alla
partenza aveva quasi cinque minuti di distacco si ritrova a soli quaranta
secondi dal nuovo leader. Vincenzo si mangia sia la Cima Coppi (la vetta più
alta di questo 99° Giro d’Italia) che l’arrivo a Risoul. All’arrivo il
siciliano di granito scoppia in un pianto liberatorio. L’aveva fatto anche alla
tappa decisiva del Tour 2014. Anche questi sono segni del destino. La crisi è
come se non ci fosse mai stata.
Il giorno dopo, alla partenza da
Guillestre tutti sanno che è solo questione di sfruttare il momento e l’occasione
giusta. La tappa è la penultima, e la più dura del Giro. E’ oggi o mai più.
Quarantaquattro secondi sono tutto e sono niente. Sulla salita della Lombarda,
l’uomo si stacca e torna solo al comando. Da quel momento pedala sulle ali
della leggenda. Nei 4 km che lo separano dal Gp della Montagna la maglia rosa
passa sulle sue spalle. Adesso va soltanto difesa.
Nella discesa della Lombarda,
Nibali è uno stukas che plana in picchiata. Al Santuario di Sant’Anna ha già un
minuto e mezzo di vantaggio. Per il povero Chaves non c’è più niente da fare.
Non contro la leggenda che gli pedala davanti. Al traguardo di Sant’Anna di
Vinadio e del 99° Giro d’Italia, il distacco definitivo tra primo e secondo è 1’36”.
Su quel traguardo accade l’incredibile.
Questo ciclismo malato di doping e business estremo forse ha ancora qualche
speranza di tornare quello che più di ogni altro sport ci affascinava da
ragazzini. Ai tempi della radio e di una televisione che essendo ancora in
bianco e nero ci nascondeva tante brutture. Appena Vincenzo taglia il
traguardo, i primi ad abbracciarlo sono i genitori di Chaves, che erano lì per
festeggiare il figlio e con il loro gesto invece riscattano non solo questo
sport ma tutto lo sport in generale. Chapeau, signori Chaves, e i migliori
auguri che la prossima volta tocchi a vostro figlio.
Oggi passerella a Torino. Ieri a
Sant’Anna è stata apoteosi, come al fischio finale di una finale mondiale. Oggi
sarà la sfilata del pullman che porta in giro la Coppa del Mondo. Ma forse, più
che alle metafore calcistiche, conviene ricorrere alla vecchia letteratura
radiofonica. L’uomo oggi sfila in gruppo, assieme a compagni ed avversari. Ma
rimarrà per sempre da solo, al comando. Con i suoi due Giri vinti, il suo Tour,
la sua Vuelta e quel Mondiale perso a Firenze per una scivolata sul bagnato.
Con i suoi due giorni, le sue otto ore e poco più di pedalata che hanno
sconvolto il ciclismo mondiale.
Marco Pantani, ci sia consentito
dirlo, è abbondantemente vendicato.
Nessun commento:
Posta un commento