Chi osa vince. E’ il motto dello
Special Air Service, l’unità d’elite dell’esercito inglese alla quale vengono
affidate le missions impossibile, le questioni più delicate e pericolose da
sbrogliare. Una specie di berretti verdi britannici.
E’ un motto che piace agli
inglesi, da sempre, da quando salivano sulle navi pirata di Francis Drake a
quando reinventarono un gioco che aveva fatto la sua comparsa nella Firenze del
Cinquecento, per poi essere definitivamente codificato (più o meno come lo conosciamo
adesso) alla metà dell’Ottocento nei colleges di Sua Maestà Britannica.
Sono le 22,30 circa ora italiana
quando il referee fischia la fine del match tra Tottenham Hotspurs e Chelsea
che chiude la 36sima giornata della Premier League. Lo score è 2-2, i punti che
separano gli Spurs dalla vetta restano sette, con due turni da giocare. A Leicester,
capoluogo delle Midlands, esplode incontenibile la gioia. Le Volpi, così i
propri tifosi chiamano affettuosamente i propri beniamini in maglia blu, sono
campioni d’Inghilterra, per la prima volta nei loro 132 anni di storia.
La favola bella è finita. Adesso
comincia la leggenda. L’atto conclusivo si consuma in luoghi dai nomi
mitologici: stadi che si chiamano Old Trafford (dove il Leicester resiste all’ultimo
assalto, quello condotto dal Manchester United) e Stanford Bridge (dove il Tottenham
fallisce il suo ultimo assalto al Chelsea, lasciando via libera alle Volpi).
Gli outsiders, rimasti in testa
dall’inizio della stagione, entrano di diritto nella storia del loro calcio e
non solo, bissando a distanza di quasi quarant’anni l’impresa del Nottingham
Forest di Brian Clough, capace di vincere nel 1978 lo scudetto dopo appena un
anno dalla sua promozione dalla seconda divisione. Parlare di leggenda è poco. Parlarne
senza un brivido di emozione, qui dall’Italia, è impossibile. Alla guida di
questi corsari che hanno issato la loro bandiera blu sulla vetta della Premier
League c’è un signore italiano. Si chiama Claudio Ranieri, vecchia conoscenza
di un campionato che una volta era il più bello del mondo e che adesso non può
non guardare con invidia la più spettacolare e competitiva versione britannica.
Claudio Ranieri, romano de Roma,
è uno di quei casi di talento italiano costretto ad emigrare all’estero per
avere fortuna, riconoscimento delle proprie qualità. Tutti d’accordo su di lui
fino a poco fa, dalle nostre parti: un signore, appunto (chissà se Sua Maestà
Elisabetta II conferirà a questo gentiluomo italiano il titolo di Sir elargito più volte a
chi ha conseguito onore e gloria in Albione per sé e in definitiva anche per la
stessa Union Jack), ma non un vincente.
A Firenze questo gentiluomo è ben
conosciuto. Allenò una delle migliori Fiorentine di sempre, quella che
schierava tra gli altri Batistuta. Che fu fermata nella sua corsa verso la
vittoria in Italia da un Milan stellare più altre Sette Sorelle ed in Europa da
un Barcellona che non aveva nulla da invidiare a quello con cui adesso tutti si
riempiono la bocca.
I mancati successi in riva all’Arno
furono imputati ovviamente alla colpa sua. Dieci anni dopo, gli capitò alle
mani la Juventus del dopo Calciopoli, non la migliore della sua storia. Tornato
in A dopo l’anno sabbatico giudiziario, non gli riuscì il miracolo di vincere
subito, e in una Torino affamata (come si è visto) di immediata ed ingente
rivalsa questo non fu perdonato. Capitato a Valencia e a Londra, sponda Chelsea,
in anni che non erano ancora quelli delle vacche supergrasse, aveva
collezionato piazzamenti e coppe di Lega, mai la grande vittoria. A Londra l’avevano
soprannominato tinkerman, che in inglese sta per omino che si arrabatta,
rabbercia, esegue riparazioni alla meglio. Il contrario di skillful, abile e
vincente.
Era diventato un paria, un
transfuga, un nemo propheta in patria che – non più giovane, ma per il resto
assolutamente in linea con tanti nostri giovani – aveva alla fine ripreso la
strada dell’Inghilterra per cercare un rilancio, o almeno un futuro. A lui
aveva pensato la cordata Asian Football Investments, (capofila la King Power
Group diventata improvvisamente uno degli sponsor più celebri del calcio) che
detiene dal 2010 la proprietà della società, per affidargli la panchina della
squadra. Senza che nessuno dei due immaginasse che la storia era sul punto di
bussare ai cancelli del King Power Stadium.
Leicester è in festa. L’antico
Legercastrum romano diventato nei secoli uno dei capoluoghi della caccia alla
volpe, che fino a pochi anni fa rivaleggiava con il football ed il rugby come
sport simbolo di quest’isola, se la ride adesso dei pronostici interessati
degli addetti ai lavori e delle Bet Houses, le agenzie di scommesse.«Più facile
che Elvis sia vivo che il Leicester vinca la Premier League». Adesso hanno da
pagare qualcosa come 14 milioni di sterline a chi ci ha creduto un po’ più di
loro.
La gente delle Midlands stringe
in mano il proprio boccale di ottima birra inglese, ed attende di portare in
trionfo il suo condottiero italiano, che ha trascorso la sera più importante
della sua vita professionale a casa a Roma dalla mamma. Quando all’ottantatreesimo
Hazard ha messo dentro il pareggio definitivo del Chelsea, quello che lo ha
catapultato dentro la leggenda del football, chissà se e quanto si è commosso,
se ha ripensato agli anni in cui per il grande calcio che conta non era più
buono ad allenare nemmeno una squadra Primavera.
«Sapevo che un giorno avrei vinto
uno scudetto», dice adesso Sir Claudio. L’ha fatto nel paese dove chi osa
vince. Dove il coraggio e l’abilità fanno ancora premio su tatticismi e
furbizie. Dove lo sport moderno è nato, ed ogni tanto si ricorda di tornare a
casa. Britannia Felix, quella di oggi è anche la festa di una Premier League
che noi ormai possiamo soltanto invidiare.
We have a great pleasure in awarding you this,
Sir Claudio Ranieri. Sei nella storia. Goditela.
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