Se il 1984 era stato l’anno dei sogni realizzati, sogni americani o sogni di gloria a lungo interrotti o rimandati come quello della Francia footballeuse,
il 1988 fu l’anno dei sogni andati a male. Emblema di quell’annata fu,
ai Giochi Olimpici che si disputavano in Corea del Sud, il corridore
canadese colored Ben Johnson che aveva inteso frantumare i record e le imprese del Figlio del Vento Carl Lewis
e che invece dovette restituirgli miseramente l’alloro olimpico dopo
essere stato colto in fallo in uno dei più clamorosi casi di doping
della storia sportiva.
Nel
pianeta calcio, vecchi e nuovi sogni si aggrovigliavano su se stessi,
anticipando un nuovo avvicendamento nelle gerarchie (oggi si dice ranking)
che precedeva di poco tra l’altro cambiamenti epocali nella mappa
geopolitica del pianeta. Epicentro di questo tourbillon ancora in fieri,
l’Italia. Il campionato di calcio italiano in quel periodo aspirava a
vedersi riconosciuto il titolo di campionato più bello del mondo. Dopo
il mundial 82 i migliori assi stranieri avevano cominciato a
sognare un ingaggio nelle nostre squadre. Campioni di fama mondiale si
accasavano perfino in formazioni non certo di primo piano anche se
agguerrite, come Zico all’Udinese ed Elkjar Larsen al Verona.
Il Gotha del calcio era riunito qui, nella nostra penisola. L’anno che culminava nella ottava edizione degli Europei lo scudetto se lo erano disputato il Napoli che schierava colui che era riconosciuto come miglior giocatore del mondo, Diego Armando Maradona, ed il Milan di Berlusconi e Sacchi, che schierava il trio olandese Gullit, Van Basten, Rijkaard.
C’era di che suscitare l’invidia del resto del mondo, eppure su quel
campionato che i rossoneri avevano soffiato in volata ai partenopei si
erano diffuse ben presto voci di combine, in ossequio agli interessi del racket delle scommesse clandestine. Tutt’altro che debellato dopo lo scandalo del 1980.
La prima Italia di Azeglio Vicini |
Se
sul campionato si stendeva la lunga ombra del calcioscommesse e della
malavita organizzata, sulla nazionale azzurra tardava a disperdersi la
tenebra addensatasi tra il 1983 ed il 1986. Dopo la mancata
qualificazione all’europeo francese, Enzo Bearzot aveva
tentato un tardivo ricambio generazionale sostituendo gli eroi di
Madrid con le seconde linee che il campionato offriva. In Messico
stavolta per gli azzurri c’era stata poca gloria, diversamente dal 1970.
La squadra che si era raccolta attorno ad Alessandro Altobelli, l’ultimo glorioso superstite del Bernabeu, era discreta ma senz’anima. Anche la Francia di Platini
aveva passato il suo momento migliore due anni prima, ma la versione 86
fu sufficiente a porre fine alla spedizione azzurra dopo un girone di
qualificazione senza infamia e senza lode. I francesi andarono poi di
nuovo a schiantarsi contro una Germania Ovest in quella
occasione peraltro appena sufficiente. Maradona, alzando alla fine la
Coppa FIFA vinta quasi da solo, finì per oscurare tutti i vecchi e nuovi
protagonisti di quel Mexico Bis.
Per l’Italia,
si imponeva finalmente un nuovo cambiamento generazionale, dopo quelli
del 1966 e del 1974. Ritiratosi Bearzot, era tuttavia pronto il suo
successore. Azeglio Vicini aveva allestito una splendida Under 21 con le migliori promesse del nostro campionato, da Gianluca Vialli a Roberto Mancini, da Giuseppe Giannini a Walter Zenga. Gli azzurrini avevano perso la finale dell’Europeo di categoria nell’86 ai rigori con la Spagna,
ma avevano destato una impressione talmente buona da imporre a furor di
popolo il loro travaso in Nazionale maggiore armi e bagagli, con il
loro mister in testa.
Mentre prendevano il via le qualificazioni ad Euro 88,
l’Italia si toglieva la soddisfazione di battere, nell’amichevole di
Zurigo voluta dalla FIFA per inaugurare i preparativi in vista di Italia 90, l’Argentina
campione del mondo in carica per 3-1. L’astro di Gianluca Vialli
sembrava gettare una luce promettente sul futuro della Nazionale
azzurra.
Oltre
all’Italia, in quello scorcio di primavera del 1988 erano in diversi a
sognare. La Germania Ovest aveva ottenuto di nuovo l’organizzazione di
un evento sportivo internazionale, quattordici anni dopo Monaco. Con due
vittorie nel palmares, i tedeschi aspiravano ad un comodo tris
realizzato a domicilio da una formazione completamente rinnovata, dove
l’astro nascente di Jurgen Klinsmann aveva preso il posto di quello calante di Karl Heinz Rummenigge.
Uno dei tanti Italia-Germania, quella volta finì 1-1 |
L’Olanda pregustava un travaso in nazionale orange
del calcio spettacolo che i suoi alfieri principali avevano mostrato
nel Milan di Arrigo Sacchi. Il miglior difensore centrale, Frank
Rijkaard, il miglior centrocampista, Ruud Gullit, ed il miglior
attaccante d’Europa, Marco Van Basten, erano suoi. Legittimo sperare di
vendicare la prima generazione di fenomeni, quella di Cruyff e compagni.
Anche l’URSS aveva ripreso a nutrire sogni di gloria. Il colonnello Valerij Lobanovskyj aveva allestito uno squadrone a Kiev nella Dinamo. L’Unione Sovietica gli aveva affidato il compito di risollevare con quello squadrone le sorti della nazionale. A Mexico 86
l’URSS aveva fatto intravedere la promessa di un grande futuro. Nessuno
poteva sapere che, per motivi extracalcistici, quel futuro non sarebbe
in ogni caso andato oltre Germania 88.
Uno
solo sarebbe rimasto con la coppa in mano. I sogni degli altri erano
destinati a finire male, prima o dopo. Le qualificazioni non avevano
riservato grosse sorprese, a meno di non considerare tali il declino di Belgio e Cecoslovacchia, più fisiologico che altro. La Spagna aveva avuto la meglio sulla Romania, l’Italia aveva vendicato l’eliminazione di quattro anni prima contro la Svezia
in uno splendido scontro diretto giocato a Napoli e vinto per 2-1,
l’URSS aveva chiuso il ciclo dei campioni uscenti della Francia, l’Inghilterra non aveva durato fatica contro la Jugoslavia, l’Olanda contro l’Ungheria, la Danimarca con la Cecoslovacchia e l’Eire con il Belgio.
In
Germania, furono sorteggiati anche stavolta due gironi che dovevano
produrre due semifinaliste (incrociate) ciascuno, con atto finale all’Olympiastadion
di Monaco di Baviera come al mondiale del 74. Berlino capitale di una
Germania riunificata sembrava ancora un miraggio lontano per i tedeschi,
che non sapevano invece di averla ormai dietro l’angolo. Il Muro aveva ormai poco più di un anno di vita, ma in quel momento malgrado l’avvento al potere in URSS del riformatore Gorbaciov sembrava più solido che mai.
Nel gruppo A, la nuova Germania Ovest pareggiò con la nuova Italia, subito in gol con Roberto Mancini e poi raggiunta da Brehme.
La Spagna batté la Danimarca, che nel secondo turno cedette anche ai
tedeschi. L’Italia tornò alla vittoria (di misura) con gli spagnoli
grazie a Vialli. Nel turno conclusivo vittoria dei padroni di casa sulla
Spagna per 2-0, con lo stesso punteggio l’Italia sui danesi, in gol
l’intramontabile Altobelli e poi De Agostini. Italia e Germania in semifinale.
Nederland, 1988 |
Nel gruppo B, sembrava di assistere ad una marcia trionfale dell’URSS. Una crepuscolare Inghilterra vinse il derby
con l’Eire, per poi cedere malamente sia agli olandesi che ai sovietici
per 3-1. Nel match decisivo per il primo posto nel girone l’URSS colse
una vittoria sull’Olanda che fu foriera più che altro di molte
illusioni.
In semifinale, l’URSS si rivelò un osso ancora troppo duro da rodere per i ragazzi di Azeglio Vicini, anche se il 2-0 di Litovcenko e Protasov
risultò alla fine un punteggio troppo pesante per una nazionale azzurra
che aveva destato la sua buonissima impressione, anche in vista del
mondiale casalingo da disputarsi di lì a due anni.
Nell’altra
semifinale, era ovvio parlare di rivincita della finale del 1974, anche
se gli attori ormai erano figli di un’altra generazione. Germania-Olanda ormai era un classico del calcio, e questa edizione non deluse le attese. Andarono in vantaggio i tedeschi con Matthaus su rigore, e stavolta toccò a loro subire la rimonta olandese. Koeman sempre su rigore e Marco Van Basten all’ultimo minuto consumarono una vendetta che gli orange attendevano da quattordici anni.
La
finale di Monaco era un’inedita Olanda-URSS. Il 25 giugno 1988 scesero
in campo due squadre sicure dei propri mezzi, l’Unione Sovietica forte
della convinzione acquisita nel match del girone eliminatorio in cui
aveva prevalso seppur di misura, l’Olanda consapevole di non aver ancora
espresso tutto il proprio potenziale, di cui l’esplosività di Gullit e
Van Basten costituiva il micidiale terminale.
Gullit e Van Basten alzano la Coppa Europa |
Stavolta
la musica fu diversa, una specie di monologo olandese. Il cielo sopra
Monaco era arancione quel giorno. Colpì prima Gullit avventandosi di
testa su un comodo assist in area di Rijkaard, sempre di testa. Era il
32’ del primo tempo. Ad inizio ripresa, Marco Van Basten segnò al volo
uno dei gol più belli di tutti i tempi, calciando in porta da posizione
defilatissima sulla destra uno splendido traversone da sinistra. Gabriel Batistuta avrebbe segnato dieci anni dopo a Wembley un gol molto simile con la Fiorentina, anche se con palla a terra.
L’Olanda, non paga, chiuse attaccando. Unica occasione per i russi un rigore che Van Breukelen
parò a Protasov con facilità irisoria. Tutto sembrava facile per gli
orange, quel giorno. E alla fine Ruud Gullit andò a prendere la Coppa Delaunay
salendo le stesse gradinate della tribuna d’onore che aveva visto un
mesto Johan Cruyff andare a ritirare la medaglia del secondo posto
quattordici anni prima. Alla fine, a sognare era rimasta soltanto
l’Olanda.
Nessun commento:
Posta un commento