Negli anni 80 e 90 il calcio italiano arrivò ad un passo dal poter
essere considerato il più forte del mondo. Di sicuro, il campionato italiano si
meritava l’appellativo di più bello in assoluto, gli assi stranieri facevano la
fila per venire a giocare in Italia, i club italiani dominavano in Europa e nel
mondo ottenendo vittorie in serie. Nel 1990 all’ultima riunione del board dell’UEFA prima
del mondiale italiano, Antonio Matarrese fu accolto da un
applauso scrosciante, poiché le tre competizioni continentali – Coppa
Campioni, Coppa Coppe e Coppa UEFA – si
erano concluse con altrettanti successi di nostre squadre, rispettivamente Milan, Napoli e Juventus,
che aveva prevalso tra l’altro su un’altra italiana, la Fiorentina.
Cesare Maldini con Enzo Bearzot a Spagna 82 |
Nel decennio successivo, la musica – almeno a livello di club –
sarebbe cambiata poco. Fu un’Età dell’Oro per l’Italia del calcio, di cui però
negli Albi d’Oro delle competizioni per rappresentative nazionali rimane poco o
nulla. Tra la vittoria mondiale dell’82 e quella del 2006, la Nazionale azzurra
conquistò soltanto una finale europea, nel 2000. Per il resto, golden
gol e calci di rigore fecero sì che se non mancò il valore mancò di
sicuro la fortuna.
Tre mondiali consecutivi, 90, 94 e 98, conclusi dal dischetto (con una
sola sconfitta nei tempi regolamentari, contro l’Eire a New York), un altro
negli ottavi (in Corea, arbitro l’ineffabile Moreno) a causa della morte
improvvisa, la stessa che nel 2000 beffò a Rotterdam i ragazzi di Zoff al
cospetto di Trezeguet & soci. Due volte non qualificata agli Europei
(Francia e Svezia), una volta fuori nel girone dei quarti (Inghilterra), una
volta sola in semifinale (Germania). Troppo poco. Due generazioni di campioni
in azzurro rimaste a bocca asciutta, almeno fino a Berlino 2006.
Negli stessi anni, l’accademia del calcio si dilaniava sul dibattito
filosofico tra fautori del calcio all’italiana e fautori di quello
all’olandese. Il calcio totale aveva vissuto una seconda
giovinezza proprio in Italia, grazie al successo di Arrigo Sacchi e
del suo Milan a trazione olandese. Il movimento era stato
fortemente tentato, come già negli anni 70, di riconvertirsi al verbo orange,
ma molti erano restii ad abbandonare certezze tecnico-tattiche che risalivano
ai tempi gloriosi di Vittorio Pozzo.
Lo stesso Sacchi, trapiantato in Nazionale, aveva destato più
perplessità che entusiasmi. Chiamato da Matarrese a far meglio di Vicini,
si era fermato sugli ostacoli che per Vicini erano stati insormontabili,
malgrado tutta la sua intensità e le sue ripartenze,
malgrado il divieto di pronunciare parole come contropiede e difesa.
Il calcio italiano con lui non aveva aggiunto nulla al suo palmares,
alle tre stelle mondiali ed all’unica singola europea, che dal 1968 brillava
sola soletta sul labaro azzurro.
Demetrio Albertini capitano della Under 21 vittoriosa nel 1992 |
A tenere alto il prestigio nazionale, in quel periodo, ci aveva
pensato il vivaio, che come da tradizione continuava a sfornare campioni a
getto continuo. E soprattutto ci aveva pensato un vecchio condottiero, un
vecchio arnese da calcio che si era formato alla scuola di Nereo Rocco,
il leggendario paron milanista secondo cui o palla o
gamba, meglio se palla.
Cesare Maldini era stato una colonna di un grande Milan,
prima di intraprendere la carriera di allenatore proprio in rossonero come vice
di Rocco. Nel 1980 fu scelto dalla F.I.G.C. per affiancare Enzo
Bearzot sulla panchina della Nazionale. Come vice del friulano
Bearzot, il triestino Maldini alzò la Coppa del Mondo nell’82. Come vice,
accompagnò il vecio anche nella sconfitta. Nel 1986 in Messico
il ciclo mundial si concluse definitivamente. Bearzot a casa,
Vicini – allenatore di una splendida Under 21 finalista
all’Europeo di categoria – al suo posto sulla panchina della Nazionale
maggiore. A Cesare toccò l’Under 21.
Per dieci anni, Maldini scrisse con i ragazzi la storia che colleghi
molto più trendy di lui in quel momento non riuscivano a
scrivere con i grandi. Il torneo Under 21 esisteva a livello europeo fin dagli
anni 60. Con poche eccezioni, era stato fino a quel momento territorio di
caccia delle rappresentative dell’est europeo, evidentemente più favorevoli ad
investire in modo sistematico sui propri vivai. Quando Maldini prese in mano l’Under,
la competizione funzionava ad eliminazione diretta, con partite di andata e
ritorno, finale compresa.
LA vittoria del 1994 |
L’Italia si era affacciata alla ribalta nel 1986 per la prima volta. I
Vicini boys, destinati di lì a poco ad essere trapiantati in
Nazionale maggiore, avevano ceduto ai rigori ai ninos di
Luisito Suarez, dopo che andata e ritorno si erano concluse con lo stesso
risultato, 2-1 per i padroni di casa. A Valladolid era andata male, Vicini si
era dato il cambio con Maldini sulla panchina della Nazionale che intraprendeva
il cammino verso Italia 90.
Cesare Maldini si mise a lavorare con la costanza, la capacità e la
riservatezza propria della gente della sua terra. A riflettori spenti, costruì
pezzo dopo pezzo una Under 21 che non aveva nulla da invidiare a quella del
predecessore. I primi due assalti si conclusero con onorevoli piazzamenti. Nel
1988, gli azzurrini si arresero alla Francia nei quarti (2-1 e
2-2), confortati almeno dal fatto di aver perso di misura con la squadra che
avrebbe vinto il titolo. Nel 1990 toccò ad una Jugoslavia alla
sua ultima uscita prima del disfacimento fermare ancora l’Under italiana,
stavolta in semifinale, 0-0 nei Balcani e 2-2 di qua dall’Adriatico. Jugoslavi
poi finalisti, sconfitti da un URSS anch’essa praticamente
alla sua ultima apparizione.
Nel 1992 prese il via l’epopea di Cesare Maldini e dei suoi ragazzi
terribili. Gianluca Sordo, Renato Buso, Alessandro
Melli, Francesco Antonioli, Demetrio Albertini sono
alcuni nomi di quella Under che uscita fuori da un girone di
qualificazione che comprendeva URSS, Norvegia e Ungheria (malgrado
un clamoroso 6-0 rimediato ad Oslo), si prese la soddisfazione di battere nei
quarti la Cecoslovacchia sia in casa (2-0) che fuori (2-1).
Stesso trattamento riservato alla Danimarca in semifinale, 1-0
ad Aalborg e 2-0 a Perugia. La finale opponeva agli azzurrini la Svezia,
che finì anch’essa sotto il rullo compressore. A Ferrara fu un comodo 2-0, a
Vaxjo gli svedesi si portarono in vantaggio nella ripresa ma gli azzurrini
tennero. Assieme alla prima Coppa Europa Under 21 della loro storia, si
portarono via anche la qualificazione alle Olimpiadi di
Barcellona, dove sarebbero stati fermati dalla Spagna per 1-0
nei quarti.
Era già tanto, per un tecnico considerato ai margini del calcio che
contava. Ma nel 1994, mentre Arrigo Sacchi tentava la sua chance mondiale in
USA con Baggio & c., Maldini decise di rubargli ancora la
scena. Con una rappresentativa ancora più forte grazie all’esplosione di Vieri, Inzaghi, Toldo, Panucci solo
per dirne alcuni, i campioni in carica iniziarono la difesa del titolo
dominando un girone a cinque comprendente Portogallo, Svizzera Scozia e Malta.
Giocate 8, vinte 7, persa una sola, in Portogallo. Nei quarti, ancora la
Cecoslovacchia. Gli azzurrini chiusero subito il discorso con un bel 3-0
casalingo. In Boemia, sconfitta su rigore all’ultimo minuto, assolutamente
ininfluente.
La vittoria del 1996 |
Il regolamento nel frattempo era cambiato. Il torneo adesso proseguiva
sulla falsariga di quello delle prime edizioni della Coppa Delaunay.
Venne designato un paese ospitante, dove le quattro superstiti si sarebbero
date battaglia in semifinale e finale. Agli azzurrini toccarono i bleus padroni
di casa, tra i quali spiccavano i nomi di gente come Zidane, Blanc, Dugarry.
A Montpellier furono 120 minuti di battaglia, conclusi sullo 0-0. I rigori, che
nello stesso periodo costarono alla Nazionale maggiore il secondo mondiale consecutivo,
qui sorrisero all’Italia che andò in finale grazie all’errore decisivo di Makelele.
In finale, l’Under trovò i coetanei portoghesi, gente che si
chiamava Rui Costa, Figo, Joao Pinto.
Partita tattica, che si trascinò ai supplementari a reti bianche. Finché Orlandini,
entrato a rilevare uno spento Inzaghi, non indovinò un gran tiro all’incrocio
dei pali. Era il golden gol, che in futuro avrebbe fatto piangere
gli azzurri ad europei e mondiali quanto e più dei rigori. Qui sorrise Cesare
Maldini, e con lui i suoi ragazzi autori di un clamoroso bis.
Qualcuno cominciava ad accorgersi di questo allenatore che parlava
poco e raccoglieva tanto. Tutto il contrario del CT della nazionale maggiore,
quell’Arrigo Sacchi che era arrivato sì ad una finale mondiale con il Brasile ma
attraverso un percorso travagliatissimo, e che al pari di tanti suoi
predecessori subito dopo non era stato capace di far disputare agli Azzurri un
Europeo all’altezza. Nel 1996, mentre l’Italia maggiore sbatteva il muso per la
seconda volta in terra inglese, come 30 anni prima, Cesare partiva per la
Spagna con i suoi bicampeones, ai quali si era aggiunta linfa
nuova. Un nome su tutti: Francesco Totti.
Con il figlio Paolo in Nazionale maggiore |
L’Italia era uscita da un girone a sei costellato di nazionali nate
dall’esplosione del pianeta URSS. Nei quarti, il Portogallo sperava di
vendicare la sconfitta di due anni prima. A Lisbona, sembrò porre le basi della
vendetta, l’1-0 illuse i lusitani che due settimane dopo a Palermo invece
soccombettero per 2-0. Si andava dunque in Spagna, e il sorteggio ci mise
subito di fronte un’altra squadra in cerca di vendetta, la Francia di Candela, Vieira, Wilthord.
Un gol di Totti infiammò Barcellona e gelò l’entusiasmo ai francesi. In finale
ci andava ancora l’Italia, ma stavolta era dura perché dall’altra semifinale
erano usciti i padroni di casa spagnoli.
Qui, il conto aperto ce lo avevamo noi, dal 1986. Ancora una volta
dovevamo saldarlo fuori casa. Ma malgrado la cantera spagnola
avesse già cominciato a sfornare campioni come Morientes, De
la Pena, Raul, gli azzurrini non tremarono. In vantaggio con Ametrano,
raggiunti da Raul, ai calci di rigore stavolta non sbagliarono se non il primo
con Panucci. Pagotto parò su de La Pena e Raul. La Coppa
restava in Italia, Maldini entrava nella leggenda.
Chissà dove sarebbe arrivato Cesarone con la sua striscia di vittorie
se alla fine di quel 1996 la F.I.G.C. non lo avesse chiamato a prendere il
posto di un Arrigo Sacchi che da profeta del calcio era ridotto a quel punto ad
oggetto ingombrante ed insopportabile per i vertici federali. Maldini senza
battere ciglio traslocò in Nazionale maggiore, portò Zola e
compagni a sbancare Wembley e due anni dopo a far tremare di
nuovo la Francia al mondiale che essa aveva organizzato in casa. Stavolta i
rigori non gli sorrisero, l’errore decisivo fu di Gigi Di Biagio.
Più della sua stella personale, aveva potuto la strana maledizione che per la
terza volta ci eliminava senza essere stati battuti da un mondiale a cui ci
eravamo presentati pieni zeppi di campioni.
Con Marco Tardelli, suo successore alla Under 21 |
L’Italia maggiore non avrebbe ritrovato il sorriso neppure dopo
l‘addio di Maldini, fermata ancora dalla Francia in finale nel 2000 e negli
ottavi dalla Corea nel 2002 con due morti improvvise. Nessuno
immaginava allora come potesse essere il cielo sopra Berlino, ma nel frattempo
c’erano i ragazzini a rasserenare l’ambiente portando a casa
il quarto e quinto titolo Under 21. Nel 2000 fu Marco Tardelli a
mettere in campo il gruppo che capitanato da Andrea Pirlo avrebbe
inaugurato un nuovo ciclo. Uscita da un girone di qualificazione a sei e da uno
di semifinale a quattro che ricordava quello di Argentina 78, la Under regolò
nella finale di Bratislava la Repubblica Ceca con una
doppietta di Pirlo.
Nel 2004 invece in panchina c’era Claudio Gentile, un
altro che come Maldini concedeva poco all’estetica e molto alla sostanza. In
quella Under che lui portò in Germania ad
assaporare un ricco antipasto del mondiale di due anni dopo, c’era gente come Alberto
Gilardino e Daniele De Rossi. Che segnarono due dei tre
gol alla Serbia che dettero all’Italia il primato (a
tutt’oggi) di vittorie nel campionato europeo di categoria. Cinque contro le
quattro della Spagna (l’ultima delle quali ottenuta nel 2013 proprio contro
l’Italia per 4-2 in una specie di bis della finale maggiore europea di Kiev
dell’anno prima). Una sola della Germania.
Fino a 21 anni siamo, o eravamo, i più forti d’Europa. Il nome di
Cesare Maldini da solo brilla a imperitura testimonianza del prestigio del
nostro calcio giovanile che fu. E che speriamo un giorno sia ancora.
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