How does it
feel? Come ci si sente?
Per una di quelle coincidenze che
sembrano tanto scherzi del destino, nel giorno in cui arriva la notizia della
scomparsa del Premio Nobel per la Letteratura più eterodosso
della storia, Dario Fo, la notizia immediatamente successiva è
quella del conferimento dello stesso premio, in maniera apparentemente ancor
più eterodossa, a Robert Allen Zimmermann, in arte Bob
Dylan.
Bob Dylan negli anni 80 |
Fosse il Nobel per la Musica, nessun
dubbio. Il Menestrello è stato ed è il più grande folk
singer di tutti i tempi, secondo la rivista Time il più
grande musicista in assoluto dopo i Beatles. Ma siccome la
categoria è quella della Letteratura – istituita ai tempi di Alfred
Nobel alla fine dell’Ottocento, in un’epoca cioè in cui la
classificazione delle Arti e delle branche dello scibile umano era
assai più rigida di adesso -, ecco che allora le menti che possiamo definire
più scolastiche (senza voler offendere nessuno) avranno sicuramente da
obbiettare, come lo ebbero ai tempi del Nobel al compianto Dario Fo.
Il fatto è che ormai alla voce letteratura
possiamo rubricare una quantità molto più vasta rispetto a prima di espressioni
testuali e/o poetiche, e per di più prodotte con sistemi multimediali. Anche un
sms ormai può contenere della poesia o della prosa
che toccano corde educate al gusto letterario, e di strada dai tempi della
penna d’oca prima e a sfera poi ne è stata fatta tantissima.
Malgrado sia almeno dai tempi di Shakespeare
tuttavia che le pièce teatrali vengono annoverate tra la produzione
letteraria, molti storsero la bocca quando il commediografo Fo fu insignito del
prestigioso (ed assai invidiato) Premio che ai primi di dicembre viene
assegnato ogni anno dalla Fondazione Alfred Nobel presso la Kungliga
Konserthuset Halle di Stoccolma, la Sala Concerti della Corona
svedese.
La bocca storta in quell’anno di grazia
1997 era dovuta non soltanto alle passioni non sopite del secolo che andava a
concludersi e che come nessun altro aveva visto l’Arte condizionata dalla
Politica, ma anche ad una desuetudine generalizzata con il Teatro
come forma artistica rispetto ai tempi antichi, quando a Commedia
e Tragedia erano intitolate almeno due delle Nove Muse.
Bob Dylan negli anni 60 |
A teatro non va più nessuno, o molto meno
rispetto ai tempi andati, quando per un ragazzo delle scuole superiori uno dei
traguardi più ambiti era il conseguimento dell’età per la cosiddetta ETI
21, la tessera dell’Ente Teatrale Italiano che dava
diritto a forti riduzioni sui biglietti. Tra le tante vittime della televisione
(che peraltro fino ad una certa epoca si era accollata l’onere di produrre in
proprio le rappresentazioni teatrali), c’è stato anche quel nostro piccolo
mondo antico. A cui Dario Fo aveva appartenuto né più e né meno come noi.
Diverso il discorso per Dylan, anche se
già c’è chi grida allo scandalo a neanche ventiquattr’ore dalla nomination
del Menestrello di Duluth. Anche qui, motivi politici e
generazionali spingono menti scolastiche (in senso lato, perché a scuola in fin
dei conti ci sono andate poco e male) ad insorgere. Dalla Rivoluzione
all’Accademia, è la critica più garbata rivolta al folk singer
americano, dimenticando che Dylan non ha mai chiesto premi, così come
cinquant’anni fa non aspirava a fare rivoluzioni, se non quelle del costume. Se
c’è un uomo che ha messo a dura prova la giustizia americana, molto più di un John
Lennon per esempio, è stato lui, eppure non ha mai avuto a che fare
con quella giustizia, e questo vorrà pur dire qualcosa.
Diceva Winston Churchill,
non essere di sinistra da giovani significa essere senza cuore, non essere di
destra da vecchi significa essere senza cervello. Senza voler generalizzare in
questo senso, si potrebbe evitare di molestare insensatamente un signore di
ormai 75 anni a cui una istituzione di accademici di età probabilmente
altrettanto avanzata ha inteso conferire un premio prestigioso, sicuramente
carico di significato, altrettanto sicuramente oggetto di invidie, ma tutto
sommato innocuo. La motivazione stessa è innocua, e ineccepibile tra l’altro: «per
aver creato nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione
della canzone americana»
Bob Dylan oggi |
Bob Dylan le sue rivoluzioni le ha fatte,
fin dove poteva e voleva farle. La sua arte sta tra le Nove Muse al
pari del Teatro, fin dall’antichità. I suoi testi non hanno nulla da
invidiare a quelli di poeti affermati e classificati in senso più ortodosso, i
cosiddetti scrittori che adesso insorgono. Quanto al pubblico, se il Nobel
fosse andato al nostro compianto Fabrizio De André, nessuno
avrebbe avuto da eccepire, alzi la mano chi non riconosce la poesia nelle sue
strofe. E allora perché scandalizzarsi per il De André americano, che magari ai
suoi tempi ha reso anche qualche servizio alla collettività pronunciando parole
pesanti (e pericolose per lui) contro la Guerra del Vietnam e
l’Apartheid in patria e all’estero?
Nel 1975, quando il premio fu conferito
ad Eugenio Montale, ci fu chi storse la bocca anche allora.
Poeta indiscusso, che usava mezzi e stili propri della letteratura tradizionale,
eppure qualcuno obbiettò con la boccuccia storta che quell’Ermetismo
non era vera poesia, era metrica spigolosa, era una fuga dalla realtà,
dall’impegno sociale, dalla stessa arte. Adesso Montale se la sta ridendo
assieme a Dario Fo su quella nuvoletta sulla quale da ieri stanno discutendo
assieme a proposito della stupidità umana e dell’atteggiamento scolastico che
l’alimenta da sempre.
Sperando di incontrarli lassù il più
tardi possibile, Bob Dylan canta ancora le sue canzoni in giro per il mondo con
il suo Never Ending Tour probabilmente riflettendo anch’egli
sul genere umano e su quanto poco i tempi siano cambiati, rispetto a
quello che sperava scrivendo il testo della sua celebre canzone.
Quante volte un uomo dovrà ancora
sollevare lo sguardo, prima che possa vedere il cielo? La risposta, amici miei,
è perduta nel vento.
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