Nella notte tra il 23 ed il 24
ottobre 1917, nella zona del fronte nordorientale compresa tra Caporetto e
Tolmino, un giovane tenente dell’esercito del Kaiser di Germania, alla guida
dei suoi Fallschmirjaeger, gli alpini
del Wurttemberg, sfondò le linee italiane riuscendo con 500 uomini a catturare
oltre 9.000 dei nostri soldati e dando il via a quella che è stata conosciuta
come la rotta di Caporetto. La rotta che fu arrestata soltanto sulla celebre linea
del Piave.
Venticinque anni dopo esatti,
divenuto Feldmaresciallo dell’esercito del Terzo Reich, Erwin Johannes Eugen
Rommel nella notte tra il 23 ed il 24 ottobre 1942 aspettava sulla spianata di
El Alamein l’attacco dell’Ottava Armata guidata dal generale britannico Bernard
Law Montgomery. La battaglia che stava per cominciare, durata dieci giorni,
sarebbe risultata decisiva per le sorti della guerra in Nord Africa. L’ultima
battaglia dell’Impero Britannico, la prima vittoria alleata sulle forze dell’Asse,
poco prima che sbarcassero in Nordafrica le truppe americane.
Tra queste due date, in questi
venticinque anni esatti si dispiega la carriera di colui che è stato definito
il più grande comandante della storia moderna. Rommel riuscì a ritardare la
vittoria di Montgomery per dieci giorni, e ci riuscì anche grazie al valore di
reparti d’elite italiani come la Folgore,
il Btg. Bezzecca dei Bersaglieri ed
altri. Molto meno attrezzati dei colleghi tedeschi, furono gli ultimi a cedere
ed a ritirarsi dai campi di battaglia di El Alamein, spesso lasciati indietro
dai “camerati” germanici che nella rotta (rovinosa né più e né meno di quella
che ci avevano inferto a Caporetto) pensarono bene di badare soltanto a se
stessi.
Rommel si guadagnò l’appellativo
di Wustenfuchs, Volpe del Deserto,
prima di volare via ad assumere il comando del Vallo Atlantico, la
fortificazione opposta dai nazisti allo Sbarco in Normandia nel giugno 1944. Un’altra
impresa disperata in cui il suo genio non poteva sopperire al sottonumero ed
alle carenze organizzative dell’esercito tedesco rispetto agli Alleati.
I nostri, che lasciarono sul
suolo egiziano 5.200 soldati e 232 ascari libici, si meritarono la targa che
testimonia tutt’oggi del loro valore, al km 111 da Alessandria d’Egitto, il
punto di massima avanzata a cui arrivarono dopo la vittoria di Tobruk nel
giugno 1942. E quella frase lapidaria che vi è scritta sopra, e che riassume in
poche parole un’epopea: “Mancò la fortuna, non il valore”.
Non possiamo rammaricarci dell’esito
del secondo conflitto mondiale, così come del primo, perché l’alternativa
sarebbe stata assai peggiore, per il nostro paese e per il mondo intero. Ma
possiamo e dobbiamo ricordare per sempre il valore del nostro esercito, sul
Piave e sulle sabbie del deserto libico-egiziano.
“Dobbiamo davvero inchinarci davanti ai
resti di quelli che furono i Leoni della Folgore!”
(Winston Spencer Churchill)
“Il soldato tedesco ha stupito il mondo. Il soldato italiano ha stupito il
soldato tedesco”
(Erwin Johannes Eugen Rommel)
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