«Non credevo
che la gente mi odiasse così». Non è neanche la mezzanotte, i seggi sono
chiusi da poco, quando arriva il primo exit poll referendario.
66% di affluenza alle urne, non succedeva più dai tempi di un altro referendum,
quello storico sul divorzio, che consegnò il popolo italiano
all’età moderna, iscrivendolo nel novero delle nazioni civili. Prima ancora,
forse, bisognava andare al referendum Monarchia - Repubblica,
ed alle votazioni – ma guarda un po’ – per la Costituente del
1946.
E’ una giornata altrettanto storica.
Quando si tratta della sua Carta e dei suoi diritti
fondamentali, il popolo italiano si ricorda finalmente chi era, e risponde
all’altezza della situazione. Quarant’anni dopo, si ripresenta alle urne in
massa e fa sentire forte e chiara la sua voce a colui che come il Fanfani
del 1974 aveva personalizzato quella che doveva essere soltanto una battaglia
tra opposte visioni giuridiche. Ne ha fatto invece una di civiltà. Finendo per
perdere se stesso e quella battaglia.
A mezzanotte e mezzo, lo sconcertato premier
Matteo Renzi è già dimissionario. Il suo ministro per le
riforme Maria Elena Boschi piange in disparte, anche lei
sconvolta dal risultato che la travolge in prima persona. Il D.D.L. che porta
il suo nome insieme a quello di Denis Verdini va in archivio
per sempre. La costituzione democratica del 1947 è salva. Chi vorrà cambiarla
dovrà ripartire da zero, e fare le cose stavolta coinvolgendo un popolo e non
sdegnandolo.
Con una forbice clamorosa, 60 a 40, gli elettori italiani
respingono la riforma di Renzi e le pressioni dell’unica vera Casta
esistente nel paese, quella di un partito andato al potere per investitura
regia (grazie ad uno stravolgimento de facto proprio della
Costituzione) e non per mandato popolare, e che si era fatto nel frattempo
portatore degli interessi più retrivi e francamente odiosi tra quanti ne
circolano in Europa e nel mondo attualmente. Quelli delle Banche, delle Agenzie
di Rating, delle consorterie d’affari diurne e notturne che
vedono di buon occhio lo scardinamento di una Costituzione sorta dall’antifascismo,
che concedeva e concede troppi diritti al popolo ed alle classi lavoratrici. Il
filo nero che va dalla Loggia di Propaganda 2 a J.P.Morgan, dal Trattato di
Maastricht alla trojika Obama – Merkel
– Junker è spezzato. Dopo la Brexit e la
vittoria dell’outsider Trump in America, con questo
NO a completamento riannodarlo non sarà semplice.
L’Europa dei ricatti assiste impotente
allo spettacolo di un popolo che si riprende i suoi diritti, mandando a casa
tra l’altro alla prima occasione utile un premier tra i più impopolari
dell’intera storia nazionale. Matteo Renzi ha ragione, l’odio suscitato nella
popolazione che credeva di rappresentare malgrado non ne avesse avuto il
mandato ed in nome della quale credeva di agire come l’ennesimo Unto del
Signore, era imprevedibile ed incalcolabile almeno fino a queste
dimensioni.
Sono passate da poco le 24 quando inizia
il discorso con cui annuncia le dimissioni, tentando di recuperare in extremis
un fair play che non ha mai avuto durante i suoi mille giorni di
governo. Mille è un numero fatidico, il Kennedy di Rignano se ne va
abbattuto da schede elettorali più letali delle fucilate di Dallas. In quantità
tale da destituire di fondamento qualunque polemica o timore di brogli che si
era diffusa nell’immediata vigilia del voto.
E’ la notte che introduce il giorno di San
Nicola, nel nord-est che tanta parte ha avuto, insieme al sud, nella
sconfitta di Renzi e del Fronte del SI è in pratica il giorno di Babbo
Natale. E il regalo che gli elettori trovano sotto l’albero è quello
in cui forse non speravano più ma che si sono ampiamente meritati.
E adesso? Il fronte del NO – l’accozzaglia,
come l’aveva definita improvvidamente lo stesso premier dimissionario – ha
creato un fronte di opposizione così ampio che per trovare uno schieramento di
forze politiche equivalente bisogna anche in questo caso risalire indietro nel
tempo fino alla Resistenza ed alla Costituente. E’ un capitale
da non disperdere, in un momento che è e resta difficile. Sarebbe auspicabile
che da esso partisse una vera riforma del sistema politico nella sostanza,
prima ancora che nella Carta fondamentale. E’ da credere intanto come
assai probabile che nel partito democratico abbia luogo quella resa dei conti
da troppo tempo rimandata. Chissà se all’ex premier basterà il sostegno della
sua Firenze (riconfermato con il 56% dei voti) per salvare almeno la leadership
del partito.
Nel frattempo, a norma della Costituzione
non riformata, la palla passa al Presidente della Repubblica,
con l’auspicio che vorrà farsi interprete, senza spazio alcuno a fraintendimenti,
della volontà popolare espressa a chiare note da uno dei pronunciamenti e degli
esiti più netti e clamorosi della storia elettorale non solo italiana ma
europea.
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