FIRENZE – Tornare a fare due
passi in centro a Firenze dopo tanto tempo mi riserva un’esperienza quasi
mistica, un piacevole salto nel tempo. Bagliori del passato e barlumi di
futuro. Avevo lasciato la mia città anni fa, credendo che fosse giunto a
compimento quel processo degenerativo cominciato negli ultimi anni del secolo scorso,
o forse prima ancora.
Un’accoglienza malintesa, come
quella che aveva portato dentro i confini dell’Impero Romano le orde barbariche
che l’avevano poi travolto, aveva costretto una città che è Patrimonio dell’Umanità
da diversi secoli prima che qualcuno la dichiarasse tale a subire dapprima l’oltraggio
di quel tendone etnico in Piazza del Duomo sotto il Palazzo arcivescovile, quella
sorta di big bang della cialtroneria
culturale e morale prima ancora che materiale che aveva avvelenato gli ultimi
giorni su questa terra della nostra concittadina Oriana Fallaci e avvilito la
quotidianità di ognuno di noi più modesti mortali, nati a Firenze quando ancora
ciò era motivo di orgoglio. Dopodiché non era rimasto che assistere impotenti
alla metastasi che ha consegnato le chiavi di questa città al possesso di
chiunque abbastanza prepotente da venire qui e prendersela senza tanti complimenti,
meglio se non italiano, secondo uno schema politically
correct alla rovescia.
Avevamo rialzato la testa dopo l’Alluvione
senza troppo sforzo, nel giro di un mese non c’era più traccia di fango a
Firenze. I miei ricordi di bambino sono vividi, gli adulti ci misero poco o
nulla a ridare alla città quel volto che aveva avuto per secoli. O così almeno
a me sembrava, ma i racconti dei “vecchi” erano tutti uguali, ed improntati a
questo orgoglio ben fondato. La mia generazione invece ha saputo distruggere nel
volger di pochi anni quello che era stato creato durante un millennio. O così almeno
a me sembrava, quando decisi che non avrei messo più piede nel bazar lercio che era diventato il centro
di Firenze, a meno di non esservi costretto.
Matteo Renzi non abita più qui.
Vi ha abitato per cinque anni come sindaco (gli ultimi tre spesato da altri, se
non a sua insaputa come qualche suo collega, almeno a sua spensieratezza, non
sono molti anche in questa città gli amici che ti aiutano a pagare l’affitto).
Delle cento cose promesse in campagna elettorale cinque anni fa ne ha realizzate
si e no cinque o sei. Rimetto piede in centro quasi per caso e scopro che
quelle cinque o sei però funzionano.
Palazzo Vecchio non è più quella
stalla dei Lanzi, adiacente all’omonima
Loggia, ad entrare nella quale sotto le passate gestioni si provava un misto di
ribrezzo e di labirintite, per lo sporco ed il caos tra cui si aggiravano torme
di turisti malcapitati e di cittadini capitati anche peggio. Prima che Dan
Brown giungesse a magnificare il vecchio maniero dei Signori di Firenze nel suo
Inferno, l’inferno era qui. Renzi forse
non passerà alla storia come il Rutelli fiorentino, cioè come colui che all’epoca
del Giubileo del 2000 ripulì il centro di Roma, ma certo è un bel vedere il vecchio
municipio mediceo come rimesso a nuovo, sgombrato anche di vigili e uscieri che
più o meno sgarbatamente ti apostrofavano mentre ti aggiravi incerto in cerca del
tuo Girone.
Per le strade attorno,
spazzatrici stradali e operatori ecologici combattono la loro battaglia contro
i resti delle varie Movide e della
transumanza di un turismo abituato negli anni a lasciarsi dietro
spensieratamente escrementi del tipo più vario. E la novità è che a giudicare
dalle condizioni del suolo che calpesto questa battaglia non è più persa in
partenza come poco tempo addietro.
Ma è soprattutto per due cose che
va ringraziato Matteo Renzi: la prima è Piazza del Duomo. E decenni di
polemiche inutili e capziose spazzate via in un attimo quando decise di
chiuderla, senza se e senza ma. Certo, la viabilità alternativa dell’ATAF messa
in piedi in fretta e furia sembra il “facite
ammuina” della marina borbonica, ma in compenso la piazza sgombrata e
lentamente bonificata da ogni lordura, baccano e confusione si presenta nell’anno
di grazia 2014 non troppo dissimile da quando Brunelleschi vi pose a suggello
la sua Cupola. Ci sono perfino le toilettes
pubbliche, elegantemente nascoste all’interno di uno degli storici palazzi che
si affacciano sul Battistero. Ci sono i café
che si estendono sulla ex sede stradale e offrono insieme aperitivo e scorcio
di uno degli angoli di mondo più splendidi.
Per la seconda, basta girare un
angolo. San Lorenzo è un’altra delle piazze più belle del mondo, nei secoli dei
secoli. Dopo un iniziale sbandata per un fantomatico progetto di completamento
della facciata, con Michelangelo che si rivolta ancora nella tomba, il Renzi che avanza ha imboccato la strada
giusta restituendo la piazza “a vita nuova da squallore” non secolare, ma
sicuramente cinquantennale, mettendone fuori i venditori ambulanti, e relative
bancarelle.
Lo spettacolo della piazza
finalmente vuota, che prima si poteva ammirare solo di domenica, ripaga l’amministrazione
comunale di tante amarezze (e il vicesindaco Nardella anche di qualche spintone
e di qualche “parola grossa” subita) e offre alla cittadinanza un altro
bagliore di un passato che più glorioso non si può. Speriamo duri, il Nardella che avanza si prepara a
raccogliere l’eredità del Renzi che ha spostato le sue 100 promesse su un
palcoscenico più impegnativo, quello dei destini d’Italia, e con essa l’impegno
a salvaguardare le cinque o sei iniziative azzeccate dal suo predecessore. In
ogni caso, un bel salto rispetto al Domenici del tendone etnico e della storica
frase: “Voi fate pure i vostri referendum, noi faremo i nostri appalti”.
Barlumi di futuro, dicevo. Sono
nel nuovo aspetto “lavato” e ripulito di una città che torna a rivolgersi a chi
la sa apprezzare per quello che è, residente o turista, e non violentare a
piacimento. E sono anche in qualcosa di nuovo, una goccia nel mare apparente
dello svuotamento del centro di negozi e attività commerciali che avevano fatto
la storia, a vantaggio di mercatini etnici e negozi acquistati con il contante
facile di chi non rende conto al fisco italiano. In via Martelli ha aperto la
famigerata Eataly, là dove c’era la
Libreria Marzocco, e poi Martelli. Famigerata perché se ne parlava,
rigorosamente male, già prima che arrivasse.
In una città che stava morendo
economicamente prima ancora che culturalmente e socialmente, Natale Farinetti
detto Oscar sfida la sorte “aprendo” dove gli altri chiudono. Si becca subito
un corteo firmato da tutti i campioni dell’economia No Global e da Collettivi vari che inneggiano al “meglio
disoccupati che sfruttati”. Lo sfruttamento consisterebbe nel salario
corrisposto ai lavoratori, tutti o quasi ragazzi in età da studio universitario.
Quelli che una volta si chiamavano “apprendisti”, ed erano ben felici di
accostarsi al mondo del lavoro pagandosi – come adesso – gli studi, o anche
soltanto affitti altrimenti proibitivi.
Renzi e Farinetti all'inaugurazione di Eataly |
Chi dice 800 euro, chi dice 1.000
(lo stesso Farinetti), certo per gli stipendi non ballano cifre esorbitanti, ma
qualcuno intanto torna ad assumere, a dare una chance a ragazzi che altrimenti
sarebbero a casa, a pesare su famiglie già messe a dura prova. C’è poi chi
parla di “modello Renzi”, di Farinetti fiancheggiatore del Presidente del
Consiglio nell’attuazione del Jobs Act,
l’attacco finale del Padronato ai diritti dei lavoratori, all’art. 18, alla
stessa Costituzione repubblicana ed antifascista. Dimenticando che questi
istituti sono da tempo sotto attacco, anzi sono in un angolo, parte per colpa
della recessione mondiale e dell’apertura ai mercati dalla manodopera a costo
zero, parte per la politica scellerata di quella stessa “sinistra” che ora è la
prima oppositrice del neosegretario neoprimoministro Renzi. Faceva comodo anche
alla Quercia e seguenti il
precariato. Dei morti non si parla che bene, ma la legge che ha preso a
spallate i diritti dei lavoratori in Italia porta il nome di Marco Biagi, pace
all’anima sua. Non quello di Renzi, o di Farinetti.
Forse l’età gioca brutti scherzi,
forse era vero l’aforisma di Winston Churchill, chi non è di sinistra da
giovane è senza cuore, chi non è di destra da vecchio è senza cervello.
Comunque sia, mi godo questa passeggiata nel centro di Firenze in cui avevo
giurato di non tornare più, per non sentirmi straziare il cuore a vedere che
della mia città, del Patrimonio dell’Umanità non rimaneva nulla. Mi godo ogni
passo, qualcuno pulisce la terra che calpesto, qualcuno ha fatto sì che non
venga assediato ad ogni passo da ambulanti e saltimbanchi vari, o minacciato da
gang etniche o autoctone. Qualcuno
torna ad aprire nel centro di Firenze, anche se non è più la libreria dove
trascorrevo interi pomeriggi da giovane. Ma grazie a Eataly e a chi ne seguirà magari l’esempio, forse qualche giovane è
ancora in grado di sognare, e di fare un primo passo verso la realizzazione di
quel sogno. Che sia un incubo come quello vissuto dai fiorentini negli ultimi
quindici anni è tutto da dimostrare.
Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia, chi vuol esser lieto
sia, di doman non v’è certezza.
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