Il Santo Padre ammette alla
somministrazione dei sacramenti anche i divorziati, e prosegue nella sua
“rivisitazione” del cattolicesimo tridentino. Segue a ruota il Presidente del
Consiglio che addirittura toglie la classificazione del segreto di stato sulle
grandi stragi italiane del Ventesimo Secolo, una specie di “terzo mistero di
Fatima” che ha vanificato finora più o meno pretestuosamente qualsiasi serio
tentativo di indagine della magistratura teso a far luce sulla vera storia del
nostro paese negli anni di piombo e
anche oltre.
Con la direttiva firmata il 22
aprile a Palazzo Chigi da Matteo Renzi, scompaiono dalla storia e dalla cronaca
d’Italia gli omissis. Quella parola
oscura e un po’ sinistra, come un maleficio tratto da Harry Potter, che incontravamo sempre ad un certo punto della
nostra ricostruzione da cittadini o da addetti ai lavori delle pagine più
tragiche di quella che Sergio Zavoli definì sinteticamente e brillantemente
come la Notte della Repubblica. Una
parola tratta dal latino che significa in sintesi “testo cancellato, secretato
per decreto del governo e quindi tralasciato, non divulgato”, ma che in pratica
si poteva tradurre con l’inglese moderno “off
limits, divieto di accesso”, un po’ come nelle aree militari. Chi
oltrepassa questo limite avrà una risposta armata.
Matteo Renzi definisce questo suo
atto di rilevanza storica come un “dovere nei confronti dei cittadini e dei
familiari delle vittime di episodi che restano una macchia oscura nella nostra
memoria comune”. Una sorta di parafrasi del “un piccolo passo per me, un grande
passo per l’umanità” di armstronghiana memoria, che sembra quasi in tono
minore, inadeguato rispetto alla portata dell’evento.
In realtà l’atto di Renzi e le sue
dichiarazioni si pongono in linea con tutti gli altri di un governo che sta
assestando colpi forse decisivi a tutti i livelli ad uno status quo che
sembrava immutabile (e che ci avrebbe sicuramente accompagnato alla tomba,
individualmente e come società civile), e che tra l’altro cerca sistematicamente
di far apparire come semplici e scontate azioni che in realtà sono
rivoluzionarie. Una specie di uovo di colombo applicato all’economia ed alla
politica, ma Colombo – si sa – è passato alla storia per aver compiuto quasi
con nonchalance un’impresa giudicata
impossibile fin dagli albori dell’umanità.
La direttiva di Renzi in sostanza anticipa la rimozione
del segreto di stato apposto dalla normativa previgente ai documenti
concernenti determinati fatti riguardanti l’ordine pubblico e interessanti la
sicurezza nazionale (il motivo del “segreto” e degli omissis con cui tale segreto veniva mantenuto sui relativi
documenti). In virtù di questa “pubblicazione”, che salvo diversa disposizione
era proibita per almeno 40 anni a decorrere dai fatti, è consentito adesso il “versamento”
della documentazione agli archivi di stato, oltre che – finalmente - ad ogni
autorità inquirente che ne faccia domanda.
Gli episodi relativamente ai quali il governo
ha dichiarato decaduto il segreto sono altrettante pietre miliari a rovescio
della nostra storia repubblicana. Eccoli qua:
Piazza Fontana (1969), 17 morti e 88 feriti
a causa della bomba esplosa alla sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura,
comunemente ritenuto l’inizio ufficiale della strategia della tensione e dei successivi anni di piombo, a cui si legano una serie di fatti mai del tutto
chiariti come la morte del primo indiziato, l’anarchico Giuseppe Pinelli, e l’omicidio
del commissario di polizia Luigi Calabresi, identificato dai gruppi
extraparlamentari di sinistra come il responsabile della morte di Pinelli
Gioia Tauro (1970), 6 morti e 66 feriti nell’attentato
dinamitardo al treno Palermo-Torino, in concomitanza con la rivolta di Reggio
Calabria per l’assegnazione del capoluogo regionale in attuazione dell’istituzione
della Regione
Peteano (1972), subito dopo l’assassinio del commissario Calabresi
– ascritto alla responsabilità di gruppi di sinistra – la risposta neofascista
nella logica degli opposti estremismi fu l’attentato in cui persero la vita tre
carabinieri e rimasero gravemente feriti altri due nell’esplosione di una
cinquecento imbottita d’esplosivo a Peteano, frazione tra Sagrado e Savogna d’Isonzo,
a 5 km da
Gorizia
Questura di Milano (1973), esattamente un anno
dopo l’omicidio del commissario Calabresi, 4 morti e 52 feriti per l’esplosione
di un ordigno davanti alla Questura del capoluogo lombardo, mentre si scopriva
un busto commemorativo del commissario
Italicus (1974), 12 morti e 48 feriti nell’esplosione della
bomba sulla carrozza n. 5 dell’espresso Roma-Monaco di Baviera all’altezza
della stazione San Benedetto Val di Sambro, subito fuori della grande galleria
dell’Appennino, all’interno della quale si calcolò che i morti sarebbero stati
molti di più
Piazza della Loggia (1974), 8 morti e 102 feriti
in seguito all’esplosione di una bomba collocata in un cestino portarifiuti in
Piazza della Loggia nel centro di Brescia, durante una manifestazione
antifascista
Ustica (1980), 81 morti nell’esplosione sui cieli di Ustica
del DC9 Itavia decollato da Palermo e diretto a Bologna, probabilmente in
seguito all’impatto con un missile lanciato da aviogetti militari di
nazionalità non meglio precisata
Stazione di Bologna (1980), 85 morti e 218
feriti, il tributo di sangue più alto che ne fa l’evento legato al terrorismo
più tragico in assoluto della storia d’Italia, l’orologio della stazione per
volontà della cittadinanza bolognese resterà fermo per sempre all’ora della
strage, le 10,25 del mattino
Rapido 904 (1984), la riedizione della strage dell’Italicus il 23 dicembre 1984 – da qui il
nome di strage di Natale – nello
stesso punto di dieci anni prima, ma stavolta i terroristi attesero che il
treno fosse entrato in galleria, risultato 17 morti e 267 feriti. E’
comunemente ricordato come l’ultimo atto della guerra dei terrorismi che ha
insanguinato l’Italia per quindici anni, almeno a livello di stragi di massa.
Adesso chi vuol fare luce e accertare la verità
ha la strada teoricamente assai più spianata che in passato. Sicuramente non
più interrotta dal filo spinato. Come tutte le iniziative di Renzi anche questa
è destinata certo a dividere in due l’opinione pubblica, e quasi sempre sulla
base di pregiudizi pro o contro. Una cosa però è certa, se di propaganda si
tratta Matteo Renzi è uno che sa parlare la lingua che il popolo italiano in
questo momento vuol sentir parlare.
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