domenica 20 aprile 2014

Il mio ricordo personale di Piero Luigi Vigna

Arrivarono alle sei di mattina, alle prime luci dell’alba, quando la guardia degli obbiettivi è ancora abbassata e il vantaggio è tutto di chi compie l’operazione. Secondo lo schema più consolidato ed efficace dei blitz di polizia, gli uomini di Piero Luigi Vigna si mossero per compiere la retata più clamorosa della storia della Procura della Repubblica di Firenze. Solo che non si trattava di lotta alla criminalità organizzata, non eravamo a Scampia, a Corleone, a Gioia Tauro. Gli obbiettivi non erano i Casalesi, i Riina, i Provenzano, i Piromalli. Vigna aveva mandato a prendere funzionari della pubblica amministrazione.
Marco Marcucci, ex presidente della regione Toscana e assessore all’ambiente, Pierluigi Giovannini, coordinatore del Dipartimento Ambiente della Regione Toscana, più una serie di funzionari della Regione e del Consorzio Risorse Idriche Schema 23, l’ente che aveva in gestione la realizzazione della Diga di Bilancino, l’oggetto dell’indagine. In totale una ventina di persone, che furono arrestati davanti a mogli e figli, in casa loro, e tradotti nelle carceri di Sollcicciano e Prato, con l’unica eccezione di Giovannini, il mio capoufficio, che fu portato in ufficio appunto per presenziare ad una perquisizione spettacolare quanto inutile, di fronte a tutti noi che lavoravamo lì con lui, perché fosse visibile che era stato preso, abbattuto.
Io ero un ragazzo che aveva cominciato a lavorare in Regione da pochi anni. Preso dal mito di mio padre, funzionario di brillante carriera da tutta una vita, avevo voluto seguirne le orme “per essere un giorno come lui”. Ero finito giustappunto lì (a seguito di un concorso pubblico, all’epoca era possibile vincerne semplicemente studiando….), in un dipartimento della Regione che in Toscana all’epoca era nell’occhio del ciclone per tutte le emergenze ambientali che si verificavano, dai rifiuti, alla depurazione delle acque, all’emergenza idrica, alla protezione civile. Giovannini mi stava insegnando un mestiere, ero fiero di fare la mia parte. Marcucci era un assessore come ce n’erano all’epoca, persone di cui si poteva essere nel contempo dipendenti ed amici (pur nel rispetto reciproco sia formale che sostanziale). Non sarà stato un mondo perfetto, ma era un mondo dove si lavorava e si concludeva qualcosa, pur nella farraginosità della burocrazia italiana.
Diga di Bilancino
Vidi arrivare Giovannini tra due gendarmi, come avevo letto che succedeva al tempo di Pinocchio. Mentre la polizia perquisiva l’ufficio e ci chiedeva documenti, noi non potevamo comunicare con l’uomo arrestato, se non attraverso i poliziotti stessi. Fu una mattinata interminabile, e quando finì fu anche peggio, perché sapevamo che la destinazione di Giovannini non era casa sua, ma la Casa Circondariale di Prato. Neanche il tempo e il modo di salutarlo e di fargli gli auguri.
La sera, ricordo vividamente alla televisione il servizio sull’arresto, e ricordo lui, quel magistrato che leggeva con tono teatrale i capi d’imputazione contestati agli uomini arrestati, e quella parola che ricorreva continuamente: “delitto di….. delitto di……. delitto di…….”. Piero Luigi Vigna sembrava pronunciare quelle parole quasi con compiacimento, conscio dell’importanza storica del momento e delle sue conseguenze. E io mi chiedevo, ma sto sognando? Delitto????? I delitti sono quelli che venivano compiuti nelle campagne fiorentine fino a pochi anni prima, e quest’uomo è stato capace di mettere le mani soltanto su un contadino analfabeta, che l’avrebbe tenuto in scacco per più di un decennio, manco fosse Jack Lo Squartatore????? E ora mi usa la parola delitto per dei funzionari d’ufficio, accusati di non aver saputo costruire una diga al meglio?
Pietro Pacciani
L’accusa per la verità era più infamante: distrazione di fondi per peculato. La peggiore per chi lavora nella Pubblica Amministrazione, aver rubato fondi pubblici destinati alla realizzazione di un’opera per puro arricchimento personale. La diga di Bilancino era in ritardo sui tempi di realizzazione, ma non era questo che si contestava, si contestava il furto di denaro pubblico. A una serie di persone che vivevano in condomini di edilizia popolare, lo so perché la sera con mia moglie andavo a dare una mano e un conforto alla moglie di Marcucci e ai suoi figli piccoli.
Era l’anno di Mani Pulite, anche se questa inchiesta non rientrò mai in quel filone. La Procura di Firenze evidentemente pensava di aver dato il suo contributo. O forse era il Procuratore che pensava di aver dato il suo contributo alla propria carriera. Era il 1992, non solo l’anno di Mani Pulite. La bomba di Capaci aveva liberato non soltanto la Mafia del suo più acerrimo nemico, ma anche tutta una serie di magistrati sul territorio nazionale di un collega e concorrente scomodo, per la sua personalità ed il suo prestigio. Alla Procura Nazionale Antimafia, ultimo regalo di Giovanni Falcone al paese che gli aveva dato i natali, ambivano in diversi, soprattutto dopo la sua morte.
Nel 1992, Vigna divenne Procuratore Distrettuale Antimafia. Era entrato nel giro dei magistrati di spicco (e di carriera) a livello nazionale. L’indagine su Bilancino gli dette quella notorietà che né quelle sul Mostro, né quelle sul terrorismo né quelle sulle stragi di mafia gli avevano dato. Quando cinque anni anni dopo si concluse il processo su Bilancino, gli imputati furono “assolti per insufficienza di prove”. La più vigliacca tra le formule escogitate dal Diritto penale italiano per chiudere un procedimento senza risarcire un imputato accusato ingiustamente: in sostanza la procura ammette di non essere stato capace di inchiodarti con nessuna prova, per quanto a lungo possa essere durato il processo, ma non ti chiede scusa ammettendo l’errore (e magari risarcendoti), no, dice che c’è arrivata vicina “tanto così”, ma t’è andata bene, te la sei cavata e non sapremo mai se eri un delinquente o no. Ma il dubbio lo lascia, in tutti. Gli imputati di Bilancino, arrestati come mafiosi davanti a familiari e amici e colleghi nell’ottobre del 1992, non ebbero una parola di riabilitazione né nelle sentenze del Tribunale di Firenze, né negli scarni trafiletti che la stampa dedicò loro. Ormai il mondo era cambiato, altri “mostri” erano sopraggiunti, la notizia “non tirava più”.
Nessuno di loro riebbe la carriera e la vita da cui era stato strappato. In compenso, neanche Vigna c’era più. Aveva altro da fare, ormai, a Roma. Bruno Siclari aveva liberato il posto di Procuratore Nazionale Antimafia. Vigna a quel punto aveva le carte in regola per succedergli. Alla Procura di Firenze rimasero uomini come Crini e Canessa, capaci di far assolvere perfino un balordo come Pietro Pacciani per insufficienza di prove. Capaci di rendere la vita difficile, e alla fine impossibile a un grande poliziotto e servitore dello Stato come Michele Giuttari, l’uomo che sarebbe arrivato al “terzo livello” nell’indagine del Mostro, se alla fine la stessa Procura (come racconta nelle sue memorie) non gli si fosse rivoltata contro.
Nei necrologi scritti per Piero Luigi Vigna si legge che contrastò terrorismo e mafia e indagò sul Mostro di Firenze. Non ricordo un solo colpevole certo assicurato saldamente alla Giustizia durante le sue indagini. Chi è stato preso è stato preso altrove. I compagni di merende di Pacciani furono presi qui, ma dopo l’uscita di scena di Vigna, e comunque a Giuttari non fu permesso di andare oltre. In compenso ricordo quell’uomo con cui lavoravo, da cui stavo imparando un mestiere, arrivare tra due gendarmi una mattina di vent’anni fa, quando credevo ancora nello Stato, nella Giustizia, nella Magistratura, nel dovere mio e di tutti gli altri. E ricordo che nessuno ha mai saputo spiegarmi cosa aveva fatto esattamente. Né allora né dopo.
Firenze è una città dove si respira veleno, da tanto tempo. Giuttari, nei suoi libri neanche tanto romanzati, ha saputo raccontare efficacemente di come il “male” alberga tra noi, insieme ai capolavori de Rinascimento. C’è un mondo notturno che opera, comanda, controlla anche di giorno, senza il quale – a quanto pare – a Firenze non succede niente. C’è una parola che ricorre sempre, qui più che altrove, quando si tratta di spiegare quello che non è spiegabile, logiche che non hanno nulla di logico, malvagità che non si spiega nemmeno con la perversità umana: Massoneria.
Mi ricordo un amico con molti più anni di me, tanto tempo fa, dirmi: vedi questa città, queste strade, queste case? Sembra un posto dove la gente fa una vita normale, ma la notte cambia tutto, la notte entrano in gioco altre “creature”, prendono possesso di queste case, di queste strade, di questa città. E la mattina ti trovi a vivere quello che è già stato deciso la notte….
Questo è il mio ricordo di Piero Luigi Vigna, e del mondo che ha rappresentato. E pazienza se a qualcuno non piacerà. Le sia lieve la terra, Dott. Vigna. Che possa riposare in pace, e con lei, finalmente, anche questa disgraziata città.

2 commenti:

  1. Salve, sono rimasto molto colpito dalla lettura del suo articolo, che mi ha riportato a quella mattina di molti anni fa ormai, in cui mio padre, Pier Luigi Giovannini, fu arrestato e la casa perquisita. Ricordo che lessero perfino le mie lettere personali, chiedendomi conto di fatti che niente avevano a che vedere con la vicenda di mio padre, e - per dirne una - dimenticarono di perquisire il bauletto del motorino dove c'erano invece documenti di lavoro. Nel piccolo, una competenza simile a quella dimostrata da Crini e Canessa nello svolgimento del processo di quella incredibile - ma per noi dolorosa e ingiusta - vicenda. Mio padre è morto pochi giorni fa. Di Bilancino ne riparlava ogni tanto ma, per quanto alla fine tutto si sia risolto bene, è stata per lui, vero servitore della causa pubblica, un'amarezza grande. Un unico appunto al suo articolo: l'assoluzione fu "perché il fatto non sussiste" e non "per insufficienza di prove". La ringrazio per il ricordo di mio padre, purtroppo di Bilancino si trova traccia quasi soltanto della spettacolare retata, e poco spazio rimane al racconto di come la storia poi si concluse e ancor meno al racconto di cosa abbia significato per gli imputati e i loro familiari.

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    1. caro Frenk..... innanzitutto, che tu ci creda o no, questo tuo commento mi riempie soprattutto di emozione. Ho appena appreso della scomparsa di tuo padre, e subito dopo trovo queste tue parole..... scusa se mi permetto di darti del TU, prendila come una manifestazione di affetto. Dell'affetto che ho portato a tuo padre, e che adesso mi permetto di trasferire su di te.
      Tuo padre Pier Luigi è stato il mio primo direttore qui alla Regione dove tutt'ora lavoro, e dopo 28 anni di servizio penso di poter dire tranquillamente (e non certo perché adesso sto parlando a te) che è stato il migliore. E' stato davvero un "vero servitore della causa pubblica", come lo chiami tu. Come era mio padre, come erano molti della loro generazione. E' stato quello che mi ha insegnato il mestiere, a me come a tanti altri che lo ricordano con affetto e stima incommensurabili. Carismatico senza fare alcuno sforzo, aurtorevole senza essere mai autoritario, competente su tutto ciò che passava in ufficio e disponibile a trasferirti la sua competenza senza paura che tu un giorno potessi usarla contro di lui, come invece molti dei suoi successori, quasi tutti - devo dire e posso dire - indegni.
      Gli ho dato del "lei" fino all'ultima volta che l'ho visto, poco prima che andasse in pensione una decina di anni fa. Ai nostri tempi si usava così. Lo chiamavo "ingegnere", un po' come succedeva alla Ferrari con il mitico Enzo. Gli ho voluto bene quanto e come solo adesso mi accorgo. Adesso che non c'é più. Gli abbiamo voluto bene in tanti, non lo ripeterò mai abbastanza.
      Non scorderò mai quella mattina che lo vedemmo arrivare in ufficio scortato dai carabinieri. Non ebbi bisogno del tempo che passava né tantomeno delle risultanze di un'inchiesta che noi qui fin da allora sapevamo essere infondata per rendermi conto che il mondo era improvvisamente cambiato, e in un modo che lasciava poche speranze. Abito vicino a Bilancino, ogni volta che ci passo ripenso a tuo padre, a quello che ha fatto e a quello che mi ha insegnato.
      Caro Frenk, scusa l'errore nell'articolo, è dovuto alla fretta con cui l'ho scritto e all'emozione che era difficile non provare rivivendo quei maledetti momenti. Ricordo però distintamente che quando uscì la sentenza di assoluzione ho pensato - come altri colleghi - "e adesso, dopo quattro anni e una carriera comunque interrotta se non stravolta, pensano di cavarsela così, con un fatto che non sussiste?"
      Andai via dal Dipartimento Ambiente poco dopo, sentendo che non rimaneva più nulla di quel tempo e di quel luogo in cui avevo lavorato con grande piacere, nel gruppo dell'Ing. Giovannini. Dopo, niente è stato più come prima, non solo per voi della sua famiglia ma anche per tutti noi del suo vecchio ufficio.
      Riposi in pace, Ingegnere. Più che grazie al fiore che non ho fatto in tempo a gettare sul luogo della sua ultima dimora, le sia lieve la terra grazie al ricordo che di lei ci portiamo tutti nel cuore, qui tra quelli che una volta erano i "suoi ragazzi".
      A te, Frenk, un abbraccio. Se mai ci conosceremo personalmente te lo dirò di persona. Tuo padre è stato un grand'uomo. Ma questo credo che tu lo sappia di già.
      Simone Borri

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