Succede ogni tre o quattro anni. Arriva il giorno in cui si è vista giocare
“la partita del secolo”, “la squadra
Lionel Messi |
E’ la legge dello sport, ogni record è fatto di per sé per
essere superato, o forse soltanto dimenticato, sotto l’incalzare di nuove
prodezze. L’ultima partita, l’ultima squadra, l’ultimo campione visti all’opera
sono sempre i più brillanti. Del resto, è un fenomeno comune a tutti i settori
della vita. Stamattina si sposano William & Kate, il “matrimonio del
secolo”, Tre o quattro anni fa lo stesso “matrimonio del secolo” era a Madrid,
tra tre anni chissà dove diavolo sarà…. Domenica fanno santo Woityla. Nessuno
ricorda più Papa Giovanni XXIII. Tra vent’anni nessuno ricorderà più Giovanni
Paolo II. Ci saranno nuovi “eroi” da idolatrare. E così via, fino alla fine dei
tempi.
Valentino Mazzola |
Nel calcio, c’è sempre stata la “squadra più forte di tutti
i tempi”. Nessuno di noi era nato quando il Grande Torino dominava sui campi di
tutta Europa. I nostri vecchi, quelli che sono ancora vivi, possono
testimoniare l’orgoglio italiano di quegli anni, a cavallo tra la fine della
Seconda Guerra Mondiale e la Ricostruzione, un paese in ginocchio e umiliato
che si poteva vantare di avere nel proprio campionato uno squadrone
leggendario. Chi lo vide giocare, racconta ancora che un fuoriclasse come
Valentino Mazzola, padre di Sandro, deve ancora rinascere. Mio padre mi
raccontava che alla fine degli anni quaranta in Italia non c’era ragazzino, di
dovunque fosse, che non era tifoso del Grande Torino. Ovviamente, la tragica
conclusione a Superga, fece di questa leggenda un poema epico, quale neppure
Omero avrebbe saputo scrivere.
Passarono pochi anni, e un’altra “squadra più forte di tutti
i tempi” arrivò a calcare le scene. E’ strano come a volte il destino
presceglie un paese a caso per concentrarvi tutti i campioni che servono a fare
uno squadrone. O forse no, non è il destino, sono altri fattori. L’Ungheria dei
primi anni cinquanta era un paese che voleva fortemente la rinascita,
ribellandosi al giogo sovietico (come si diceva allora e dopo). E per qualche
tempo ci riuscì. Prima della tragica conclusione nel novembre 1956 sotto i
carri armati con la Stella Rossa, Budapest e tutta l’Ungheria vissero una
primavera incredibile. Nel calcio, un gruppo leggendario di fuoriclasse portò a
successi e gioco spettacolari prima la Honved, squadra della capitale e dell’Esercito,
poi la Nazionale magiara. Nessuno ha mai capito come fece l’Ungheria di Puskàs,
Czibor, Kocsis & C. a non vincere il Mondiale in Svizzera nel 1954. Perse
la finale contro la Germania per 3-2, dopo aver sconfitto la stessa Germania
per 8-3 (!) nelle eliminatorie ed essere stata in vantaggio per 2-0 nella
stessa finale. Ci fu chi parlò di doping tedesco, insabbiato da una Federazione
internazionale già allora compiacente.
Ferenc Puskas |
La fine della Rivoluzione Ungherese fu anche la fine della
Grande Ungheria, che fece a tempo a rifilare un 6-3 all’Inghilterra in casa sua
nel nuovo stadio di Wembley inaugurato per l’occasione, e poi si sciolse per la
fuga all’estero dei suoi campioni.
Il 1956 fu anche l’anno dell’istituzione della Coppa dei
Campioni, che coincise con l’inizio di un’altra leggenda, quella del Real
Madrid. Il Real era la squadra di Francisco Franco, El Caudillo di Spagna. Il
dittatore spagnolo era stato abile a sopravvivere al potere dopo la fine della
guerra, e anzi nel nuovo quadro di guerra fredda internazionale si era
ritagliato un ruolo di baluardo anticomunista ad occidente. Era appassionato di
due cose: la grandeur spagnola ed il calcio, e siccome la sua squadra era il
Real, ne fece uno squadrone favorendolo in tutti i modi (politica che è rimasta
nel calcio spagnolo ben dopo la sua morte…). Il Real accolse i campioni
ungheresi in fuga, ve ne aggiunse altri,a cominciare da Alfredo Di Stefano,
argentino naturalizzato spagnolo che all’epoca era ritenuto “il più grande di
tutti i tempi”, e cominciò a vincere Coppe dei Campioni, una a spese della
Fiorentina nel 1957, che con Montuori e Julinho non sfigurò affatto. Essendo il
Real una legione straniera, ne beneficiò poco la nazionale iberica, che vinse
solo un europeo nel 1964.
Alfredo Di Stefano |
Con la Coppa dei Campioni cominciò anche la Coppa
Intercontinentale, e l’incontro-scontro con il calcio sudamericano. Negli anni
60 in Europa ci furono molte grandi squadre ma forse nessuno squadrone. In
Sudamerica invece esplose il Santos, di cui era il “profeta” la Perla Nera, Edson
Arantes do Nascimiento, altrimenti conosciuto come Pelé. Se si guarda ai
numeri, oltre che alla classe immensa che può testimoniare chi l’ha visto
giocare, uno che può legittimamente aspirare al titolo di “più grande di tutti
i tempi”, se questo titolo avesse un senso: TRE mondiali vinti, più di MILLE
gol segnati, non so quanti trofei….non so quanti secondi sospeso in aria per
segnare di testa il primo gol all’Italia nella finale dell’Azteca al Mundial
’70.
Nello stesso anno in cui la leggenda del Pelé nero
raggiungeva l’apotesosi, cominciava nel Vecchio Continente la leggenda del Pelé
bianco. Come già venti anni prima in Ungheria, in Olanda alla fine degli anni
sessanta si verificò un miracolo. Undici fuoriclasse a comporre uno squadrone
che alla prima uscita perse sì dal Milan di Rivera la finale di Coppa Campioni,
ma dopo non si fermò più. Quella formazione, travasata integralmente nella
Nazionale Orange, i ragazzi della mia generazione la sapevano a memoria…..su
tutti, lui, il Pelé bianco, il Profeta del Gol (come lo chiamò Sandro Ciotti),
la mitica maglia numero 14…Johann Cruyff.
Edson Arantes do Nascimento detto Pelé |
Come già vent’anni prima la Grande Ungheria, nessuno saprà
mai come fece la Grande Olanda del 1974 a perdere la finale del Mondiale di
Germania, sempre contro la Germania. Anche stavolta, forse, contò la politica,
e anche l’emozione e l’incoscienza degli Orange…gli stessi sentimenti che
stavano per complicare la vita al Brasile contro una grande Italia quattro anni
prima in Messico. Fatto sta, la Coppa del Mondo l’alzò Beckenbauer, non Cruyff.
E l’Olanda si sfasciò. I suoi campioni emigrarono un po’ ovunque, per la gioia
di mezza Europa. Cruyff andò a rinforzare il primo grande Barcellona che si
ricordi, Krol fu il primo straniero del Napoli a frontiere italiane riaperte, e
così via.
Cominciò il periodo degli squadroni inglesi, Liverpool,
Aston Villa, contrastati a volte dal Borussia Moenchengladbach e dal Bayern
Munchen tedeschi e da Real e Barcellona spagnoli. Poca Juventus, niente
Johann Cruyff |
Lo “squadrone” era a Milano. Il Milan a cavallo tra la
gestione Sacchi e quella di Capello se non era uno squadrone ditemi voi
cos’era. La difesa dei fuoriclasse italiani, il centrocampo e l’attacco dei
fuoriclasse olandesi dettero vita ad un ciclo che ha fatto del Milan la
Diego Armando Maradona |
Alla fine degli anni 90, il baricentro cominciò a spostarsi
lentamente verso Spagna e Inghilterra. A
Roberto Baggio |
Il resto è storia recente. Il nuovo secolo ha visto prima
l’esplosione del nuovo calcio inglese, capofila il Manchester United, e poi di
quello spagnolo, capofila il Barcellona, e finalmente vittorioso a livello
mondiale dopo tanti anni di corse a vuoto.
Quante squadre “più forti di tutti i tempi”…. quanti
giocatori “più forti di tutti i tempi”….. L’ultima partita è sempre la più
bella, quella che si ricorda di più….
Alla prossima si ricomincia. Palla al centro, zero a zero. E
il prossimo giocatore “più forte di tutti i tempi” sta già palleggiando, da
qualche parte…….
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