Alla metà del primo tempo le
telecamere di Sky indugiano impietosamente sullo spettacolo di un cospicuo
numero di piccioni che pascolano più o meno sulla cosiddetta tre quarti
d’attacco della Fiorentina. Dice che è “colpa” dei giardinieri di Marassi, che
hanno riseminato l’erba da poco. In realtà, quella è la zona più tranquilla del
campo, più o meno quella cioè dove gli attaccanti della Fiorentina dovrebbero
creare il consueto tourbillon e fare di questo derelitto Genoa quart’ultimo in
classifica un sol boccone.
Fanno tenerezza i simpatici
volatili che indisturbati compiono la loro funzione primaria, quella di
cibarsi. La Fiorentina invece è un po’ che fa rabbia, perché ci dovrebbe essere
lei sopra quell’erba a cibarsi di un avversario che non dovrebbe rappresentare
in teoria un grande ostacolo, aggrappato com’è alla serie A per fare affari che
muovono tanti soldi al calciomercato ma che hanno ancor meno logica di quelli
fatti – e soprattutto non fatti – dalla Fiorentina stessa.
Fatto sta che oggi il possesso
palla a cui i viola ci avevano abituati ce l’hanno i piccioni, e in seconda
battuta un Genoa che nel primo tempo quella palla la fa vedere all’avversario
al fischio d’inizio e poi a quello finale. Nella ripresa idem, almeno fino al
quarto d’ora. Poi, più che dai cosiddetti “cambi azzeccati” di Paulo Sousa (ma
ci voleva poco a migliorare lo schieramento iniziale), l’equilibrio viene
spostato dal calo di fiato dei genoani. Alla fine, la Fiorentina si ritrova a
rammaricarsi su una vittoria mancata soprattutto per lo stato di confusione
mentale in cui versa attualmente nel suo complesso, malgrado per gran parte del
match abbia meritato né più e né meno che la sconfitta.
Confusione mentale, non si può
definire altrimenti in sintesi la prestazione della squadra che va in campo al
Luigi Ferraris. E non è questione di schemi, o di nuovi al posto dei vecchi. Al
primo minuto uno Zarate in formato Lazio sembra imbeccare un Babacar in formato
Modena. Gol facile facile, a cinquanta centimetri dalla linea di porta. Ma oggi
lo spauracchio Perin non deve nemmeno impegnarsi. Il senegalese esala un tiro
che in realtà è un ultimo respiro.
Poco male, direbbero i miei
piccoli lettori (prendendo a prestito la frase da Collodi) e anche la miriade
di tifosi viola che si sono disposti oggi a vedere la loro squadra del cuore
salvare una faccia che la società al contrario ha perso da tempo, ben prima di
spedire i suoi emissari in Argentina per il Mammana Day. La Fiorentina che
prima di San Siro non finiva un match sullo 0-0 da almeno due anni prima o poi
la rete la buca, Perin o non Perin.
E invece no, sulla scarsa vena
della ex promessa nera a cui oggi Sousa ha affidato la maglia di centravanti
titolare lasciando Kalinic a riposo si spengono le speranze viola di tenere il
passo delle prime due, che macinano risultati come rulli compressori e che
paiono ormai francamente di un’altra categoria, Higuain e Dybala a parte. I 44
minuti successivi sono un patire, perché il Genoa sembra la nazionale delle
Furie Rosse e la Fiorentina sembra tornata quella inguardabile di certi periodi
bui degli anni Settanta: palla lunga e pedalare, se ci fosse qualcuno in grado
di pedalare.
Gonzalo e Astori reggono patria,
bandiera e risultato al limite delle loro notevoli possibilità. Roncaglia è
Roncaglia, c’è un motivo se la Vox Populi (quella non addomesticata dalle
sirene societarie) spingeva per l’acquisto di un difensore, magari anche due.
La difesa è sotto pressione perché il centrocampo non esiste: Borja non è un
leader e non lo sarà mai, la breve stagione in cui giocava di prima è finita.
Vecino è un portatore d’acqua, quando c’è da servire avanti qualcosa di più
raffinato rovescia puntualmente il vassoio, non parliamo di tirare in porta,
roba da I.O.T. Bernardeschi si sta intristendo a fare il terzino aggiunto,
quando trova le condizioni per passare la metà campo è già in debito di
ossigeno e non ha nessuno con cui dialogare. Ilicic spalle alla porta sembra
una vecchia gloria, più che altro prende pedate (purtroppo oggi tutte lontane
dal limite dell’area avversaria).
Davanti, Babacar dimostra al
mister che non c’è bisogno di fare cambi polemici come in passato. Basta fare
quelli che la piazza richiede a gran voce. Se il senegalese è questo, qualunque
offerta rifiutata dalla Fiorentina è un delitto. Non lotta, e se lotta fa
casino. Non trova la porta e non crea spazio. Al suo fianco, Zarate fa
reintravedere il suo potenziale, e bisogna concedergli l’attenuante di essere
appena arrivato. Nella ripresa inoltrata, Sousa lo leva per Kalinic che non fa
molto di più di lui, anche perché si ritrova spesso a fare il rifinitore. Tino
Costa rileva Ilicic e almeno ci mette la personalità già intravista con il
Torino. Per il gioco, bisogna concedergli l’attenuante che resuscitare una
squadra di morti o di moribondi è impresa alla portata di pochi.
Per lunghi tratti la Fiorentina
dà la sensazione di essere una squadra in rottura psicologica prolungata.
Oddio, con la società che si ritrova alle spalle ci sarebbe anche da capirlo.
Anche Paulo Sousa si vede che fa del suo meglio per tenere i nervi saldi e
continuare a cavare da questa stagione bella per quanto assurda il più
possibile. Ma alla fine inciampa anche lui sul filo del rasoio del nervosismo,
commettendo una sciocchezza imperdonabile su un campo di serie A. Stoppa un
pallone non ancora uscito dal campo, e l’arbitro Giacomelli vorrebbe non
doverlo espellere, ma c’è costretto.
Il direttore di gara fino a quel
momento ha arbitrato bene, forse c’era il secondo giallo su Vecino, forse un
rigore su Kalinic. In verità, nessuna delle due squadre oggi merita di vincere,
per un motivo o per l’altro. Troppi strafalcioni il Genoa, troppo tardiva la
reazione della Fiorentina, e dalle polveri bagnate. Lo zero a zero, il
famigerato occhiale come si diceva una volta, è la fotografia perfetta di una
partita che sembra bella solo ai commentatori della TV a pagamento, che
qualcosa per giustificare l’ora e mezzo di intrattenimento - chiamiamolo così - devono pur
inventarsi.
Con Sousa fuori, i viola
continuano come prima. HAnno di fronte un Genoa che non ne ha più, ma la squadra che faceva tremare
il mondo qualche mese fa adesso fa tremare i suoi tifosi e basta, perché dalla
baraonda che è diventato il suo centrocampo può sempre scapparci fuori la
boiata che costa la sconfitta finale. Il quarto d’ora finale si gioca quasi ad
una porta sola, quella di Perin. Il più pericoloso dei viola è Astori, e
abbiamo detto tutto.
Alla fine i grifoni escono tra
gli applausi del pubblico genovese. I viola tra la perplessità di quello
fiorentino, che già era arrivato qui dopo averne fatta una bella scorta per le
note vicende di mercato. Poco prima del tiro di Alonso che potrebbe valere al
95’ una incredibile vittoria, fa il suo ingresso in campo dalla panchina
rossoblu nientemeno che De Maio, a quanto sembra diventato l’obbiettivo di
mercato principale degli uomini di Della Valle. Se sta in panchina in una
squadra quartultima, ci sarà un motivo. Se è un obbiettivo di mercato di questa
Fiorentina, ci sarà parimenti un motivo.
Speriamo che non sia lo stesso.