E pur si muove. Non la Terra intorno al Sole, come non poté fare a
meno di notare Galileo Galilei malgrado fosse stato appena costretto all’abiura
davanti al tribunale dell’Inquisizione. Ma piuttosto il mercato dell’A.C.F.
Fiorentina, costretta a rinunciare – pare – alla tradizionale ritrosia in sede
di compravendita di calciatori dalla situazione di emergenza creatasi a seguito
di infortuni, stanchezza, squalifiche e scelte tecniche discutibili. Tutti
eventi prevedibili e puntualmente verificatisi tutti insieme nelle ultime partite,
nelle quali la bella coperta viola si è ulteriormente accorciata.
Dopo Tino & Tello (non è un
fumetto dei tempi del Vittorioso o del Corriere dei Piccoli anteguerra) pare
arrivi anche Zarate (non è un centro abitato della Brianza, alle porte di
Milano, ma un calciatore ex-Lazio e a questo punto anche ex-West Ham che si porta
dietro pendenze giudiziarie da far invidia a quelle di Adrian Mutu). Fiorentina
scatenatissima perché pare che addirittura stia trattando Cigarini dell’Atalanta.
Fino a ieri mancava l’ufficialità, che a Firenze era diventata un po’ come l’amalgama
a Catania ai tempi del presidente Massimino. Mancava sempre, e nessuno –
malgrado le esortazioni del patron – la comprava mai.
Non è il momento di scherzare, e
chiediamo scusa se lo facciamo, ma è solo per stemperare un ambiente che si va
arroventando sempre di più, giorno dopo giorno. Pare incredibile, ma un
campionato che era cominciato tra fanfare e sogni di gloria a cui non eravamo
più abituati da decenni sta scivolando rapidamente nell’apatia e nel disamore,
con possibilità di virata improvvisa alla incavolatura ed alla contestazione. Basterebbe
non battere il Torino domenica in casa (a proposito, visto che siamo in tempi
di grandi riforme, lo vogliamo riformare questo istituto del gemellaggio che
non ci porta quasi mai punti, ma soltanto complicazioni?).
Tino Costa esce dalle visite mediche da Fanfani |
Guai a fare sognare il tifoso. Poi
il tifoso ai sogni ci si affeziona e quando li vede svanire non reagisce per
niente bene. La famiglia Della Valle aveva trovato qui a Firenze un punto di equilibrio
vanamente inseguito da tante altre famiglie di mecenati veri o presunti: mai
una gioia, ma mai neanche (o quasi) una paura come quella che si concretò nell’estate
del 2002 con il fallimento e la retrocessione. E adesso, proprio nell’anno che
doveva segnare l’ennesimo ridimensionamento per quieto vivere, cosa ti va a
combinare la Fiorentina? Va in testa alla classifica alla quinta giornata e ci
rimane fin quasi al titolo di campione d’inverno.
In tribuna, non più il solo
Andrea della Valle, che fa simpatia e in un certo qual modo anche tenerezza,
essendo ormai percepito più come uno di noi, un tifoso, che come il padrone. No,
da un po’ di tempo ecco anche Diego. Lui sì il padrone, l’uomo che detiene i
cordoni della borsa. Stai a vedere che ci ha preso gusto, comincia a crederci,
a voler provare. A vincere finalmente qualcosa, dopo quattordici anni. Per non
ritrovarsi a battere il record del marchese Ridolfi, fondatore e presidente a
tutt’oggi più longevo, che spendeva in tempi eroici, pionieristici (Firenze fu
l’ultimo capoluogo di Regione a dotarsi di una squadra rappresentativa
cittadina). E che almeno una Coppa Italia la portò comunque a casa, inaugurando
la bacheca viola.
Cristian Tello |
Illusione e disillusione, sono i
due estremi entro cui oscilla il pendolo. Non di Foucault, per restare nell’ambito
della Fisica, ma del tifo fiorentino. Tutti gli anni ci si illude che sia
quello buono. Tutti gli anni puntualmente ci si ritrova scottati da cocente delusione.
A dibattere su come sia possibile che “non vogliano spendere quando bisogna
spendere”, su come sia possibile che la torcida più innamorata del mondo stia
scivolando verso il disincantamento e l’apatia, si stia spaccando tra “leccavalle”
e “rosiconi” come nemmeno al tempo di Guelfi e Ghibellini, e con ancor minore
utilità.
Eppure ormai dovremmo conoscerla
questa A.C.F. Fiorentina, che non assomiglia più alle società sportive del
passato ma piuttosto ad una holding imprenditoriale moderna con le sue regole
industriali e di mercato. Che tratta i tifosi ormai da clienti ed il calcio
come la fabbrica di qualsiasi altro prodotto commerciale. Che non si
compenetrerà mai fino in fondo con questo ambiente, con questa Lega sportiva
dove gli imprenditori devono convivere con gli avventurieri, i faccendieri ed i
finanzieri creativi.
No, Diego e Andrea Della Valle i
soldi li hanno fatti con l’imprenditoria più classica. Si investe a ragion
veduta, non si fanno follie. Nemmeno per inseguire un sogno. Quando hanno
provato a distendere il famoso “braccino” (la definizione appartiene al
copyright di quella parte della tifoseria che non venera il 3 agosto 2002 come
l’inizio della storia viola) è andata male. Prima Calciopoli, poi Ovrebo, poi
la finale di Coppa Italia vinta da Jenny ‘a carogna. Passando per Rossi e
Gomez. I più grandi investimenti, finiti malamente tutti e due.
Mauro Zarate |
Non è un caso se da sempre le
imprese del gruppo Della Valle – e la Fiorentina non fa eccezione – sono nelle
mani del ragionier Cognigni, plenipotenziario fiduciario dei fratelli di Casette
d’Ete. Il ragioniere, è noto, lesina la propria firma anche sull’acquisto di
risme di carta per la fotocopiatrice, figurarsi per il bene più aleatorio del
mondo, il talento di un giocatore di calcio. Non è un caso se Corvino prima e
Pradé poi, due diesse acclamati a furor di popolo e poi alla fine detestati
come responsabili dei mancati acquisti (nelle monarchie costituzionali non si
attacca mai il re ma sempre e soltanto il primo ministro), siano rimasti a
lungo nelle grazie dei loro datori di lavoro.
La Fiorentina insomma funziona
così perché è così che vuole funzionare. E non sa in che altro modo farlo. Se a
ciò si aggiunge una difficoltà intrinseca, congenita di comunicazione, il
quadro è completo. Del resto, abbiamo sentito tutti più volte Diego della Valle
intrattenere l’auditorium circa i propri progetti politici. Sia detto senza
alcun intento polemico: siamo ancora tutti a domandarci che cosa abbia voluto
dire. E soprattutto cosa vuole fare.
E’ un grande imprenditore Diego Della
Valle, ma non chiedetegli di comunicare. Le sue possono essere le migliori
intenzioni, ma non “bucano lo schermo”, non arrivano alla platea. Nella società
di calcio da lui posseduta, l’ ultima e unica addetta stampa in grado di
presentare all’esterno una immagine chiara e convincente di cosa fanno e di chi
la fa è stata Silvia Berti. Dopo di lei, non c’è stato manca poco più verso
nemmeno di sapere dove si allena la squadra e a che ora, figuriamoci parlare di
strategie e di compravendite.
Le strategie forse ci sono, per
quanto imperscrutabili. In questo gennaio, del resto, non c’era da inventarsi
chissà cosa, bastava rinforzare difesa e centrocampo con gente di pronto
utilizzo e sicuro rendimento. Nessuno ha mai chiesto Iniesta o Xavi, men che
meno Mascherano. Ma un Quagliarella a tre milioni di euro o un Lisandro Lopez a
nove non li puoi valutare solo in termini di listino e di plusvalenza futura. Se
per disgrazia finisci a vincere uno scudetto hai voglia a ritorno economico in
una città come questa. Hai voglia a portare il marchio Tod’s in giro per il
mondo.
Giuseppe Rossi |
O forse si naviga più a vista di
quello che sembra. La Fiorentina, che a giugno prese in fretta e furia un
allenatore – bravo – per sostituirne un altro – altrettanto bravo – che aveva
dato disdetta senza (o quasi) preavviso, si è ritrovata a fare mercato prima e
a comandare la classifica poi senza averne l’intenzione e tantomeno la
preparazione, psicologica ed economica. Tino, Tello & Zarate si spiegano
anche così, dopo mesi passati a recitare il rosario: “per gennaio abbiamo già
il nome giusto in pugno”.
E allora, nessuno aveva chiesto
lo scudetto. Nessuno, dopo il 2010, ci credeva nemmeno più. Ma se il destino ti
spedisce lassù in cima e tu non ci provi, a cosa serve tutto il resto? Sousa la
prenderà male, la sta prendendo male. Come Bagnoli e Boskov voleva provare a
scrivere il suo nome da outsider nell’albo d’oro del calcio italiano. Fra
qualche domenica e qualche altro risultato incerto, chissà che nomi vedremo
scritti in compenso sui muri dello stadio.
A proposito. Pepito Rossi se ne
sta andando. E’ un suo diritto di professionista e di uomo inseguire ancora il
suo sogno personale. Convincere Conte, come già tentò con Prandelli, a portarlo
con sé agli Europei. E’ stata una storia dolorosa, tormentata, quella sua alla Fiorentina.
Niente è andato come doveva, ma non è colpa di nessuno se non dell’ineffabile
Rinaudo. E adesso è il momento degli addii e degli strascichi. Dei cocci rotti.
Cara Firenze, per una volta cerca
di ragionare con la testa e non con la pancia. L’unica bandiera è quella che
sventola sulla Torre di Maratona. C’era prima del 2002. Ci sarà sempre. Il
resto passa. Passeranno anche Tino & Tello. E speriamo di non ritrovarsi
tutti a Zarate.
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