Di solito non diamo voti ai
singoli, sa tanto di scuola dell’obbligo, di quel modo un po’ tranchant che
avevano ed hanno i professori di sintetizzare il rendimento dei loro allievi
con un simbolo numerico che sembra dire tutto e invece spesso e volentieri non
dice nulla, o perlomeno tralascia molto. Luoghi comuni, come quel “potrebbe
fare di più” o “non si applica” che hanno accompagnato, quando non funestato, la
nostra infanzia e la nostra adolescenza dal giorno di San Remigio fino a quello
dell’esame di maturità.
Uscendo da San Siro e dovendo
riassumere in poche righe la prestazione di una Fiorentina che comincia ad
occhio e croce un girone di ritorno ben diverso e probabilmente molto meno
divertente di quello d’andata, forse i famigerati voti sono però la cosa migliore.
Vediamo un po’: Bernardeschi 4 (di incoraggiamento), Ilicic 3, Kalinic 2. E
avremmo detto tutto o quasi.
Con un attacco in condizioni
miserrime come quelle viste al Meazza non c’è Fiorentina che tenga. Se non
salti un uomo, non fai un cross, non tiri in porta tutto il resto è inutile e
stucchevole accademia, dal momento che scopo del gioco è tutt’ora quello di
buttarla dentro almeno una volta di più del tuo avversario. La Fiorentina non
tira mai nello specchio della porta, e due volte sole orientativamente nella
direzione di Donnarumma, con una ciabattata horror di Kalinic ed una zuccata dello
stesso da rimessa in gioco del pallone a Volley. Il Milan invece tira tre o
quattro volte, e in almeno due casi va a segno, ridicolizzando tra l’altro l’intero
reparto difensivo viola, portiere compreso.
Tutto qui. Potremmo evitare
dunque di criticare una proprietà che si presenta al 50% in tribuna a San Siro
per assistere allo spettacolo disarmante di una squadra – la propria – senza condizione,
senza testa, senza spirito e senza più uomini da schierare. Proprio mentre l’orologio
del calciomercato scorre inesorabile, siamo a meno 12. Non di temperatura ma di
giorni che mancano alla fine di questa sessione in cui – ci era stato detto a
settembre – la Fiorentina aveva già in mano i nomi giusti e bastava solo
aspettare il primo giorno legalmente utile a mettere nero su bianco.
Potremmo anche evitare di
criticare un mister che non sta reagendo bene alla fase di risveglio dal sogno.
Quello coltivato per quattro mesi di poter dire anche qui in Italia “veni,
vidi, vici”. Mi stanno disfacendo la squadra, avrà pensato Paulo Sousa, ma in
fondo con quello che mi resta e che non è proprio malaccio mi basta arrivare a
gennaio. A quel punto “arriveranno i nostri”, il Settimo Cavalleria promesso
dal Grande Padre Bianco e dai suoi uomini con cui ho firmato a giugno il
trattato, pardon, il contratto. E invece niente, né Lisandro Lopez e nemmeno un
Quagliarella o un Mexes. Roba almeno da usato garantito, chiavi in mano e di
pronto impiego. Poi uno mette Alonso a terzino destro o Rossi al posto di Mario
Suarez. Comprensibile, “questi” farebbero perdere la pazienza anche a San
Pietro.
Potremmo evitare di criticare
anche quei giocatori che non hanno saputo gestirsi durante le feste di Natale. Come
il prode Bernardeschi, poco più che ventenne e apparso in affanno fisico e
mentale manco fosse al Torneo Vecchie Glorie e manco in tribuna non ci fosse presente
nientemeno che il selezionatore della Nazionale azzurra Antonio Conte. O come l’altrettanto
prode Kalinic, troppo presto e troppo temerariamente paragonato da qualcuno
nientemeno che ad Omar Gabriel Batistuta (ma del resto dopo che hai paragonato
Borja Valero ad Antognoni tutto è lecito). Caro Nikola, gol come quello
orrendamente “bruttato” nell’unica palla decente che hai avuto ieri sera
Batigol li segnava anche quando aveva le caviglie molto più disfatte delle tue.
E non aggiungiamo altro per carità di patria.
Potremmo infine evitare di
stigmatizzare tutti coloro, tanti, che rispondono al coro ormai classico “bisogna
spendere” che tanto ha indispettito Andrea Della Valle domenica scorsa dopo il
ceffone rifilato ai viola dalla Lazio, con l’altrettanto classico refrain “allora
comprala te la Fiorentina e vediamo cosa sai fare”. Una cosa va detta: sono
pochi coloro che nel calcio moderno hanno le risorse economiche non tanto per
comprarla, quanto per tenerla a certi livelli. Ma sono molti di più coloro che
sfidano una nottata di gelo polare come quella di ieri per valicare gli
Appennini e spingersi fino a Milano a sostenere questa squadra che fino a poco
fa faceva sognare il rinnovo di fasti ormai talmente lontani nel tempo da
risultare sconosciuti ad almeno un paio di generazioni di supporters viola. E
tutto ciò solo per passione, ricevendo in cambio al primo mugugno rimbrotti
stizziti da parte di permalosi cronici, e limitandosi per lo più a qualche
sfottò fiorentino, come il ribattezzare il neoacquisto Tino Costa come Costa
Pochigno.
Potremmo fare tutto questo, e
anche di più. Poi guardiamo quei voti, e ci rendiamo conto che con un attacco
mal messo come quello viola di ieri sera neanche strateghi affermati come
Mourinho o Guardiola, neanche magnati del calcio moderno come Abramovich
avrebbero salvato le penne al Meazza. Chi pare averle salvate piuttosto è la
nostra vecchia conoscenza Sinisa Mihajlovic, che in qualche modo ha saputo
ricompattare la truppa rossonera spingendola verso questa vittoria che la
rilancia e soprattutto appaga il suo desiderio di rivalsa. Firenze è stata
avara ed amara con lui e per lui? Ecco qua servito il celebre piatto che si
mangia freddo.
Ma Sinisa lì davanti ha Bacca,
che magari segnerebbe al quarto minuto quel gol anche se avesse addosso un
marcatore meno improvvisato di Tomovic (al quarto anno di inamovibilità) e
davanti un portiere più attento di Tatarusanu. Magari è da chiedersi se
basterebbe poco più dello stesso Tatarusanu ormai in stato confusionale e di un
Roncaglia per il quale abbiamo finito gli aggettivi (almeno quelli non
positivi) per evitare a Boateng il raddoppio che chiude i giochi a due minuti
dalla fine. La risposta ci sentiamo di dire che è sì.
Tra le due reti rossonere, una
partita neanche brutta a vedersi ma tutto sommato poco consistente. Come all’andata,
gran possesso palla viola e Milan forse più pericoloso in ripartenza. All’andata
aveva trovato due volte il gol la Fiorentina, su prodezza individuale. Al
ritorno tocca al Milan. La panchina di Mihajlovic è salva, le sue squadre si
confermano non improntate al bel gioco ma -quando obbediscono ai suoi dettami -
estremamente motivate e determinate. Del resto, per tagliare in due questa
Fiorentina e metterla knock out basta poco. Basta una difesa rossonera attenta
e Bacca lì davanti.
Paulo Sousa appare sconsolato per
buona parte del match, come se i suoi non lo ascoltino più. Per “suoi” si
intende naturalmente quella pattuglia di 12-13 giocatori (meno infortunati e
squalificati) a cui lui ha ristretto la rosa viola. Forse i fedelissimi non ce
la fanno più, forse tutti sanno, anche il Milan, come giocare contro la ex
sorpresa Fiorentina. Aspettano dietro e ripartono, e il Milan qualche uomo per
far male ce l’ha. Forse, forse, forse, di doman non v’è più certezza.
I cambi, se ne vogliamo parlare,
spostano poco e come già nella partita precedente sembrano più dettati da
qualche intento polemico che da un reale disegno tattico. Sousa toglie Suarez
che se oggi non è stato il migliore in campo poco ci manca e che ha retto la
baracca di centrocampo senza far rimpiangere troppo Badelj. Al suo posto mette
un Rossi abbastanza spaesato, in una partita in cui la Fiorentina si trova
costretta da se stessa a verticalizzare per vie centrali, finendo ad ogni
azione – o presunta tale – in un imbuto senza speranza.
Le notizie che si susseguono sono
tutte pessime per un Sousa già demoralizzato. Vecino salterà il Torino per
squalifica, e c’è il caso che analoga sorte tocchi a Marcos Alonso per
infortunio. Entra Pasqual, ed è l’unica buona notizia per Conte, che di lì a
poco riterrà di aver visto abbastanza e lascerà San Siro. Poi tocca all’inguardabile
Ilicic di questa circostanza lasciare il campo a Babacar, che subisce ancora
una volta i “sei minuti di Rivera” proprio nello stadio che fu di Rivera. La
sensazione data dai viola nei minuti finali è quella di un’Armata Brancaleone
senza nemmeno Brancaleone. Il senegalese si mette in luce solo per due falli
sul portiere. Almeno il suo dirimpettaio Balotelli un paio di numeri li fa,
dall’altra parte. Ma il 3-0 sarebbe troppo anche per questa Fiorentina.
Finisce così, con la sensazione
che dopo la Lazio la Fiorentina abbia fatto da madrina anche alla resurrezione
del Milan. E che il girone di ritorno possa riservare sorprese non proprio positive
per una squadra che fino a poco fa autorizzava ben altri sogni. Dal fronte
societario tutto tace. Niente di nuovo sotto il sole. Forse sarebbero bastati
davvero un Quagliarella e un Mexes per restare aggrappati a quei sogni un altro
po’. Ma dopo quindici anni di gestione Della Valle, è più facile che alla fine
dei giochi, tra un paio di settimane, ci si ritrovi con un Keirrison o un
Bonazzoli. E qualcuno in più fuori dello stadio a intonare il canto “Bisogna
spendere”.
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