Diventerà un tormentone, una di
quelle parole strane capaci di segnare un’epoca, come la tracimazione della
buonanima Remo Gaspari o la par condicio dell’altrettanto buonanima Oscar Luigi
Scalfaro. Questi saranno gli anni del quorum, soprattutto se l’usanza di andare
a votare verrà mantenuta dalle prossime riforme costituzionali.
Il referendum più assurdo della
storia d’Italia, quello dal quesito più malposto, incomprensibile e
strumentalizzato da quando l’istituto fu introdotto nella nostra Costituzione
(e dire che non sono mancati i precedenti significativi in tal senso in
passato) si è concluso come era prevedibile. Lo sbarramento del 50%+1 si è
rivelato fatale per l’esito della consultazione, in un paese dove la gente non
va più a votare nemmeno quando le cose sono chiare e la posta in gioco
altissima, come può esserlo per le tornate elettorali politiche ed
amministrative.
Alla chiusura delle urne
(quest’anno si votava in giornata unica) la soglia dei votanti risulta aver di
poco superato il 32%. Il quorum, questa sinistra Spada di Damocle posta da una
Costituzione forse ormai un tantino invecchiata sulla volontà popolare, è ben
lontano dall’essere raggiunto. Per la cronaca, una cronaca triste per chi aveva
caricato questa consultazione dei significati giusti e anche di quelli
strumentali, di quel 32% un 86% scarso si era espresso per il SI, cioè – vale
la pena ricordarlo – per il mancato rinnovo delle concessioni alla loro
scadenza.
A giudicare dai commenti,
stamattina c’è un solo vincitore, anche se come suo costume è un vincitore auto
referenziato. Matteo Renzi sbeffeggia i referendari e inneggia ai posti di
lavoro salvati. Neanche una parola sul merito della questione, sia quello
tecnico che quello politico.
Negli ultimi giorni prima del
voto infatti la consultazione si era caricata di significati anti-renziani, che
avevano finito per surclassare i già non chiarissimi significati tecnici, in
termini di politica ambientale ed energetica. Alla fine, è stata questione di
andare a votare perché – come ha suggerito un noto comico, personaggio appartenente
cioè ad una categoria che ultimamente sta prendendo in mano le redini di questo
paese – Renzi aveva detto di stare a casa. E quindi il voto per il SI
equivaleva in sostanza ad una mozione di sfiducia.
Ambientalisti e fautori di una
maggiore autonomia di approvvigionamento energetico del paese dovranno quindi
rimandare l’ennesimo scontro nella lunga singolar tenzone che li vede opposti
gli uni agli altri dai tempi del referendum sul nucleare. A questo giro non vince
e non perde nessuno, né chi vuole il mare più pulito né chi preferisce la
benzina meno cara. Del resto, in ballo c’era il 3% del fabbisogno energetico
italiano e poche miglia di una costa lambita da acque che comunque negli ultimi
vent’anni si sono arricchite di sostanze poco pregiate come l’uranio impoverito
nonché di rifiuti tossici e nocivi d’ogni genere, a prescindere dalle
famigerate trivelle.
Il problema di questo paese era e
resta piuttosto la mancata azione di controllo da parte del governo nazionale
nei confronti di coloro che gestiscono le risorse energetiche e le materie
ambientali. La palla torna dunque a Renzi, che con la consueta nonchalance è
comunque pronto a sparacchiarla via come un terzinaccio d’altri tempi.
Dove non soltanto il premier ma
un po’ tutta la classe politica avrà forse qualche difficoltà in più a
presentarsi al paese – anche ad un paese che sta scivolando nell’indifferenza
elettorale come l’Italia di questo scorcio di ventunesimo secolo – è sulla
questione politica generale. Non è tanto la mancata affluenza alle urne che
deve far riflettere, in fondo il fenomeno rientra nel trend occidentale e non
lo scopriamo oggi.
Malgrado gli accorati appelli ad
una coscienza civica nobile ma d’altri tempi, che richiama alla Repubblica nata
dalla Resistenza ed all’esercizio di un diritto di voto che ai nostri nonni è
costato sangue, ciò che è successo ieri è un fenomeno perfettamente legittimo e
comprensibile, anche se finisce per delineare un risultato auspicato dalla
parte – possiamo dire – meno nobile della nostra classe politica. L’ex
presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che si allinea alla posizione
del governo da lui creato – e da nessuno votato - nel sostenere l’opportunità di stare a casa,
diciamolo pure, non è un bel vedere né un bel sentire.
Come Renzi, il senatore a vita si
spertica nell’esaltazione del diritto di astensione. Finché lo fa un
Montesquieu, nulla da eccepire. Quando invece la lectio magistralis proviene da
un individuo che più schierato e di parte non si può (malgrado l’altissimo
incarico a suo tempo rivestito), allora stona assai.
La questione è tuttavia un’altra.
E’ la commistione di vecchie e nuove regole che l’attuale classe politica
vorrebbe usare per imbrigliare la volontà popolare. La Costituzione si riforma
solo in quelle parti che fanno comodo a chi comanda, e si lascia intatta in
quelle parti che ormai limitano assurdamente il diritto del popolo di
pronunciarsi sulle questioni ritenute importanti.
La necessità di un quorum per
ritenere valida la consultazione referendaria, al pari del giudizio di
ammissibilità del quesito da parte della Corte Costituzionale, sono precauzioni
che il Costituente prese all’epoca in cui la fragile democrazia italiana
correva il rischio di pericolose derive. Adesso, diciamocelo, non hanno più
senso. Il popolo italiano ha tanti difetti, ma non necessita di continuare a
vivere sotto la tutela di un entità superiore. Tanto più coincidente con una
magistratura che percepisce come sempre più collusa con il potere politico.
Al referendum, come alle
elezioni, si va per votare chi vince e chi perde, senza correttivi. La
maggioranza qualificata è un residuo del passato, un’ancora di salvataggio
sempre più odiosa per un potere politico che ne ha già fin troppe. Questa parte
della Costituzione avrebbe maggior bisogno di essere rivista da quello stesso
potere politico, piuttosto che quella concernente il numero dei senatori e la
loro provenienza.
Ma nessun sovrano rinuncia
volontariamente al potere, se non ha in lontananza (lo diciamo metaforicamente)
l’ombra della ghigliottina. In Italia purtroppo non è il popolo ad essere
sovrano, ma una classe politica che non ha nessuna intenzione di abdicare
fintanto che il circolo vizioso costituito dalle nostre attuali istituzioni
glielo consente.
Ci aspettano tempi sempre più
duri, e non perché le trivelle continueranno a perforare l’Adriatico ed il
Tirreno. A Montecitorio e Palazzo Madama si stanno facendo ben altri danni, ad
essere trivellati sempre di più sono i nostri diritti. Ed il prossimo
referendum, quello di ottobre, sarà già un’ultima spiaggia.
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