Maria Etruria Boschi, come la chiama Matteo
Salvini con evidente riferimento al suo casato nobiliare, si aggira
per l’Europa (dopo il Sudamerica) un po’ come faceva una volta quello spettro
ancestrale da cui discende il suo partito. Solo che, a differenza di quanto
succedeva normalmente allo spettro almeno in Occidente, Maria Elena ha un
incarico ufficiale nella compagine del governo italiano, è Ministro per le
riforme costituzionali, e pertanto ci si aspetterebbe che le sue uscite
fossero sempre e comunque in rappresentanza di tutto il popolo che governa, non
soltanto di quella parte che lei vorrebbe veder vincere, con le buone o con le
cattive.
Tra l’altro, visti i chiari di luna, corre il sospetto che questi
viaggi, dalla Pampa argentina all’Imperial College di Londra,
sia il contribuente a sobbarcarseli sul suo già magro bilancio. Maria Etruria,
pardon, Elena, dice di no: tutto a carico, suo e dell’impegno volenteroso di
giovane pasionaria democrat. Lo dice lei, e noi – come
il Marcantonio di Shakespeare dobbiamo
crederci, è donna d’onore.
Di questo passo dovremo credere anche che Matteo Renzi ha
comprato personalmente i 4 milioni di francobolli apposti alle altrettante
lettere di invito ad andare a votare indirizzate agli italiani all’estero. Di
credere che esse contengano tra l’altro soltanto quell’invito, e non un
messaggio neanche tanto subliminale ad apporre la fatidica croce sul
fatidico SI, ci riesce ancora più difficile. Così come di credere
che tutto ciò avvenga per il bene dell’Italia.
Parlano tutti in nome dell’Italia, man mano che l’ora X si avvicina. I
sondaggi sono stati stoppati troppo tardi, i quindici giorni di legge non sono
stati sufficienti a impedire la pubblicizzazione dell’ultimo, che ha indicato
una crescita tendenziale del fronte del NO oltre il 5% di
vantaggio. Un vantaggio che nemmeno la chiamata alle urne in dose massiccia
degli ex italiani potrebbe rovesciare, probabilmente.
In attesa di sapere se i sondaggi sono davvero quel baraccone da circo
che la Brexit e Donald Trump hanno svelato al
mondo, il campo del SI comunque ha annusato l’aria che tira,
che non è favorevole per niente. E cercando di far propria l’improntitudine del
suo condottiero, Matteo Renzi, l’uomo che ha la faccia per tutte le stagioni e
per tutte le affermazioni (tanto quelle passate chi se le ricorda?), si dispone
a farci trascorrere queste ultime due settimane prima del voto come gli
spettatori del teatro dei Pupi siciliani, ricorrendo cioè alla
più vasta gamma di espressioni facciali (dal truce al disgustato al
fulminante), nonché alle più oscure minacce ed anatemi per farci passare notti
in bianco preoccupati del nostro destino qualora insistessimo nella protervia
dell’errore, quello di mettere la crocetta fatale nella casella sbagliata.
Vecchi arnesi del comunismo rinnegato solo a parole, come Valter
Veltroni e il miliardario rosso De Benedetti, o di quella
democrazia cristiana di terza fascia - al di sotto del sottobosco - come
l’altro ministro Dario Franceschini, ci offrono durante l’omelia
serale presso una televisione ormai del tutto compiacente se non asservita il
quadro dell’Italia futura che ha tradito il nuovo che avanza, con i cosacchi di
Salvini che abbeverano i cavalli a Montecitorio e Palazzo
Chigi, e con Donald Trump che ci priva delle nostre risorse,
dei nostri nuovi portatori di cultura (come se non ne avessimo
abbastanza della nostra), mentre la Merkel ci sbatte fuori
dall’Euro e ritorniamo al baratto in natura.
Già, la Merkel. Incoronata leader dell’Occidente dal Presidente più
inutile e dannoso della storia degli Stati Uniti, quel Barack Obama che
si appresta se Dio vuole a chiudere il gas e riconsegnare le chiavi della Casa
Bianca al legittimo proprietario, la Signora dello Spread non
ha perso tempo a far sentire le sue minacce, come nemmeno fu capace Federico
Barbarossa a suo tempo. Doppiata subito dai Quisling della Banca
d’Italia, che hanno paventato i primi bombardamenti degli Stukas già
per la mattina del 5 dicembre.
Maria Elena Boschi con Vincenzo de Luca |
Vecchi e nuovi Presidenti della Repubblica italiana
fanno la loro parte ricordando al popolo che dal 2011 non è più sovrano. E il
popolo forse comincia a rendersene conto, se le dichiarazioni di voto
rilasciate ai sondaggisti non sono anche stavolta mendaci o canzonatorie.
Di tutti gli articoli oggetto del restyling renziano,
che dovrebbe far assomigliare la nostra costituzione un po’ al Palazzo di
Giustizia di Firenze (per chi ha presente l’oggetto), quello chiave di
questa Legge Costituzionale Truffa non è il 70, che pure
riduce l’elenco delle competenze e delle regole di funzionamento del nostro
Senato ad una pagina del Manzoni di quelle che abbiamo
imparato a odiare a scuola, oppure ad una di Camilleri, quando
descrive le modalità di concessione delle linee telefoniche nella Sicilia
dell’Ottocento.
No, l’art. chiave è il 117 riformato, ove si dice
che: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel
rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento
dell'Unione europea e dagli obblighi internazionali”.
Segue l’abolizione sostanziale del regionalismo e
del federalismo, en passant, ma non è questo il punto,
e se i governatori dovessero continuare ad essere della stazza di un Vincenzo
De Luca o di qualcun altro degli attuali, non sarebbe tra l’altro
nemmeno una gran perdita.
Il punto è che d’ora in avanti, se passa la riforma, gli impegni presi
a Bruxelles sono immediatamente vincolanti e non più
sottoposti a ratifica da parte del nostro Parlamento. L’Italia cessa da quel
momento di essere uno stato sovrano e diventa una regione a statuto ordinario
dell’Unione Europea. Quel soggetto politico che, con buona pace di Altiero
Spinelli e di tutta Ventotene, negli ultimi vent’anni ha
quasi azzerato il nostro potere d’acquisto ed il nostro tenore di vita, ci ha
imposto governi che nessuno ha più potuto votare, ci ha imposto una invasione
di migranti per ritrovare un precedente analogo – in tutti i sensi – della
quale bisogna risalire al periodo compreso tra il 410 d. C. e la cacciata
dei Longobardi dalla Penisola. Ha distrutto la nostra economia
e la nostra sovranità reale. Complici, ovviamente, i ducetti, i gerarchi ed i
burocrati bancari che si sono alternati a far finta di governare questo paese,
gestendo invece esclusivamente i propri interessi.
Le ragioni del No, dunque, sono le stesse del 1947, quando perfino i
comunisti capirono che non era il caso di alienare la sovranità popolare così
faticosamente e sanguinosamente riconquistata. Lo capisce perfino un vecchio
arnese del comunismo postmoderno come Pierluigi Bersani. Il suo No
inquieta un po’ il campo anti-renziano, come quello di D’Alema. Si
tratta di gente che avrebbe fatto perdere la sua battaglia perfino a San
Francesco, a Giovanna d’Arco, se fossero stati dalla loro
parte. Ma non è il caso di stare a sottilizzare, servono tutti i voti per
salvare la Costituzione repubblicana, anche quelli di chi a suo tempo ci ha
preso in giro con la Bicamerale e la pessima riforma del Titolo
V di Bassanini.
L’unica vera costituzione che ci rimarrebbe, se prevalessero le
ragioni del SI, sarebbe il Trattato di Maastricht. Non ci
resterebbe il tempo per finire di maledirlo abbastanza.
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