Si vota,
finalmente. Gli americani vanno alle urne, e finalmente gli opinionisti
di professione potranno smetterla di tormentarci con le loro opinioni sui fatti
di casa altrui, e torneranno a tormentarci con le loro opinioni sui fatti di casa
nostra.
Clinton o Trump.
Chiunque vinca, governerà il suo paese con il sostegno di tutti, vincitori e
vinti. Qualcosa che noi italiani possiamo soltanto invidiare. Il nostro governo
in genere non ha il sostegno neanche di chi ce l'ha messo, o di chi l'ha votato
(quando succede).
Passano gli anni, e dai commenti che si
leggono si evince che noi del sistema americano ci capiamo sempre meno. Ed è un
peccato. Stiamo lì a lamentarci del pazzo Donald e della strega
Hillary, quando poi passiamo il resto del tempo a magnificare un sistema che permette
a chiunque di diventare presidente. Delle due l'una, o siamo ipocriti
prima, o siamo disconnessi adesso.
Chiunque può diventare presidente in
America, è vero, anche la persona più improbabile, basta che raccolga consensi.
E' la democrazia, bellezze. Si può capire che noi italiani non ci siamo
abituati. E allora invidiamo chi ce l'ha, magari cercando di attenuare la
nostra invidia con lo sfogo di tante sciocchezze dette e scritte. E senza
rendersi conto che qui dalle nostre parti non siamo più abituati a rispettare -
in qualsiasi circostanza - chi non la pensa come noi. Sarebbe il caso di
riabituarsi.
Chi vincerà? Dimentichiamoci i sondaggi,
sono fatti - senza offesa, è la realtà - da gente a libro paga,
valgono come i pronostici del Totocalcio, nella migliore delle ipotesi.
Hillary Clinton
rappresenta la continuità con la peggiore amministrazione della storia
americana: non quella di suo marito (che è da rivalutare), ma quella del primo
figlio del popolo nero. Una delusione epocale, un chiacchierone tra i più
insopportabili e meno concludenti tra quanti si sono insediati alla Casa
Bianca. Ci scuseranno i politicamente corretti e i simpatizzanti
democratici. Un chiacchierone inconcludente è un chiacchierone inconcludente,
anche se proviene dalla stesso gruppo etnico di Martin Luther King
e Mohamed Alì.
Ma Hillary Clinton sarebbe anche la prima
donna della storia alla guida del paese più potente del mondo. Un esperimento,
un evento sul cui fascino e la cui importanza non è neanche il caso di
soffermarsi, tanto è evidente.
Dall'altra parte, Donald Trump
è fatto oggetto della stessa disistima (spesso interessata) di cui beneficiava
Ronald Reagan nell'anno di grazia 1980. Stessi discorsi, il
mondo sull'orlo della terza guerra mondiale, il pazzoide nella stanza
dei bottoni, il guerrafondaio alla guida di un mondo perennemente
sull'orlo della guerra.
Reagan fu uno dei più grandi presidenti
di sempre, e vinse la Guerra Fredda, nientepopodimeno. Trump,
al netto di certe prese di posizioni estroverse e vistosamente elettorali,
viene dalla stessa estrazione politica e promette le stesse cose. C'é da
scommettere che sconfiggerebbe anche lui l'Orso Russo, ma non sul
campo: semplicemente mettendosi d'accordo con Putin. Lo
farebbe in cinque minuti.
Si rischia più una guerra, se proprio
vogliamo dirla tutta, con le posizioni intransigenti del duo Obama - Clinton
che con il pazzoide, che ha affari in tutto il mondo e che non vuole
assolutamente comprometterli, non più di quanto Caprotti volesse
lasciare l'Esselunga ai figlioli.
Chiunque vinca, da stanotte avrà un paese
dietro di se. Lealmente e compiutamente. E tutta l'invidia di chi, da
quest'altra parte dell'Atlantico, sognava una democrazia di questo tipo, e
ormai sa che in Italia non la vedrà.
Lo spettacolo degli americani che vanno a
votare si rinnova, una volta di più.
Dio benedica gli Stati Uniti
d'America.
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