Eric Horsbawm lo definì il secolo breve.
Cominciato in ritardo per colpa di un assetto sociale che si richiamava
direttamente al medioevo feudale e che la Grande Guerra spazzò via tra il 1914
ed il 1918, finito in anticipo per il crollo, nel 1989, del Muro che
simboleggiava l’ultima delle grandi sanguinose illusioni di portare le
cosiddette masse a pieno titolo nella stanza dei bottoni della storia.
Il ventesimo secolo ha prodotto tante idee, quasi tutte nate da
buone e progressiste intenzioni, altrettanto sangue ed una lunga galleria di
ritratti raffiguranti leader carismatici come forse oggi non siamo abituati a
vedere – e tantomeno a seguire – più. Popoli in cerca di riscatto dalla fame e
dal tallone di ferro di governi nati quando i Barbari sostituirono le proprie
istituzioni a quelle dell’Impero Romano affidavano la sorte della loro gloriosa
rivoluzione a personaggi animati da ambizione pari alla loro personalità e
spesso alla loro assenza di scrupoli.
Il modello era stato codificato da Napoleone Bonaparte,
che aveva trasformato la Grande Rivoluzione del 1789 e la Prima Repubblica
francese nel Primo Impero, ma gli archetipi rimontavano assai indietro nella
Storia, da Giulio Cesare a Oliver Cromwell. Nel
ventesimo secolo, quello che avrebbe messo a disposizione delle dittature mezzi
che il genere umano non aveva mai visto prima in azione o anche soltanto
immaginato, la galleria era stata aperta da Vladimir Ilic Ulianov detto Lenin da
una parte e da Benito Mussolini dall’altra, alle due estremità
di un arco politico che come tutte le figure geometriche all’infinito tendono a
ricongiungersi, a toccarsi combaciando.
La Repubblica di Cuba ha annunciato sabato mattina la scomparsa
dell’ultimo dei grandi condottieri di questo ventesimo secolo che è durato
poco, ma che è sopravvissuto a se stesso fin troppo nelle filosofie politiche
riadattate ai tempi apparentemente nuovi, e soprattutto negli atteggiamenti di
tanti che ad esse continuano almeno a parole a rifarsi scrutando l’orizzonte in
cerca di nuovi lider maximi capaci di condurli epicamente e
romanticamente ad una nuova vittoria del sole dell’avvenire. Una
locomotiva come quella di Francesco Guccini, lanciata a
bomba contro l’ingiustizia.
Fidel Alejandro Castro Ruz ha indossato tutta la vita la
mimetica del guerrillero, del comandante militare. In realtà era un
avvocato destinato al Foro dell’Havana, così come il suo compagno iniziale
d’avventura, anche lui in mimetica per tutta la durata della sua vita (peraltro
assai più breve), era un medico che dalla natia Argentina si era spinto a
osservare e registrare le condizioni di vita della gente in tutta l’America
Latina.
Fidel Castro ed Ernesto de la Serna Guevara detto El
Che (in quanto argentino, poiché quello è da sempre l’epiteto un po’
irridente con cui gli altri sudamericani indicano gli abitanti di quel paese a
causa di un loro tic dialettale) dettero a tutto il Sudamerica
(e non solo) un destino diverso il 26 luglio 1953, quando alla testa dei Barbudos assaltarono
la Caserma Moncada, dando il via alla Rivoluzione Cubana.
I Barbudos (di ispirazione comunista, un po’ come i Montoneros argentini
e i Sandinisti nicaraguensi) ritenevano che il destino di Cuba
fosse stato in realtà deviato dalla guerra ispano-americana del 1898. Lungi
dall’essere riconoscenti ai gringos per la fine della
dominazione coloniale spagnola, reagirono come i messicani, prendendo a
detestare las ombras del Norte, il gran male capitalistico che
stava arrivando dagli Stati Uniti d’America e che stava
sostituendo il dominio coloniale con un altro per loro ancora più odioso.
Negli anni Cinquanta, l’isola che i Conquistadores spagnoli
avevano battezzato Cuba era in pratica un enorme casinò ed un
altrettanto enorme bordello a cielo aperto gestito dalle componenti peggiori
del capitalismo nordamericano, che si possono definire con il nome sintetico ed
evocativo di Cosa Nostra. Fulgencio Batista era
uno dei tanti dittatorelli latino-americani che si erano sostituiti al gobierno
colonial del Rey de España con metodi più o meno sanguinari.
Il Sudamerica attendeva i suoi lider per sollevarsi,
e li trovò in Castro e Che Guevara. Il 1° gennaio 1959, quando el
Che sgominò l’ultima resistenza di Batista a Santa Clara,
militari e mafiosi dovettero abbandonare l’isola in fretta e furia. L’avvocato del
Foro dell’Havana si ritrovò capo del governo rivoluzionario. El Che diventò
una figura leggendaria, ritratto con il suo celebre basco di guerrillero
heroico sui poster che sempre più ragazzi in Occidente appendevano in
cameretta, man mano che si avvicinavano gli anni della contestazione.
Poteva essere l’inizio di una grande storia, ed in un certo qual modo
lo fu. Quella cubana fu l’unica rivoluzione popolare di ispirazione comunista
ad avere successo dopo quella bolscevica russa del 1917 (e
fino a quella sandinista del 1979 in Nicaragua). Allo stesso
modo di quella, fu costretta a dibattersi tra necessità di sopravvivenza
drammatiche sotto l’attacco della reazione e scontri
altrettanto drammatici tra personalità in cui l’ambizione finì per seppellire
ben presto le migliori ntenzioni.
La storia di Fidel Castro e dei suoi rapporti con gli U.S.A. è quella
di tante occasioni perse. Il governo americano di Eisenhower riconobbe
ufficialmente la nuova realtà cubana, ma lasciò in eredità alla successiva
amministrazione Kennedy lo sbarco disastroso alla Baia
dei Porci organizzato dalla C.I.A.. Esuli cubani,
fomentatori di professione, mercenari e agenti dei servizi segreti andarono a
morire sotto le mitraglie dei Barbudos, confezionando uno dei più
grossi disastri militari della storia, rovinando l’immagine internazionale
degli U.S.A. proprio mentre si accingevano a lanciare la corsa alla Nuova
Frontiera, e segnando per sempre il destino di un continente prima, di un
mondo poi.
Kennedy sarebbe stato forse l’uomo giusto per avviare con Cuba una
politica di buon vicinato. Ma la Baia dei Porci gettò i cubani nelle braccia
dell’Unione Sovietica e avviò forse il nuovo presidente americano
fin da subito sulla strada diretta a Dallas. Poco più di un anno
dopo la rivoluzione, Fidel Castro si proclamava leader comunista, stringeva
accordi con l’U.R.S.S. e portava la Guerra Fredda sull’orlo
della effettiva deflagrazione. Gli Yankees divennero nemici
dichiarati, i sovietici accompagnarono la loro amicizia con i missili che per
dodici giorni nel 1962 tennero il mondo sull’orlo della Terza (e ultima) Guerra
Mondiale. Kennedy e Krusciov videro la loro faticosa distensione avviarsi
allo sbriciolamento e le loro carriere e vite alla fine. Che Guevara
riprese il suo viaggio sudamericano, estremamente perplesso per la svolta che
avevano preso la rivoluzione cubana nonché i suoi rapporti personali con il lider
maximo. Anche la sua strada aveva già una destinazione finale, in Bolivia a La
Higuera. C’era anche una data, 9 ottobre 1967. E non si sopirono mai le
voci secondo cui di quella tragica destinazione se non progettista quantomeno
Fidel Castro fu benevolo osservatore.
Con Ernest Hemingway |
La rivoluzione che doveva liberare il popolo diventò una volta di più
il suo strumento efferato di tortura. Le carceri cubane presero a riempirsi di
dissidenti, i generi alimentari a scarseggiare sulle bancarelle dei mercati, il
pensiero e la parola a diventare merce sempre più pericolosa da scambiare
sull’isola. A Guantanamo, dove era nata una delle canciones
popular più celebri e struggenti del repertorio cubano, gli U.S.A.
mantenevano la loro base militare per una di quelle compravendite tra Stati che
andavano tanto di moda una volta, 2.000 dollari annui in cambio di 120 km quadrati
di territorio, su cui si insediarono nel 1903 i Marines. Di là dal
confine, la guarnigione sovietica (senza missili) che Gorbaciov avrebbe
ritirato soltanto nel 1991, a comunismo ormai morto e quasi sepolto.
Con Giovanni Paolo II |
Fidel Castro perse la seconda occasione con Bill Clinton,
a Guerra Fredda finita e con una nuova amministrazione americana più favorevole
di quelle di Reagan e Bush padre. Anziché cercare la fine delle sanzioni, del’embargo,
e una svolta liberista che in tutto il mondo post-comunista i nuovi governi
eletti si affrettavano ad intraprendere, preferì rimanere l’ultimo baluardo di
una ideologia che la storia aveva condannato senza appello, l’ultimo dittatore
che usava le patrie galere come strumento principale nei rapporti con
l’opposizione. L’ultimo dei non allineati che in realtà erano
stati allineati eccome. Tito e Indira Ghandi erano
scomparsi da tempo, lui era destinato a incontrare nientemeno che due Papi, Giovanni
Paolo II nel 1998 e Francesco nel 2015, ed un
presidente americano, Barack Obama nel 2016. Sempre se è vera
la versione ufficiale della sua scomparsa, il precedente di Breznev (tenuto
ibernato per due anni dopo la morte) qualche perplessità fatalmente la induce.
Fidel era in cattive condizioni di salute dal 2006 a seguito di una peritonite,
questo è l’unico dato certo. Il fratello Raul, uno degli ultimi superstiti come
lui di Moncada, aveva progressivamente preso in mano le redini della Repubblica
Socialista di Cuba, la cui costituzione e ragione sociale non sono mai
state mutate da quel 1960 in cui fu proclamato il partito unico.
Con Francesco |
Chissà se il lider è morto davvero l’altra notte, o
chissà quando. Sopravvivendo comunque anche troppo al secolo e alla ideologia
che l’aveva prodotto, e ritardando fino all’inverosimile l’ingresso della sua
isola nel mondo moderno. Da sanità e istruzione per tutti, a sanità e
istruzione che funzionano. Dal salario minimo al cibo su tutte le tavole. Alla
fine dei Balseros, i fuggiaschi sulle zattere che sfidano i 90 km
di oceano infestato da squali per raggiungere Key West in Florida,
rinnovando antiche epopee tragiche di boat people in fuga da
analoghi paradisi comunisti.
La fine di un’epoca, di un mondo. Quello dei dittatori e dei commandantes che
si vestivano sempre in mimetica. Quelli che in nome di una ideologia rossa o
nera tormentavano peggio di chi li aveva preceduti il popolo che li aveva
acclamati come veri libertadores, pentendosene un istante dopo.
Rossi o neri, perché gli estremi si toccano, ed è uno dei teoremi
infallibili che il ventesimo secolo ci ha lasciato in eredità, e la
cui dimostrazione Fidel Alejandro Castro Ruz porta con sé nella tomba. Il
ventunesimo secolo di lider maximi così non ne produce più.
C’è soltanto da sperare che continui.
I Balseros nel Mar dei Caraibi |
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