L’Italia nel 1971 era un
paese che viveva al buio. Non solo per la imminente crisi economica che avrebbe
posto fine al boom
degli anni sessanta e avrebbe
introdotto nel vocabolario degli italiani la parola austerity, ma anche e soprattutto per la recrudescenza delle
attività terroristiche. Gli opposti estremismi, la strategia della tensione ed
il debito di sangue pagato ad essi quasi quotidianamente da cittadini e forze
dell’ordine stava togliendo al paese molte delle recenti certezze acquisite.
Giovanni Leone |
E lo stava spingendo più o
meno consapevolmente a destra. In un quadro internazionale, del resto, che a
destra ci stava andando a causa della fine dell’epoca della distensione e della
Guerra del Vietnam. La Democrazia Cristiana, come già aveva fatto in passato,
spostava il suo baricentro interno a seconda degli umori del momento. Il pendolo
stava tornando verso il centro, se non verso destra. Le leadership di Fanfani e
Moro erano messe in discussione. Era il tempo di uomini per tutte le stagioni
(ma preferibilmente non troppo rosse) come gli Andreotti, i Rumor, i Leone.
Già, proprio lui, Giovanni
Leone si ritrovò sbalzato agli onori della cronaca e della politica al di là di
quelli che erano stati i propri meriti personali. Dopo due settimane e ventitre
votazioni senza esito DC e PSI dovettero rinunciare ai propri candidati di
bandiera contrapposti, Fanfani e De Martino, e ripiegare su un candidato che
urtasse il meno possibile le rispettive suscettibilità. Che fosse il più
incolore e istituzionale possibile.
Giovanni Leone veniva da
Napoli e dalla professione di avvocato, come Enrico De Nicola di cui era stato
tra l’altro allievo. Un uomo per tutte le stagioni, si è detto. Fascista quando
la tessera del PNF serviva per esercitare la professione, democristiano quando
essa fu sostituita da quella dello scudo crociato con scritto Libertas. Alla Costituente fece parte del "Comitato dei
Settantacinque", incaricati della redazione materiale del testo della
Costituzione.
Negli anni sessanta fu incaricato
di un paio di governi
balneari, l’espediente con cui si
trascorrevano i mesi intercorrenti tra una crisi di governo e la successiva
consultazione elettorale. Quando la DC chiamava, l’avvocato napoletano
rispondeva, salvo poi tornare nei ranghi in buon ordine. Quando la DC, nel dicembre
1971, disperata a causa del rischio di perdere la leadership dello schieramento politico di maggioranza lo chiamò,
Leone rispose subito. Fu eletto Presidente il giorno prima di Natale, da un Parlamento
ormai stremato da quella che a tutt’oggi resta la votazione più lunga della
storia repubblicana. Entrò in carica a capo di un paese ancora più stremato,
anche se i momenti peggiori erano di là da venire.
Le corna del Presidente rivolte ad un gruppo di manifestanti che lo contestavano |
Leone fu all’inizio un
presidente puntigliosamente formale, nel rispetto della lettera della carta
costituzionale. Questo formalismo nel sottolineare la sua indipendenza dai
partiti, compreso soprattutto quello da cui proveniva, gli tolse ben presto
simpatie in tutto l’arco costituzionale. E quando per lui vennero i momenti
difficili, nessuno alzò la voce a difenderlo.
Mentre il paese sprofondava
sempre di più negli Anni di Piombo ed il pendolo politico tornava ad oscillare
verso sinistra (nel 1976 il PCI raggiunse il suo massimo storico, arrivando
quasi ad eguagliare la DC), si diffuse la leggenda nera di un Presidente privo
di stile, una macchietta tratta dalla peggiore iconografia partenopea, capace
di fare le corna come un guitto qualsiasi di fronte a un corteo di studenti che
gli gridava contro slogan non certo benevoli. Ma
furono altre le voci che affossarono definitivamente la sua immagine. Lo
scandalo Lockeed scoppiato nel 1974, che vide incriminati ministri del governo
di allora per corruzione nell’acquisizione di aerei dall’industria americana
omonima, arrivò alla fine a coinvolgerlo.
Fu una delle inchieste all’italiana,
che non arrivano mai in fondo, ma grazie al lavoro di giornalisti coraggiosi
come Camilla Cederna, ai colleghi dell’Espresso ed al
Partito Radicale di Marco Pannella ed al Partito Comunista di Enrico Berlinguer
(per il quale allora la questione morale era un punto cardine), ci furono
presto ben pochi dubbi che l’Antelope Cobbler di
cui si parlava nelle carte dell’indagine altri non fosse che il capo dello
stato.
Seguirono le accuse di
malversazioni varie, tra cui quelle legate al tenore di vita eccessivo, e a
carico pubblico, della famiglia presidenziale. La famiglia Leone venne
descritta in vari pamphlet (tra cui il famoso “Giovanni Leone: la carriera di un
presidente” di Camilla Cederna) come una
torma di cavallette che costavano all’erario cifre già all’epoca esorbitanti.
Il Presidente chiese sostegno al suo partito, ed al governo l’autorizzazione a
difendersi in sede legale. Per tutta risposta, il Presidente del Consiglio
Andreotti gli negò tale autorizzazione e lo lasciò solo al centro della tempesta
politica. Nei primi mesi del 1978 Leone rimase incerto se presentare le dimissioni
anticipate, liberando la scena politica dalla sua presenza ormai discreditata.
La spinta decisiva gliela
dette il delitto Moro. Il paese sconvolto chiedeva una svolta. Gli Anni di
Piombo e della corruzione erano al culmine. Il 15 giugno 1978 Giovanni Leone annunciò
agli italiani le sue dimissioni, con sei mesi di anticipo rispetto alla
scadenza. A fine giugno, il Parlamento che si riunì in seduta comune doveva
dare una risposta agli italiani che andasse ben al di là dei soliti schemi
politici e della salvaguardia dei soliti equilibri. Serviva un uomo che per il
suo prestigio personale fosse capace di rilanciare l’immagine delle istituzioni
stesse, di disperdere la cappa di piombo che si era distesa sul paese con un
segnale di pulizia e di speranza. Per fortuna, quell’uomo c’era.
Sandro Pertini |
Dopo sedici scrutini a
vuoto, DC, PCI e PSI si misero d’accordo per una figura carismatica e rispettata
da tutti. Sandro Pertini, Sei condanne e due evasioni, era
la bandiera del Partito Socialista, della Resistenza al nazifascismo, delle
istituzioni repubblicane stesse. Mai un leader carismatico nel suo partito, ma
un uomo coraggioso e leale in tutto quello che aveva fatto. Ex Presidente della
Camera, fu eletto al Quirinale con quella che resta a tutt’oggi la più ampia
maggioranza nella storia italiana, 832 voti su 995. Il paese non tardò a
ringraziare. Con i suoi modi schietti ed il suo essere sempre e comunque dalla
parte della gente senza per questo sminuire le istituzioni di cui faceva parte,
lo resero subito quella figura paterna che tutta l’Italia cercava, nel buio di
quegli anni.
“Se non vuoi mai smarrire la
strada giusta, resta sempre a fianco della classe lavoratrice nei giorni di
sole e di tempesta”, fu uno dei suoi
primi discorsi in pubblico, all’Italsider di Savona, sua città natale. Sempre
dalla parte del popolo, sempre dalla parte delle istituzioni. Come mai nessuno
prima e dopo di lui. Nel 1979 fu il primo a dare l’incarico di governo ad un
non democristiano, il segretario socialista Craxi. E fu anche pronto a
rispedirlo a casa a cambiarsi, allorché gli si presentò davanti in jeans.
Sempre pronto ad accorrere,
a nome proprio e dello Stato, sul luogo dove qualcuno aveva sofferto o rimesso
la vita, divenne ben presto il “Presidente dei funerali”, il “Presidente che
baciava la bandiera”. Fu il Presidente più irrituale della Storia. L’unico di
cui gli italiani sentono a tutt’oggi il rimpianto e la mancanza. Più ancora
irrituale di lui fu la First Lady, sua moglie Carla Voltolina, ex partigiana a
sua volta, che rifiutò sempre di trasferirsi al Quirinale, luogo dove il suo
stesso marito si adattò a vivere con difficoltà, soltanto per rispetto alle
istituzioni.
Sull'aereo di ritorno da Madrid con la Coppa del Mondo, Zoff, Causio e Bearzot |
Fu il Presidente che passò
la notte al pozzo di Vermicino, rappresentando l’angoscia impotente di noi
tutti di fronte agli infruttuosi tentativi di salvare il piccolo Alfredo Rampi.
Fu il Presidente che urlò a nome di tutti noi al gol di Tardelli al Santiago
Bernabeu “è
fatta, non ci riprendono più!”. Fu il
Presidente che riportò a casa sul suo aereo, lo stesso su cui aveva giocato la
famosa partita a carte con Bearzot, Causio e Zoff, le spoglie mortali di Enrico
Berlinguer stroncato da un malore durante il suo ultimo comizio. Fu il
Presidente che seppe commemorare tutte le vittime della Mafia e del Terrorismo senza
dire mai una sola parola banale, facendo sentire per la prima e unica volta lo
Stato veramente vicino a famiglie sconvolte e cittadini affranti.
Fu il Presidente che quando
riconsegnò il potere nel 1985, oltre ad aver scritto l’ultimo leggendario
capitolo di una vita già leggendaria prima del Quirinale, non fu ringraziato
per aver salvato la Repubblica, la democrazia, l’Italia stessa, nel momento più
buio della sua storia. Ma la gente lo ringrazia ogni giorno, e lo rimpiange
ancora di più. C’è solo un Presidente. Il suo nome è, e sarà sempre, Sandro
Pertini.
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