La sua ultima apparizione pubblica era stata un tweet del 30 luglio. “Debbo
chiedere una pausa agli amici e ai follower. E' necessario un periodo di
riposo. EDN”.
Con la sobrietà e l’essenzialità che hanno contraddistinto tutta la
sua vita ed il suo insegnamento, Ennio Di Nolfo se n’è andato
pochi giorni dopo, il 7 settembre a Firenze, città che aveva eletto a sua
residenza dopo gli anni della Cesare Alfieri. Alla fine ha prevalso
la malattia con cui combatteva da tempo. Ma non ha vinto. Il prof. Di Nolfo si
è accomiatato dai suoi ex allievi, dai suoi estimatori e corrispondenti con
un’ultima lectio magistralis. Questo era il suo stile, così ce lo
ricorderemo sempre tutti. Insieme ad ogni parola delle sue tante lezioni, per
chi ha avuto la fortuna di seguirle.
Arrivai alla Cesare Alfieri nell’autunno del 1980. La Facoltà
di Scienze Politiche seconda solo per antichità e prestigio a quella
di Parigi stava vivendo – e facendo vivere alla città che l’ospitava – una
specie di secondo Rinascimento.
Gli anni di piombo volgevano al termine. Tra i ragazzi della mia
generazione c’era voglia di respirare finalmente un’aria nuova. Di trovare dei
“buoni maestri” che sostituissero quelli “cattivi” che avevano avvelenato il
decennio precedente e la nostra vita. Chi arrivava in Via Laura in
quei giorni con l’iscrizione alla Cesare Alfieri lo faceva con la trepidazione
di essere sul punto di assistere finalmente alle lezioni di docenti i cui nomi
circolavano già allora su un alone di leggenda.
Qui aveva insegnato Giovanni Spadolini, prima di essere
assorbito dal “mandato parlamentare”. Qui insegnavano Giorgio Spini, Silvano
Tosi, Antonio Cassese, per dirne solo alcuni, il meglio che “l’offerta
formativa universitaria” (come si usa dire oggi con una terminologia che i
nostri docenti di allora avrebbero sicuramente aborrito) proponesse a delle
giovani menti affamate com’eravamo, in cerca di nutrimento morale e culturale.
Qui era appena venuto ad insegnare lui, dopo gli anni della LUISS a
Roma, della cui facoltà di Scienze Politiche era stato preside a neanche
cinquant’anni.
Ennio Di Nolfo ci apparve a tutti in principio come una montagna
difficile da scalare. Alle sue lezioni c’era il tutto esaurito, non volava una
mosca e non si perdeva una parola. Le porte della storia del Novecento si
aprirono per ognuno di noi su orizzonti che non avevamo neanche sospettato
esistessero. La storia dei rapporti tra gli Stati, nella sua narrazione e nella
sua interpretazione, ci portarono a scoprire che la vita è una cosa più
complicata di quello che appare, ma nello stesso tempo anche più semplice per
chi la vuole analizzare con gli strumenti giusti.
Siamo tutti interdipendenti l’uno dall’altro. Il più forte come il
più debole. Questa era la sua lezione principale. Da qui derivava tutto il
resto. Ennio Di Nolfo ti faceva prendere a cuore la Storia delle
Relazioni Internazionali. Entrando nella sua aula non ci si sedeva per
assistere ad una lezione, ma per vedere scorrere le immagini di un film che non
ci aveva ancora proiettato nessuno, a noi che provenivamo da una scuola
superiore dove lo studio storiografico arrivava a malapena ad un Risorgimento
trattato di maniera.
Poi c’era l’esame. Personalmente, ci misi tre mesi a prepararlo.
Sospesa qualsiasi altra attività, didattica o ludica. In quei tre mesi, e non
ero il solo, non si faceva altro. In attesa di trovarsi davanti a lui, a
tentare di essere all’altezza di ciò che ci aveva insegnato. Con il timore di
incorrere negli strali di quell’ironia che – al pari della competenza e
dell’arguzia – aveva riservato a lezione ai personaggi ed alle situazioni
storiche trattati, e che adesso avevano come unico bersaglio possibile il
malcapitato ed eventualmente impreparato candidato.
Ricordo che ne ebbi per quaranta minuti, al termine dei quali
credetti di aver superato l’ordalia. Il professore mi passò agli assistenti,
dicendo loro che avevo fatto una “buona introduzione”. Uscii dall’aula
dell’esame due ore dopo. Stremato, ma al settimo cielo. Non ho più provato
nella mia vita successiva una soddisfazione personale come quella di aver
risposto alle domande del prof. Di Nolfo (e poi degli assistenti alle cui mani
mi aveva affidato perché completassero l’opera) senza che una sola volta egli
avesse a riprendermi o correggermi. Delle sue parole che avevano riempito così
tante delle mie mattine nella sua aula di lezione, tenendomi avvinto alla
sedia, non me n’ero persa neanche una, evidentemente. Non le ho dimenticate
più.
L’avevo ritrovato trent’anni dopo su Twitter, dove
ancora commentava con il suo stile essenziale e diretto al cuore dei problemi i
fatti della cronaca internazionale. Ricordo di aver pensato che tra tutti i social
network, proprio l’Uccellino era quello che si confaceva di più
al professore, per il quale tra l’altro gli anni sembravano non essere passati.
Lui che era sempre stato estremamente analitico, ma nello stesso tempo con il
dono della sintesi. A saperlo leggere, ascoltare, con una semplice frase ti
portava ancora a volgere la testa dalla parte giusta delle cose.
Al mio saluto, rispose ricordando “gli anni felici ma troppo
lontani” della Cesare Alfieri. E io mi scoprii a desiderare di poter tornare
almeno una volta in quell’aula dove lui ci parlava di Cavour e
di Eisenhower, di Stalin e di De Gasperi,
di Vittorio Emanuele II e dello Scià di Persia
rendendoceli tutti personaggi a portata di mano, comprensibili nei loro pregi e
difetti al pari di un qualunque altro conoscente.
E andato a riunirsi nuovamente con il suo Consiglio di Facoltà di
un’epoca ormai davvero troppo lontana. E leggendaria. Di quella Cesare Alfieri
non resta più nulla, se non una schiera di "figli" ormai dispersi ai
quattro angoli del mondo con in mano un diploma di laurea e tanti, tantissimi
ricordi felici.
Neppure di quella Firenze che il professor Di Nolfo aveva eletto a
sua ultima dimora – e di cui la Cesare Alfieri fu per una breve stagione negli
anni Ottanta l’ultimo capolavoro del Rinascimento – resta più nulla. Ma a chi
di noi capita di passare per una Via Laura ormai deserta, nella strada in cui
riecheggiano i nostri passi amplificati dal vuoto che regna ormai dentro e
fuori i palazzi risuona ancora la voce di alcuni professori che hanno fatto la
nostra storia personale, insieme a quella del paese. Risuona la voce di Ennio
Di Nolfo.
Le sia lieve la terra di questa città che purtroppo dimentica tante
cose, professore. Finché non verrà il tempo, come dice Guccini, in
faccia a tutto il mondo per rincontrarci. E sentirla di nuovo fermare quel
tempo. Per sempre.
Nessun commento:
Posta un commento