Era una delle
date che ci facevano imparare a memoria, quando andavamo a scuola.
Imprescindibili. I piccoli italiani del futuro quelle cose le dovevano sapere.
Quelle date racchiudevano in sé la storia della nostra patria, il processo di
formazione della nostra comunità nazionale. Della nostra stessa identità come
popolo.
4 ottobre San Francesco patrono
d’Italia. 12 ottobre, la Scoperta dell'America. 4 novembre la Vittoria
nella Grande Guerra. 11 febbraio il Concordato Stato-Chiesa. 25
aprile la Liberazione. 2 giugno la Repubblica.
La Breccia di Porta Pia, dipinto di Carlo Ademollo (1880 circa) |
E poi, o forse prima di tutte, c'era
quella di oggi. 20 settembre. La Breccia di Porta Pia. Roma
capitale. All’epoca in cui chi scrive andava a scuola, già non si festeggiava più. Era stata abolita come festività comandata all’epoca dei Patti
Lateranensi, quando la Chiesa aveva fatto pace con lo Stato. I
cattolici osservanti erano tantissimi in Italia, e Mussolini
aveva inteso guadagnarli definitivamente alla causa nazionale eliminando quello
che era stato il simbolo più vistoso di una frattura tra le due anime dei
cittadini italiani che era durata oltre sessant’anni.
Abolita nel 1930, noi cittadini in età da
scuola dell’obbligo non avremmo comunque potuto festeggiare la ricorrenza della
Breccia di Porta Pia. La scuola allora cominciava il 1° ottobre, San
Remigio, e fino alla riforma Falcucci del 1977
settembre sarebbe rimasto intatto come ultimo mese delle nostre vacanze.
Ma la corsa dei Bersaglieri
attraverso il varco aperto nelle mura papaline dalle cannonate del Luogotenente
Generale Raffaele Cadorna era una delle immagini più
vivide che venivano stampate nel nostro immaginario di bambini. Era la fine,
gloriosa, epica e inevitabilmente un po’ retorica, del Risorgimento
italiano. Mancavano solo Trento e Trieste, per la cui
commemorazione di lì a poco c’era un’altra data, il 4 novembre. Roma capitale
era il compimento del nostro destino. Il coronamento della nostra grande storia.
«La nostra stella, o Signori, ve lo
dichiaro apertamente, è di fare che la città eterna, sulla quale 25 secoli
hanno accumulato ogni genere di gloria, diventi la splendida capitale del Regno
italico». Con queste parole Camillo Benso Conte di Cavour,
uno degli artefici principali di quel nostro Risorgimento di cui
sentivamo rievocare battaglie e gesti eroici sui banchi di scuola, aveva
lasciato in eredità alla generazione successiva dei ministri del Regno il
compimento della sua opera. L’impresa finale.
G. Altobelli - Ricostruzione della Breccia di Porta Pia - 1870 - fotografia - Istituto per la Storia del Risorgimento - Roma |
Strappare Roma al governo del Papa
era più duro che strappare il Norditalia all’Austria. Lo Stato della
Chiesa era protetto dalle armi dei francesi di Napoleone III.
Quando il Secondo Impero bonapartista trovò il suo destino a Sedan sotto le
cannonate prussiane, il governo di Sua Maestà Vittorio Emanuele II
presieduto da Giovanni Lanza (l’uomo che aveva già spostato la
capitale del Regno da Torino a Firenze) vide la sua occasione e la prese.
La mattina del 20 settembre 1870 i
Bersaglieri entrarono a Roma da Via Nomentana attraverso la Breccia di Porta
Pia. E soprattutto entrarono nell’iconografia ufficiale del Risorgimento che
arrivavano – di corsa, come loro costume – a completare. Nel film epico che
raccontò da allora in poi a generazioni di bambini dal grembiulino nero e
bambine dal grembiulino bianco i valori fondanti e la storia di quella nazione
che li aveva generati.
Ancora cento anni dopo l’Unità
d’Italia rispetto a cui quel 20 settembre furono scritte le parole missione
compiuta, il film era quello e noi lo vedevamo ripetersi ogni giorno, nei
nostri banchi di scuola.
Era una
religione laica, con tanto di precetti e di simboli. La bandiera dei
tre colori, la foto del Presidente della Repubblica sopra la cattedra
del maestro. Le foto dei Bersaglieri a Porta Pia, dei Mille a
Quarto, di Garibaldi e Re Vittorio Emanuele a Teano, la
riproduzione fotostatica del Bollettino della Vittoria a firma
del Gen. Armando Diaz, quella delle parole del Canto
degli Italiani, l’Inno di Mameli. Queste icone
tappezzavano le mura delle nostre scuole. Questo era ciò che ci veniva
insegnato ogni giorno, perché un giorno noi lo insegnassimo ad altri.
Il 20 settembre non era più in rosso, nel
calendario. Ma lo festeggiavano tutti, dalla Vetta d’Italia a Pachino. Dall’11
febbraio 1929, religione laica e religione cattolica si erano riconciliate. Al
calendario degli scolari e dei cittadini si era aggiunta una festa in più, e
sul muro delle aule scolastiche si era aggiunto il Crocifisso. I cattolici
avevano potuto diventare cittadini a tutti gli effetti, e pazienza se in quel
momento quel loro nuovo status non prevedeva un diritto di voto
effettivo. Per quello, ci sarebbe stato bisogno di aggiungere una nuova data
ancora al nostro calendario. Verso la fine dell’anno scolastico, il 25 aprile,
quando già noi scolari respiravamo nell’aria il profumo inebriante di una nuova
estate.
Era un mondo sicuramente più ingenuo. Più
retorico nel celebrare i suoi valori. Tutto sommato era un mondo più semplice,
per viverci, perché quei suoi valori erano chiari. E non c’era bambino che,
quando arrivava di nuovo quel giorno lì, non sognasse di essere in divisa da
Bersagliere e di correre attraverso le mura abbattute a cannonate nei pressi di
Porta Pia. Verso Roma. Verso la Capitale. Verso il Risorgimento.
Porta Pia oggi |
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