Le dichiarazioni
dell’ambasciatore americano a Roma circa le conseguenze per gli italiani di una
vittoria del NO al prossimo referendum sulle riforme
costituzionali sembrano fatte apposta per rinfocolare vecchie polemiche e per
rimettere sale su vecchie ferite non rimarginate.
John Philips, ambasciatore americano a Roma |
A due mesi dalla scadenza del suo
mandato, Barack Obama non smentisce la pessima impronta data
alla sua amministrazione esponendosi di nuovo con prese di posizione che oltre
ad essere impopolari comunque e da qualunque parte le si valutino è lecito
dubitare che siano per lo meno produttive. Per gli stessi Stati Uniti
e per il resto del mondo.
Dopo otto anni di amministrazione Obama,
sarebbe facile fare il conto degli amici persi e delle posizioni di vantaggio
non mantenute per tutti quei paesi, non solo gli U.S.A. che
comunque tra due mesi hanno l’occasione di voltare comunque pagina, che fanno
capo al Trattato del Nord Atlantico stipulato nel 1949. A tutt’oggi l’unica
organizzazione effettiva – molto più in ogni caso delle Nazioni Unite
– che abbia trattenuto il mondo dal precipitare più volte in un nuovo baratro.
L’ambasciatore Philips parla per conto di
un datore di lavoro in scadenza. Tra due mesi la politica estera americana
potrebbe essere completamente ripensata, rielaborata. Sicuramente nel caso
della vittoria di Donald Trump, ma anche probabilmente anche
in quello di un successo di Hillary Clinton, che non può non
essersi resa conto di certi guasti e di tante sconfitte ottenuti e messi in
fila da colui che le passerebbe il testimone e nella cui amministrazione lei
stessa ha lavorato.
Philips con Renzi, ai tempi in cui era Sindaco di Firenze |
John Philips quindi è un
burocrate con l’istruzione di lasciar partire un ultimo colpo di coda. Le
reazioni suscitate in casa nostra da quel suo minacciare un rischio per gli investimenti
stranieri in Italia, comunque, non sono meno fuori luogo. Sono due mondi,
due schieramenti invecchiati che si confrontano su un palcoscenico che nel
frattempo gli operai stanno smontando, per allestire nuove scenografie.
Lo scenario che tenta di non essere
abbattuto è quello determinato da abitudini culturali maturate in settant’anni
e più. Da una parte gli U.S.A., emersi vincitori dalla Seconda Guerra
Mondiale e capofila dello schieramento che poco dopo si apprestava in
Occidente a combattere la Terza. La grande vittoria e la grande responsabilità
catapultarono un paese che forse in quanto a maturità politica e a
consapevolezza strategica non aveva fatto ancora tutto il necessario percorso
su quel palcoscenico dove invece sarebbe stata richiesta abilità pari alle
risorse che aveva da mettere in campo.
In altre parole, le intenzioni erano
buone, il fine giustificava i mezzi più che abbondantemente, ma le
amministrazioni U.S.A. che si successero dal 1949 in poi scontarono
inevitabilmente una certa rozzezza psicologica e culturale e una rigidezza
eccessiva di stampo puritano con le quali più di una volta
mortificarono e depressero senza motivo alleati almeno in maggioranza ben
disposti nei confronti loro e dei valori che difendevano.
Dall’altro canto, l’approccio comunista
ai problemi del dopoguerra costituì una lente di distorsione determinante per
tutta quella parte di opinione pubblica che ereditò il 25 aprile del 1945 dal
fascismo l’odio ed il revanchismo frustrato nei confronti del mondo
anglosassone. Come abbiamo scritto più volte, molti cambiarono soltanto la
camicia da nera a rossa, mentre il bagaglio culturale post fascista e proto
comunista rimase lo stesso.
Così, gli Stati uniti d’America
divennero una specie di Grande Satana nostrano a prescindere per tutti
coloro che non si posizionavano, diciamo così, politicamente nell’area di
governo. Ed i paesi alleati divennero in questo immaginario tanti Cile,
i loro governi tanti Pinochet, noialtri tanti grandi e piccoli
Salvador Allende.
De Gasperi parla a Parigi prima della firma del trattato di pace, 1947 |
Non c’era possibilità di dialogo tra
questi schieramenti. Solo, prima o poi, di superamento. Ci sta provando
faticosamente la Terza Repubblica di cui si discute, spesso impropriamente,
anche al prossimo referendum, a superare questo passato che ormai cammina come
un morto. Con molte battute d’arresto. Ad un John Philips che agita lo
spauracchio degli investimenti stranieri in fuga così come settant’anni fa i
suoi predecessori parlavano di bambini mangiati dai comunisti, rispondono
personaggi altrettanto improbabili.
Luigi Di Maio, come se
in questi giorni non ne avesse abbastanza in quel di Roma, fa ridere il web
paragonando Matteo Renzi ad Augusto Pinochet e collocando il
tutto per di più non in Cile ma in Venezuela. Come dire, so tutto anche se non
ho studiato nulla. Anche se non ero neanche nato.
Poi c’è Pierluigi Bersani,
che ormai non è più nemmeno veterocomunista, ma soltanto vetero -
se stesso. Sbotta come Peppone di Guareschi:
«Per chi ci prendono?»
La risposta che salirebbe alle labbra
sarebbe poco gratificante, per lui e per noi tutti: per dei cretini che siamo,
a mantenere una classe politica come questa.
Proviamo invece una risposta più
articolata, al vecchio arnese della Cosa Rossa e ai tanti che
brancolano nel buio ideologico delle varie zone d’ombra che la crisi del
sistema dei partiti ha lasciato dietro di sé.
Hillary Clinton e Barack Obama |
Abbiamo seppellito pochi giorni fa Ennio
Di Nolfo. Il professore emerito non ci manca mai tanto quanto
in questi casi. Quando ci avrebbe spiegato – così come faceva tanti anni fa
allorché da ragazzi frequentavamo le sue splendide lezioni – che un sistema
si chiama appunto sistema perché tutte le sue componenti, dalle più
grosse, importanti e potenti a quelle apparentemente meno significative e
influenti, dipendono l’una dall’altra senza possibilità di sottrarsi a questa interdipendenza.
A pena del caos, irreparabile.
Perché un sistema internazionale
funzioni, ci vuole la superpotenza (gli U.S.A.) ma ci vuole anche la periferia
dell’Impero (l’Italia, in questo caso). E il sistema deve funzionare in
qualche misura e modo per tutte e due. Ciò lascia spazio tra l’altro per una
componente di secondo piano quale può essere il nostro paese per avere dei
margini di tornaconto su cui giocare, degli obbiettivi grandi o piccoli da conseguire.
Qualcosa da portare a casa, insomma.
A condizione di avere una classe politica
adeguata. Si può e si deve convenire che negli ultimi dieci anni, per stare
all’attualità, una simile classe politica non ce l’hanno avuta gli U.S.A. ma
non ce l’abbiamo avuta soprattutto noi.
Siamo il paese che ha perso
ignominiosamente l’ultima guerra combattuta sul suolo europeo, risolta da una
potenza extracontinentale che come prezzo per averci liberati da noi stessi ha
preteso (tutto sommato accontentandosi di un buon mercato) porzioni di
territorio che una volta era nazionale, nostro, e porzioni della nostra
sovranità politica. Quello eravamo e quello siamo rimasti.
Luigi Di Maio |
Alla luce di questa considerazione
storica, di questo dato incontrovertibile, si possono liquidare senza
approfondimento tutte le sciocchezze che invece provengono dal centrodestra, da
Altero Matteoli, a Renato Brunetta a Maurizio
Gasparri e così via. Lasciamo perdere – è il caso di dire - la Costituzione,
che tra l’altro non si sa più bene nemmeno qual è, di sicuro non quella che si
riscopre soltanto quando fa comodo.
Non siamo in grado verosimilmente di
mutare lo stato di cose, l’assetto politico internazionale. E a ben guardare, è
da chiedersi se comunque varrebbe la pena di farlo, viste le alternative a
disposizione adesso come settant’anni fa.
Forse vale la pena sopportare le
esternazioni del burocrate Philips, che comunque tra due mesi torna a casa sua,
senza aggiungere sciocchezze a sciocchezze esacerbando un clima che per motivi
storici e caratteriali, anche e soprattutto nostri, è sempre comunque sospeso
sopra una fiamma del gas moderata ma costante.
Tra due mesi, comunque vada, si parlerà
di altre cose. E chissà che scenario avranno allestito gli operai al lavoro sul
palcoscenico, con Bersani, Di Maio, Brunetta, Gasparri, Philips e quant’altri
nel mezzo ad intralciarli con le loro sciocchezze ed i loro movimenti scomposti.
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