Alla fine, tanti hanno imparato a rispettare il minuto di silenzio
negli stadi in occasione di disgrazie. Almeno per un minuto, riescono a tenere
al guinzaglio quei pochi neuroni scomposti di cui Madre Natura li ha dotati. La
Campana dell’11 Settembre no. Quella proprio non ce la fanno a rispettarla.
Oggi, anzi, è il giorno in cui l’antiamericanismo più feroce ritorna
fuori. Perché sa di avere più di tremila tombe su cui danzare compiaciuto. E
quei neuroni da stadio che in altre circostanze scalpitano perché costretti a
stare a freno, oggi possono scatenarsi liberamente, magari con il beneplacito
di una buona parte dell’establishment e della cosiddetta cultura ufficiale.
Sul complottismo, non vale la pena di dire più nulla. L’ipotesi delle
Torri Gemelle implose su cariche di tritolo messe dalla C.I.A. sta alla realtà
come quella di una base aliena sul lato nascosto della Luna sta alla scienza.
Il complottismo è una condizione dell’essere, un disturbo della personalità,
purtroppo incurabile. Ogni generazione ha la sua epidemia, da Pearl Harbor alle
Twin Towers, passando per l’Area 51. La storia non la studia più nessuno, ma
tanti si sentono autorizzati ad arricchirla delle loro sciocchezze.
Sull’antiamericanismo, invece, c’è sempre tanto da dire. Perché anch’esso
forse è un male incurabile della nostra società, e di gran lunga più dannoso. E’
un fenomeno nato durante il fascismo, e dal fascismo è travasato nel comunismo
e nella cultura di sinistra del dopoguerra. L’Italia è una repubblica fondata
sull’antiamericanismo, e pazienza se grazie agli americani è diventata
repubblica e come tale è ancora viva.
Si è antiamericani come si è antiisraeliani. Fa parte dell’armamentario
ideologico passato dai boia chi molla
ai compagni. Ogni volta che salta in
aria un americano, così come un ebreo, non c’è niente da fare, c’è chi proprio
non riesce a trattenere le proprie grida di gioia, manco fosse il più sfegatato
dei mullah.
Il prof. Di Nolfo recentemente scomparso insegnava a noi studenti che
nei rapporti tra le nazioni è utopistico, irrealistico pensare di non
appartenere ad un qualunque sistema. Essere assolutamente indipendenti. Vale
per la superpotenza come per la periferia dell’Impero. A noi come
sistema toccò in sorte il Trattato del Nord Atlantico, l’ombrello atomico
americano. Poteva – a parere di chi scrive – andare assai peggio in qualunque altra
alternativa. Con buona pace dei fascisti sconfitti e rancorosi, e dei comunisti
impotenti ed altrettanto rancorosi, giacché una elezione con metodi legali non
l’hanno mai vinta nemmeno a livello di condominio.
Sono veleni che restano in circolo nel nostro corpo sociale. Per questo
anche oggi ci sarà chi rompe il minuto di silenzio per urlare con voce
stentorea (sui social network che, come diceva Umberto Eco, altro maitre à penser recentemente scomparso,
offrono sempre opportuna cassa di risonanza all’imbecillità) che “gli sta bene
a quei figli di p…… degli americani”.
Chi dice queste cose è l’ultima persona al mondo a sapere di chi è
figlio. E magari si picca anche di conoscere bene gli U.S.A. e i gringos (come ho letto stamattina).
E allora, dato che il minuto di silenzio è rotto comunque, vale la
pena aggiungere una volta di più la propria voce. Per dire una volta di più che……..
L’America era allora, per me provincia dolce, mondo di pace…… Anche
senza la canzone di Guccini, Amerigo,
che è il capolavoro assoluto dell’epopea del sogno americano vissuto dagli
europei, chi sa un po’ di storia sa cos’è stata ed è per tutti noi l’America.
Per mio nonno e mio padre fu la fine delle Brigate Nere che
scorrazzavano per la città rastrellando uomini da deportare nei campi di
concentramento nazisti, ebrei da avviare al gas, partigiani da fucilare senza
processo e previa tortura. E per tanti la possibilità di emigrare in cerca di
vita, più che di una nuova vita. Giacché qui a casa nostra ce l’eravamo
distrutta con le nostre mani.
Per me, fin dalla nascita, fu tutto questo e quant’altro usciva dai
loro racconti, quando avevano voglia di raccontare. La Quinta Armata, che volle dire la fine della guerra e il ritorno del
cibo sulle tavole, senza dover affrontare la traversata clandestina delle linee
nemiche ed il mercato nero degli approfittatori postfascisti e protocomunisti.
I Blue Devils che avevano difeso Trieste
ed il confine nordest da Tito e dagli jugoslavi assassini. Le croci bianche senza nome allineate a Falciani, al Giogo e negli altri cimiteri di guerra
americani disseminati per la Toscana e l’Italia.
Poi, e da lì in avanti vissi tutto in prima persona, erano i ragazzi
che venivano a studiare in Italia ospiti delle nostre famiglie, per allungare l’università
e sfuggire alla leva obbligatoria. Che allora significava Vietnam. Erano i
ragazzi, bianchi e neri senza distinzione, che raccontavano di essere andati
insieme a prendersi le legnate dalla Guardia Nazionale in occasione delle marce
per la pace e per i diritti civili di chi ancora non li aveva. Erano quelli che
i miei avevano visto piangere alla televisione la sera che fu ucciso il
presidente Kennedy, e che io vidi piangere il giorno che furono uccisi il
fratello Bob e Martin Luther King.
Era Mohamed Alì Cassius Clay che rifiutava la bandiera americana e
finiva per onorarla come pochi altri. Erano Bob Dylan, Joan Baez e Mario Cuomo
che riabilitavano Rubin Hurricane Carter
e Sacco e Vanzetti.
E poi, una lunga lista di storie e personaggi controversi. Ma forse a
quel punto i controversi eravamo tornati ad essere noi, troppo pasciuti da
quarant’anni di benessere e sicurezza made in U.S.A. E come sempre ingrati come
solo gli italiani, quando ci si mettono, sanno essere.
E così, tutti volevano la fine del terrore della Guerra Fredda, ma tanti sfotterono Ronald Reagan come mediocre
attore, un guitto prestato alla politica, quando invece fu lui a porre fine a
quel terrore. Tutti sfotterono anche Bill Clinton per i suoi rapporti impropri
con la Lewinski, ma nessuno ricorda che se i nostri dirimpettai slavi non si
sono sterminati a vicenda fu grazie a lui, che nei ritagli di tempo mandò la
flotta a bombardare Belgrado e a farle smettere il genocidio. E pazienza se i
serbi non se ne fanno una ragione. Nell’Adriatico c’è l’uranio impoverito, è
vero, e quelle bombe partivano da Aviano, Marina di Grosseto, Napoli. Dall’altra parte
dell’Adriatico ci sono Srebrenica, Sarajevo, le fosse comuni della pulizia
etnica. Tutti volevano la fine delle stragi, nessuno ha mai ringraziato gli
U.S.A. che la imposero, costringendo anche noi a partecipare invece di stare
come al solito a guardare, e criticare, come i vecchi che osservano gli scavi
dei lavori pubblici urbani.
E poi ancora, le guerre del Golfo. Maledetto sia il nome dei Bush, d’accordo.
Ma per favore non riabilitiamo Saddam Hussein, come siamo andati vicini a fare
per Milosevic. E smettiamola di parteggiare per i democratici a prescindere.
Obama è stato un disastro, la Clinton sarebbe stata ancora peggio. Nel frattempo
abbiamo perso la Russia, stiamo perdendo la Turchia, e questi Stati Uniti che
ci stanno tanto di traverso sullo stomaco sono, come settant’anni fa, tutto ciò
che ci rimane per sopravvivere.
Noi abbiamo bisogno degli Stati
Uniti d’America. Noi siamo gli Stati Uniti d’America.
Ci vediamo l’anno prossimo. Con gli stessi discorsi.
bravissimo Simone! concordo in "toto"
RispondiEliminaGrazie Marilena
RispondiEliminaGrazie Marilena
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