Non passa quasi giorno senza che
si debba aggiornare il conto dei morti. E che soprattutto, come se non bastasse
il peso sullo stomaco, qualche intellettuale di sinistra ci aggravi lo
sconforto con l’ormai consueto pistolotto a proposito dei morti di serie A e morti
di serie B. Ultimo in ordine di tempo l’ineffabile Michele Serra.
E dire che una volta, mi piaceva,
ma era il tempo in cui si limitava a cazzeggiare con il suo talento di
scrittore, limitandosi alle parodie letterarie di 44 falsi o al Giro d’Italia marittimo sponsorizzato e lautamente rimborsato dalla FIAT, a bordo della Uno. Poi
cominciò a fare quello che fanno tutti, l’intellettuale radical chic, l’enfant
prodige di quel verminaio di nullafacenti spacciato per giornalisti che è
Repubblica.
Eccolo qua, a poche ore dall’attentato
di Lahore che ha aggiunto 70 vittime e passa in una botta sola al conto del
macellaio, lanciarsi nell’ennesimo pippone sull’Occidente che si preoccupa
soltanto dei propri morti, e ignora e disprezza quelli altrui. Parigi e
Bruxelles valgono bene le nostre lacrime e le nostre candele. Istanbul, Ankara,
Baghdad e Lahore – dice lui – no, perché come abbiamo ampiamente dimostrato fin
dalla guerra in Jugoslavia (altro luogo comune della sinistra di lotta e di
governo) a noi dei morti musulmani e terzomondisti non ce ne po’ frega’ de
meno.
Confutare le tesi di un imbecille
è un esercizio difficile quanto vano, come spiegava Oscar Wilde. Mettersi a
discutere con uno della levatura mentale di Michele Serra è rischioso, la gente
potrebbe non distinguere tra voi e lui. Tra un cretino di sinistra e uno che
non è né di sinistra né di destra, ma cerca solo di ragionare con la propria
testa e sentire con il proprio cuore, che com’è noto tende a sinistra ma solo
per un fatto di conformazione fisica.
Qualcuno spieghi a quel cretino e
a tutti coloro che lo leggono estasiati, che la gente si addolora e si indigna
per tutti i morti, ma che non ci può fare più nulla. I nostri governi sono
sfuggiti ormai da tempo al controllo. Così come la situazione in Medio oriente,
e non solo. Semmai, è naturale – siamo esseri umani – che se scoppia il palazzo
accanto, invece di uno a 5.000 chilometri, ci fa più impressione perché è a due
passi da casa nostra e sentiamo meglio il botto. Ciò non vuol dire che di cosa
succede più in là non ci freghi nulla.
E’ che ormai è troppo, seguire il
TG è diventata una angoscia senza fine e senza scopo. Tanto nessuno di noi può
influire su quegli eventi. Siamo governati, qui in Italia, da cinque anni a
questa parte da governi che nessuno ha votato o eletto. Figuriamoci se stanno a
sentire cosa dice e vuole la gente.
Semmai, la gente non è detto che
voglia e dica quello che pretende la sinistra. Semmai, Parigi ci fa un
capellino più effetto di qualunque altro posto perché se questi intellettuali
radical chic avessero studiato qualcosa a scuola ricorderebbero che tra tutte
le città del mondo la capitale francese ha una valenza simbolica del tutto
particolare. Simboleggia come nessun’altra la nostra civiltà. Quella a cui, con
sommo dispiacere di una sinistra che ormai aspira solo ad un “cupio dissolvi”
nel meticciato, continuiamo – malgrado tutto, ma soprattutto una spaventosa
ignoranza di ritorno – a tenere come a qualcosa di prezioso.
Detto questo, i morti son tutti
uguali, almeno quelli che subiscono la morte, non – mi dispiace, anime belle –
quei bastardi fottuti che la morte la impongono fasciandosi di esplosivo
(perché un bischero vestito da cammelliere ha promesso loro che scoperanno
finalmente ben 72 donne vergini tutte insieme). Quelli vanno solo combattuti
con le loro stesse armi. Come fa la Russia, che non è più l’Impero del Male, ma
l’unico paese che ha capito cosa c’è in gioco e come giocarselo.
I morti, caro Michele Serra dei
miei stivali, erano tutti uguali anche in Jugoslavia tra il 1990 ed il 1999,
quando la sinistra di cui fai parte rompeva i coglioni perché si facesse
qualcosa per fermare la pulizia etnica ed i genocidi, salvo non farsi mai
andare bene niente. E quando il governo D’Alema fece l’unica cosa positiva
della sua scellerata esistenza acconsentendo a mettere a disposizione degli
Americani il proprio territorio perché qualcuno andasse a fermare i Milosevic,
i Karadzic, erano proprio i Michele Serra di questo disgraziato paese a
frignare che eravamo “cattivi”, sia per l’ingerenza negli affari di uno stato
sovrano sia per l’acquiescienza al volere dei biechi Stati Uniti. Ho smesso di
leggerti allora, maledetto idiota di un imbrattacarte che ti spacci per
giornalista.
Mi scuso per lo sfogo, ma non ne
posso più. Della sinistra e dei suoi piagnistei, come quelli della sig.ra
Mogherini (bel messaggio all’Isis!). Dei discorsi senza senso di chi se ne sta
a far finta di fare un mestiere che almeno in Italia non è più un mestiere.
Quello del giornalista, ridotto ormai a velinaro che lega l’asino dove vuole il
padrone, o il partito. Rincorrendo i gusti peggiori tra l’altro di un pubblico
che grazie anche a lui sta tornando a livelli di ignoranza che credevamo
superati. “Pare che non ci siano italiani coinvolti”. E siamo a posto. Poi la
colpa è di quelli che leggono. E non si indignano come il Serra vorrebbe.
Ieri sera, mentre mi frullava dentro la rabbia
per l’editoriale di quell’omino che una volta scriveva parodie e ora invece le
sue sciocchezze le scrive sul serio, è ripassato in televisione quel capolavoro
che è I tre giorni del Condor. E me lo sono rivisto, sapendo che per la
millesima volta mi sarei incantato sulle scene finali, paradigmatiche del
nostro tempo e del nostro mondo. Il film di Sidney Pollack fu il primo che mostrò, insieme ai
libri di John Le Carré, come funzionano veramente i servizi segreti. E perché
funzionano così.
Nella scena finale, che vale da
sola più di buona parte del cinema e della letteratura contemporanei, un
indignato Robert Redford – il Condor sopravvissuto a stento a tre giorni in cui
la C.I.A. “deviata” (ma non troppo) ha cercato di eliminarlo – sbatte in faccia
al suo capo la sua verità. Il capo Higgins – interpretato da un altrettanto magistrale
Cliff Robertson – gli risponde per le rime: “Facciamo quello che la gente vuole
che noi facciamo. Gente abituata da troppo tempo ad avere tutto. Gente a cui
non interessa qual è il prezzo che c’è da pagare, e chi lo paga”.
Il cuore a quel punto se ne va via con Robert
Redford in fuga. La testa rimane a rimuginare le parole di Higgins. Vorrei
vedere le anime belle come Michele Serra a ritrovarsi senza mangiare o senza
benzina per la propria macchina (che non è sicuramente più la modesta Uno con
cui scorrazzava per l’Italia spesato dalla FIAT). Lo vorrei proprio vedere per
cosa si indignerebbe, lui e tutto il sinistrame che gli va dietro plaudente.
Al prossimo attentato, ed alle
immancabili istruzioni per l’uso.