«Abbiamo evitato l’approvazione
di una legge contro natura». Così Angelino Alfano subito dopo il voto del Senato
alla legge sulle unioni civili che era entrata in aula come proposta Cirinnà e
che alla fine ne esce senza che nessuno sappia più come chiamarla, a
prescindere da come la pensi.
Sempre a prescindere, è una delle
pagine più nere della storia civile d’Italia. La frase infelice del
vicepresidente del consiglio riporta alla mente epoche oscure che si credevano
ormai superate. E’ forse questo – più del voto decisivo di Verdini e dei verdiniani
che apre ufficialmente la crisi del partito democratico – l’aspetto peggiore di
tutta la questione, da qualunque prospettiva la si guardi.
Bisogna risalire probabilmente al
pontificato di quel papa Pio XII di cui ricorre oggi l’ascesa al Sacro Soglio pontificio
per trovare esempi di consapevole discriminazione di orientamento sessuale da
parte di un esponente della compagine governativa italiana. Erano altri tempi,
un’altra società. Il cardinale romano Eugenio Pacelli era diventato successore
di Pietro il 2 marzo 1939,
in un momento in cui sembrava che Nazismo e Comunismo
avrebbero fatto a gara per spazzare via il mondo.
L’Ultimo dei Papa Re aveva
regnato su una Chiesa Cattolica a cui la società non riconosceva più alcun
potere temporale, ma ancora tutto quello spirituale, compreso di stabilire cosa
era secondo natura e cosa contro. Lo Stato italiano, pur nella forma
repubblicana, era ancora quello dei Patti Lateranensi e obbediva
ossequiosamente. Roma era città sacra, per dirne una, e non si poteva affiggere
manifesto pubblicitario o proiettare film contrari alla pubblica morale: quella
stabilita da una censura che più che dal Viminale prendeva istruzioni e
direttive direttamente Oltretevere.
Di tutto questo credevamo di
esserci liberati – come collettività – dopo il Concilio vaticano II e la
liberalizzazione della nostra società dal punto di vista non soltanto sessuale,
ma più in generale laico operata dagli anni sessanta in poi da una componente
riformatrice (Partito Radicale in primis, ma non soltanto) che aveva cominciato
in sordina, tra gli strali e gli sberleffi della classe dominante e della
suddetta morale comune ma che poi aveva finito per ingrossare fino a diventare
un’onda oceanica. Uno tsunami che aveva adeguato le nostre istituzioni a quelle
del resto d’Europa.
Restava indietro per l’appunto il
Diritto di Famiglia, e scusate se è poco, visto che a norma della nostra
laicissima Costituzione la famiglia è tutt’ora la base irrinunciabile della
nostra convivenza civile. Più difficile stabilire che cos’è famiglia e come
gestirla. La materia era stata fatta oggetto di significative riforme: una nel
1975 aveva finalmente recepito e sistematizzato il quadro normativo “sconvolto”
dalla legge Fortuna – Baslini e dal referendum abrogativo che aveva mantenuto
nel nostro ordinamento il divorzio a seguito del celebre e storico NO, l’altra
nel 1987 aveva introdotto importanti innovazioni – per l’epoca – soprattutto in
materia di minori e loro tutela.
Dopo quasi trent’anni, alzi la
mano chi può dire che il mondo in cui viviamo, perfino nella nostra arretrata
Italia, ha ancora qualche parentela con quello del 1987. Serviva una nuova
legge quadro per il diritto di famiglia che fosse frutto magari della
elaborazione più serena possibile da parte di componenti sociali e loro
rappresentanze con l’ausilio di addetti ai lavori. Così come Gino Giugni aveva
firmato lo Statuto dei Lavoratori, Franco Basaglia la riforma degli istituti
psichiatrici, Franco Bassanini la riforma della pubblica amministrazione e via
dicendo, serviva una personalità che – a differenza di quanto è stata
oggettivamente in grado di fare la pasionaria Monica Cirinnà – raccogliesse le
istanze della società civile e desse loro “sistema”.
Niente di tutto ciò. Lo scontro
frontale che si è creato fin da subito tra fautori delle unioni e delle
adozioni gay (come se tutto il resto della società italiana, la componente peraltro
maggioritaria, non fosse interessata o addirittura afflitta da problematiche
analoghe) e fautori della “legge naturale” secondo la vulgata vaticana ha
privato il nostro paese dell’opportunità di mettersi al pari con l’Unione
Europea in uno dei settori onestamente più delicati della legislazione e del
codice civile.
Sinistra oltranzista e destra
clericale l’hanno fatta spesso da prepotenti padroni nelle nostre dinamiche
societarie. Ma francamente non immaginavamo di trovarci nel 2016 ad assistere
allo spettacolo di una pessima legge approvata per di più a brandelli e da
maggioranze innominabili, mentre da un lato i facinorosi filo-Cirinnà
maledicono tutto e tutti (compresi eterosessuali e minorenni che avrebbero
beneficiato solo in parte di un disegno di legge cervellotico e astruso) e
promettono vendette come il truce Suyodhana capo dei Thughs nei Misteri della
Jungla Nera di salgari, mentre dall’altra i vandeani di Alfano inneggiano a un
diritto naturale che sembra francamente quello in nome del quale fu bruciato
sul rogo a Campo de’ Fiori Giordano Bruno, sempre per restare in tema di
ricorrenze.
La frase di Alfano è brutta, che
più brutta non si può. Ma più brutto ancora è il fatto che in questa vicenda
politica nessuno si preoccupi del consumatore finale della norma prodotta: il
cittadino. Che avrebbe bisogno di sapere come regolarsi allorché intenda
convivere con un partner quale che sia, che avrebbe bisogno e soprattutto
diritto di vivere – da minorenne - in realtà più gratificanti ed edificanti
degli orfanotrofi senza dover dipendere dal buon cuore di qualche assistente
sociale più illuminato, che avrebbe bisogno di vedere i soldi che paga di tasse
da cittadino spesi un po’ meglio di quanto non avvenga adesso da parte della
propria classe politica. Che continua a cedere tra l’altro ad uno stato estero,
il Vaticano, la propria prerogativa sovrana di potestà legislativa, e se ne
vanta pure.
«Padre, Padre….libera chiesa in
libero stato….» Furono le ultime parole sul letto di morte di Camillo Benso
Conte di Cavour, il primo presidente del consiglio della storia d’Italia. L’ultimo
pensiero del padre del Risorgimento prima di chiudere gli occhi per sempre fu
quello di lasciarsi dietro un paese che seguisse presto l’esempio dei grandi
stati liberali d’Europa, Francia e Gran Bretagna. Il suo ultimo e più giovane
successore, quel Matteo Renzi venuto su promettendo riforme a destra e a manca
e purtroppo attuandole, può vantarsi di una legge che forse avrebbe scontentato
perfino il cardinale Bellarmino, il boia di Giordano Bruno. Il quale si sarebbe
forse servito senza scrupoli di un Denis Verdini, ma difficilmente l’avrebbe
fatto sedere accanto a sé sugli scranni del Santo Uffizio.
Quanto ad Alfano, per definirlo abbiamo
terminato le immagini del bestiario. La nostra fantasia non arrivava a tanto. Che
la natura, la nostra disgraziata natura di italiani, faccia dunque il suo
corso.
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