Cronaca di un disastro
annunciato. La spedizione romana della Fiorentina nasceva sotto pessimi
auspici, non solo per il calendario assurdo che costringeva i viola a tornare
in campo a soli quattro giorni dalla splendida ma dispendiosa prova contro il
Napoli. La Roma, rigenerata da Spalletti e da un mercato di gennaio che in riva
all’Arno possiamo solo invidiare, è invece nel suo momento migliore, e non fa
mistero di puntare legittimamente più che al terzo posto della Fiorentina addirittura
al secondo del Napoli.
Poi c’è tutto ciò che si muove
fuori dal campo attorno alla società giallorossa e a quella viola. Alla vigilia
arriva la sentenza sul ricorso di Viale Manfredo Fanti sulla squalifica a
Zarate. Confermati i tre giorni, con argomentazioni che avrebbero fatto la
gioia dei legulei medioevali che tentavano di stabilire il sesso degli angeli o
la differenza tra l’anima della donna e quella dell’uomo. Perisic nel frattempo
fa di ben peggio di Zarate in Inter – Juventus, ma evidentemente è soggetto ad
altra giurisdizione e non va oltre un cartellino giallo.
In compenso, niente di nuovo all’orizzonte
per quanto riguarda il caso Salah. Il tribunale europeo ha rinviato la
decisione a data da destinarsi, probabilmente a quando i protagonisti saranno
vecchi e decrepiti, e la questione si sarà risolta da sola. Nel frattempo, il
Messi delle Piramidi può giocare dove vuole, e figuriamoci se non fa danni a
una difesa come quella viola, le cui maglie della rete sembrano allargarsi
sempre di più ad ogni partita come in ossequio a qualche normativa europea.
La Fiorentina scende in campo all’Olimpico
con la giusta spavalderia, determinata a dimostrare che tra lei e l’avversaria
capitolina non è la seconda a giocare meglio a pallone quest’anno. Ma come il
Settimo Cavalleria di Custer, la sua è una impresa disperata e basta un niente
a farla fallire. Come già con il Napoli, si prosegue in pratica la partita dell’andata:
Fiorentina che parte a spron battuto mettendo indietro la Roma, la quale però
segna con facilità irrisoria (quella di Salah) alla prima occasione e dopo si
limita ad attendere i frastornati avversari e ad affettarli in contropiede senza
pietà.
Roma per i viola è l’ambito
prediletto di applicazione della celebre Legge di Murphy: se qualcosa può andar
male, lo farà. Va male tutto ai ragazzi di Paulo Sousa, che già se la sente
scivolare nel pre-partita preferendo chiamare fuori Milan Badelj e mettere
dentro Tino Costa, in ossequio al principio che meglio un ciuco sano di un
cavallo di razza stanco. Anche Tello per qualche motivo non lo convince, e si
sistema in panchina, mentre dalla sua parte ritorna un poco convinto
Bernardeschi. Dietro Roncaglia, a fianco di Gonzalo e di un Astori
comprensibilmente desideroso di una rivincita che non arriverà. Davanti i due
IC, Kalinic e Ilicic: palle giocabili pochissime, palle giocate zero. Anzi no, un
colpo di testa di Kalinic che in realtà non esiste e non va a referto, un tiro
di Ilicic che meriterebbe miglior sorte appena prima dell’inizio della grandine
giallorossa.
Per venti minuti la Fiorentina
illude i suoi tifosi, e mette apprensione a quelli della Roma. Che stanno
vivendo tra l’altro un momento particolare, combattuti tra il desiderio di
assecondare il cavallo di ritorno Spalletti nel suo programma di recupero di
posizioni più consone alla recente tradizione giallorossa (ed al bilancio
societario, che per le note vicende non può prescindere dalla partecipazione
alla Champion’s) e la ragione del cuore, senza se e senza ma. Quella ragione
che ha un nome solo, indiscutibile: Francesco Totti.
Va a finire che Francesco, da
vero core de Roma, si va a sedere in panchina senza ulteriori polemiche ed
aspetta sornione il suo momento. Quasi se la senta che i suoi compagni avranno
ragione presto di questa Fiorentina e renderanno possibile la sua ennesima
passerella, magari nella ripresa. Anche Spalletti è sornione, ha avuto ragione
di Fiorentine più forti in passato, magari anche la sua Roma del passato era
più forte.
Il discorso è che quando davanti
hai Mohamed Salah gli schemi di gioco diventano un dettaglio. L’egiziano è
incontenibile, per chi lo deve marcare come per chi gli deve far sottoscrivere
un contratto. Roncaglia fa quello che può, ma quando parte regolarmente sul filo
del fuorigioco – quasi una reincarnazione all’ennesima potenza di Pippo Inzaghi
– fermarlo è una lotteria. Va bene una prima volta, la seconda no.
L’arbitro è toscano, il sig. Massimiliano
Irrati di Pistoia e non arbitrerebbe nemmeno malaccio, almeno finché non
consente a Miralem Pjanic di amputare quasi un piede a Borja Valero. La partita
dello spagnolo finisce lì, quella del bosniaco continua imperterrita. Poco
prima uno splendido colpo di testa di Kalinic è stato vanificato dalla parata
di Szczęsny, ma soprattutto dalla bandierina del guardalinee, che lo coglie in
fuorigioco infinitesimale. Altrettanto varrebbe per Salah quando parte sulla
destra al 22’, ma nessuna bandierina si alza e l’egiziano può mettere in mezzo
per El Shaarawy, liberissimo. Tatarusanu è fresco di miracolo su Higuain, ma
sul tocco dell’italo – egiziano ex Milan non può niente.
Cala il sipario sulla speranza
viola di far partita a Roma. Da quel momento la salita da scalare diventa
ripida come quella del Pordoi al giro d’Italia. A conferma della Legge di
Murphy, non si fa in tempo a rammaricarsi per la svista arbitrale e per essersi
fatti prendere di contropiede come polli, che Salah è di nuovo al tiro.
Stavolta tocca ad Astori, proprio a lui, farsi carico di rievocare la Nemesi,
il destino avverso che coglie sempre la Fiorentina quando gioca a Roma. La sua
deviazione rende la parabola beffarda, mandandola ad insaccarsi alle spalle di
Tatarusanu. 2-0, dopo soli 2 minuti, 24 complessivi, per la Fiorentina è notte
fonda.
Esce Borja Valero per quel Tello
che forse avrebbe dovuto partire fin dall’inizio. Non si fa in tempo a
prenderne atto che si ferma anche Vecino. Contrattura, tempi di recupero non
brevi, inventare un centrocampo nelle prossime partite per Paulo Sousa sarà
come risolvere il Cubo di Rubik. Ma oggi non c’è tempo di piangere. Va via El
Shaarawy per non essere da meno di Salah, mette al centro e Perotti gli segna
una terza rete in fotocopia della sua. Tre gol, segnati da tre giocatori che
secondo certa stampa bene informata erano tre obbiettivi di mercato della
Fiorentina. Tre gol che fanno la differenza – stasera abissale – tra il terzo
ed il quarto posto. E non aggiungiamo altro per carità di patria, e di società.
Si salva solo Tello, che essendo
giovane e spagnolo non sa nulla del male oscuro che coglie sempre la Fiorentina
quando gioca con la Roma, o i Della Valle quando si affacciano alla zona
Champion’s. Uno dei suoi spunti alla Joaquin vale un calcio di rigore per la
falciata di Digne. Irrati stavolta non ha dubbi e accorda. Ilicic, che almeno
da fermo quest’anno è ineccepibile, trasforma.
La ripresa della Fiorentina è un
tiro di Roncaglia che esce di un niente, confermando che gli Dei da queste
parti non amano gli audaci, ma nemmeno gli sprovveduti. Poi va via di nuovo
Salah, e il 4-1 tra le gambe di Tatarusanu appare una beffa eccessiva, quanto è
più di uno dei Tweet del suo procuratore.
A un quarto d’ora dalla fine, con
la Fiorentina stordita come un pugile che ha incassato troppi pugni, Roma si
alza in piedi. Entra Francesco Totti. Da quel momento i suoi compagni cercano
solo di regalargli – e regalare alla platea estasiata – quel gol che
chiuderebbe un paio di settimane difficili per Roma e i romanisti e
consacrerebbe ulteriormente la leggenda dell’ottavo Re di Roma. Il Pupone ci va
vicinissimo su punizione, scheggiando il palo. Cinque gol sarebbero forse
troppi per una squadra, quella viola, che ha fatto miracoli ad arrivare fin qui
con gli uomini contati, e che adesso fatalmente deve lasciare il passo a chi ha
la panchina più lunga e le energie più fresche.
Due notazioni finali. Del
Bernardeschi che caparbiamente si danna l’anima a cercare soluzioni personali
per tutto il secondo tempo a volte ignorando compagni apparentemente meglio
piazzati si può pensare ciò che si vuole, ma un giocatore così non resterà a
lungo ad intristirsi in un ambiente dove il talento serve solo a fare
plusvalenza. E quando come El Shaarawy lo vedremo in una squadra che sa
valorizzare la sua classe, allora sì che sarà troppo tardi per rammaricarsi,
altro che per le paturnie di Andrea Della Valle.
La seconda annotazione riguarda
la società. Anzi, in ultima analisi preferiamo non farla neanche. Dopo il 1982,
siamo stati due volte in testa alla classifica. Una volta fu comprato di
rinforzo Ficini, una volta Kone e Benalouane. Con il dovuto rispetto, Befani e
Baglini si rivoltano nella tomba.
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