Verrebbe quasi da dire
che la cosa che funziona meglio del nostro sistema politico, quella che non ha
bisogno di essere sicuramente riformata, è la giornata di silenzio elettorale.
La fine degli urli e delle promesse, degli insulti e dello scatenamento delle
piazze più o meno ruggenti rappresenta sempre quel momento impagabile in cui l’elettore
– ma vorremmo dire piuttosto l’essere umano – resta solo con se stesso, nel
chiuso ed al riparo della propria coscienza. Un momento che purtroppo dura
soltanto un giorno. Un giorno che a volte, come adesso, vorremmo durasse per
sempre.
Diceva Mark Twain, se votare servisse a cambiare qualcosa, è
sicuro che non ce lo lascerebbero fare. Detto da un americano (tra i più
brillanti e sagaci, tra l’altro) vissuto a cavallo del secolo americano, è un
aforisma che fa riflettere. Le urla si sono appena acquietate, da domani
riprenderanno gli exit poll, le analisi “a caldo”, le proiezioni, le prime
dichiarazioni dei vincitori (tutti) e degli sconfitti (nessuno). Da martedi, business as usual, qualcuno rivorrà
indietro gli 80 euro elargiti in fretta e furia, qualcuno avvierà i processi
popolari sulla “rete”, qualcuno chiederà nuove elezioni o farà appello al senso
di responsabilità delle forze politiche e – già che ci siamo – di tutti i
cittadini.
E’ la democrazia, bellezze. Quel
sistema che Winston Churchill definì “pessimo, ma tuttavia il meno peggiore tra
quanti elaborati dalla razza umana per governarsi”. E’ un film già visto e
rivisto tante volte, ma che non si può fare a meno di rivedere. Chiedere a chi
vedeva film molto peggiori, e per di più in bianco e nero. Il 25 aprile è
passato da poco.
E allora perché questo
scoramento, questa disaffezione, questo montare della marea degli scontenti? A
quanto arriverà domani sera l’astensionismo? E l’antieuropeismo? Già, si vota
per la più discreditata delle istituzioni planetarie in questo anno di grazia
2014, il Parlamento Europeo. Si vota pro o contro una moneta, l’Euro, che è
diventata il simbolo di tutto quanto è malvagio nella nostra società e nella
nostra economia continentale. Sembra quasi di essere tornati ai tempi delle
monarchie costituzionali, quando per salvare la testa al re si decapitavano i
suoi ministri. Per salvare una casta che comunque continuerà a prosperare, a
bivaccare in quel di Bruxelles producendo normative e direttive sempre più
allucinanti, ce la prendiamo con la moneta che quindici anni fa sembrava il
biglietto vincente della lotteria. Eravamo allucinati allora, o lo siamo
adesso? O lo siamo sempre stati?
L’anno numero 14 è sempre
critico. Un secolo fa entrò in crisi un mondo in cui grandi ricchezze si
confrontavano con povertà sempre più abissali, caste “nobiliari” si guardavano
in cagnesco con “plebi” sempre più affamate, assetti territoriali venivano
messi in discussione da aspirazioni di indipendenza o di mutamento comunque di
confini e di aggregazioni, i tedeschi erano mal visti a causa di una politica
estremamente aggressiva, anglosassoni e francesi erano stati miopi fino a quel
momento ed eccessivamente fiduciosi nella propria forza “imperiale”, mercati
fino a poco tempo prima lontani facevano sentire le conseguenze della loro
turbolenza e – anche qui – aggressività, la Russia era sull’orlo di un
sommovimento di proporzioni epocali. Nel giro di pochi giorni, dopo un lungo accumular
di tensione, tutto precipitò, e fu quella che il Papa avrebbe chiamato “l’inutile
strage”. Di proporzioni colossali. La Prima Guerra Mondiale.
Siamo nel 2014 e sembra di
leggere la descrizione del mondo attuale. Con in più gli effetti della
globalizzazione, della asiatizzazione, degli sbarchi a Lampedusa. Per questo si
vota oggi, non per Renzi, né per Grillo né per Berlusconi. I quali hanno smesso
ieri sera di arringare piazze che chiedono sempre più a gran voce quei processi
popolari su cui si sta scherzando amabilmente sopra a proposito del comico
genovese e della sua Rete, ma di cui in realtà c’è una gran voglia diffusa. C’è
voglia di individuare il nemico, “etnico” o “di classe”, e poi di scatenargli
contro la furia di quella belva che nella storia ritorna a intervalli regolari.
Dopo il 1914 e la trageda della
guerra, venne un biennio rosso e poi uno nero. In Italia anche allora c’era chi
prometteva una normalizzazione, un Giolitti che cercava di salvare il vecchio
sistema come oggi Berlusconi, dei giovani dirigenti socialisti o popolari che
cercavano di riformarlo se possibile come oggi Renzi, e un guitto prestato alla
politica che aveva capito prima e meglio degli altri che l sistema poteva crollare
facilmente, bastava una spallata. Si chiamava Gabriele D’Annunzio, oggi Beppe
Grillo. Non aveva un programma politico, dopo il crollo del sistema qualcosa
sarebbe venuto, qualcosa uscito dalla fantasia, dalla creatività dei tempi
nuovi, perché darsi pena prima del tempo?
Gabriele D'Annunzio e Benito Mussolini |
Allora il guitto servì ad aprire
la strada a chi poi faceva sul serio, e il suo programma ce l’aveva chiaro e
dettagliato fino in fondo. Gli strumenti messi a punto da D’Annunzio servirono
alla perfezione a Benito Mussolini, e il resto é storia nota.
E’ il giorno del silenzio, e le
contraddizioni di tutto quanto abbiamo sentito urlare e di tutto quello che non
abbiamo sentito dire risuonano più forte che mai, in questo silenzio. Difficile
dire se avesse ragione Mark Twain, se votare serve a qualcosa. La storia del
Ventesimo Secolo una cosa però ce la dice: i più grandi disastri sono stati
fatti proprio con il voto liberamente esercitato dai cittadini. Poi, rimediare
è tutt’altra questione.
Nessun commento:
Posta un commento