4 ottobre 2012
Mentre a Suzuka Michael
Schumacher sta tenendo la conferenza stampa con cui annuncia il suo ritiro
definitivo dalle corse alla fine di questa stagione, sono tante le immagini che
tornano alla mente. Per chi ha il cuore rosso Ferrari, Schumi è e resterà
sempre il più grande, in una galleria di grandissimi.
L’uomo della rinascita, voluto
a Maranello personalmente dall’Avvocato Agnelli per riportare alla vittoria nel
campionato del mondo di Formula 1 la scuderia del Cavallino dopo vent’anni di
amarezze, si presentò ai cancelli di Maranello una mattina dell’inverno 1995.
Aveva appena vinto il secondo mondiale consecutivo con la Benetton, allora
gestita da Flavio Briatore, un altro che come l’Avvocato di piloti se ne
intendeva, e che all’Avvocato non aveva saputo, o voluto dire di no.
Il ragazzo nato e cresciuto a
Kerpen, vicino alla frontiera tedesca con il Belgio, dove il padre gestiva un autodromo
di kart e dove aveva imparato ad andare più veloce di tutti, aveva vinto
nel 1994 di un’incollatura su Damon Hill della Williams, con il quale nell’ultima
corsa - sempre a Suzuka - aveva fatto a sportellate mantenendo il vantaggio
grazie all’incidente che li mise fuori gara tutti e due (nella migliore
tradizione dai tempi di Prost e Senna).
Era l’anno in cui l’automobilismo
aveva perso il suo mito, Ayrton Senna, morto a Imola il 1° maggio, ed era
disperatamente in cerca di un erede. Lo trovò in questo tedesco di poche
parole, che alla prima occasione fece centro, e si ripeté l’anno dopo questa
volta con ampio distacco.
Una volta alla Ferrari,
Michael si trovò a dover risollevare sia dal punto di vista morale che tecnico
una scuderia piegata da anni di batoste. Insieme a lui, altri due fuoriclasse
nel loro genere, Jean Todt e Ross Brown, a poco a poco misero a punto una
macchina in grado di assecondare un pilota veloce e freddo (quasi sempre) come
non se ne vedevano dai tempi di Niki Lauda, anche lui a suo tempo uomo del
destino della rossa. La vittoria a Barcellona sul bagnato e poi a Monza,
dove i ferraristi soccombevano da anni, portarono subito il campione tedesco
nel cuore dei tifosi.
Mancava solo la vittoria
mondiale, e dovette aspettare altri quattro anni. Nel 1997, il destino risarcì
la famiglia Villeneuve dando a Jacques quello che non era stato concesso a Gilles,
vincere e anche sopravvivere per raccontarlo, e in qualche modo i tifosi della
Ferrari se ne fecero una ragione. Per quanto avevano voluto bene al padre
accettarono la vittoria del figlio, forse ancora di più per una intemperanza di
Schumi che all’ultima gara, nel sorpasso decisivo, dimostrò di non essere
sempre così freddo come voleva la leggenda.
Negli anni successivi, l’errore
di Spa con il tamponamento sul bagnato di un Coulthard già doppiato e l’incidente
di Silverstone dove la Ferrari ruppe i freni e Michael ci rimise per fortuna
solo una gamba, dettero la vittoria alla McLaren di Hakkinen, che si presentava
come un avversario temibile anche nell’anno 2000. Ma a quel punto la macchina
rossa ed il campione tedesco erano diventati un tutt’uno. Michael non sbagliò
nulla, la Ferrari nemmeno, il mondiale fu vinto a Monza, in casa, con due
giornate di anticipo. Ce lo ricordiamo tutti il tedesco (quasi sempre) di
ghiaccio con indosso la parrucca rossa a fare baldoria per festeggiare una vittoria
attesa vent’anni da tutta l’Italia dei motori.
Per quattro anni, dal 2001 al
2004, fu solo questione poi di capire con quanto anticipo Schumacher avrebbe rivinto
il mondiale. Il suo record, sette titoli di cui i 5 con la rossa consecutivi,
sarà difficilmente battibile, se non ci riuscirà il suo erede Fernando Alonso,
l’uomo che – grazie al solito Briatore, stavolta in Renault – lo spodestò nel
2005 e poi anche nel 2006, grazie anche a un motore Ferrari traditore nella
penultima corsa, sempre nella fatale Suzuka. Sazio di vittorie e forse
consapevole di avere incontrato un altro se stesso, in quel ragazzo nato molto
più a sud, nelle Asturie spagnole, che gli aveva tenuto testa vittoriosamente,
Michael fece un figurone, andando a ringraziare comunque i suoi meccanici tutti
dal primo all’ultimo e annunciando il suo ritiro alla fine di quella stagione.
Rimase come uomo immagine e consigliere
della Ferrari negli anni successivi, il primo vittorioso di Raikkonen e gli
altri in cui Felipe Massa cercò la vittoria prima e la guarigione poi da un
brutto incidente. Nel 2009, interpellato sulla sua disponibilità a sostituire
il brasiliano infortunato, non fu disponibile causa quel mal di schiena che è
sempre stato il suo tallone di Achille e il motivo del suo lungo rapporto con
il fisioterapista Balbir Singh. Nel frattempo, forse, si era già fatta sentire
all’uscio di casa sua anche la Mercedes, decisa a ritornare nel mondo delle
corse in proprio e non più in sodalizio con
una chiacchieratissima McLaren.
L’annuncio bomba del ritorno
di Michael alle corse nel 2010 alla guida di una monoposto della casa di Stoccarda
movimentò il mondo della Formula 1 forse più di quello del passaggio di
Fernando Alonso alla Ferrari. I cui tifosi si divisero tra quelli che non
potevano ignorare i battiti del loro cuore e quelli che si sentirono traditi.
Ma Schumi aveva ignorato il noto proverbio secondo cui gli eroi muoiono
giovani (nel suo caso, per fortuna, solo metaforicamente). Sfidare la sorte
che gli aveva dato così tanto per tentare un secondo miracolo, far rinascere la
Mercedes dopo averlo fatto con la Ferrari, non si dimostrò pagante. In tre anni
la Mercedes ha avuto risultati paragonabili a quelli della Toro Rosso e della
Force India, e vedere Schumi tamponare come un pivellino il francese Verne a
Singapore per colpa di freni che non funzionano è stato un momento molto
triste. Forse Schumi ha capito lì che il destino non paga due volte, e che è
bene che la gente si ricordi dell’altra sua vita, quella in cui lui era il
numero uno.
La conferenza stampa nel
frattempo è finita. Michael ha fatto gli auguri al suo successore, quel Lewis Hamilton
strappato a sorpresa all’ex partner McLaren che l’aveva cresciuto ma che non lo
fa vincere più. In testa al mondiale c’è il tedesco di Spagna Fernando
Alonso. E’ ora di godersi la sua splendida famiglia, e i continui ritorni ad un
Albo d’Oro – nei prossimi anni – che non sarà modificato tanto presto, almeno
per quello che riguarda il vertice.
Auf wiedersen,
Michael. Du bist am moisten grossen. Sei stato il più
grande. Con Fernando la tua rossa è in buone mani.
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