La scena è quella ormai vista e
rivista più volte, quella dell’arresto del “mostro” e del suo trasferimento in
carcere, tra le urla e gli insulti della folla inferocita, i flash dei
fotografi e le parole spese a fiumi – e spesso a sproposito – dei programmi di
informazione e approfondimento-intrattenimento.
A tarda notte dell’8 dicembre,
dopo un lunghissimo interrogatorio, i giudici inquirenti decidono il fermo
della sig.ra Veronica Panarello, madre del piccolo Loris, la povera vittima di
otto anni trovata morta il 29 novembre in un canale nei pressi del Mulino Vecchio
a Santa Croce Camerina, in provincia di Ragusa. Il bambino è stato ucciso,
l’autopsia non ha lasciato dubbi, e l’unica persona che può ricostruirne in
qualche modo le ultime ore di vita è appunto la madre, che sostiene di averlo
lasciato nei pressi della scuola.
Ma la versione della donna viene
ben presto messa in discussione dagli inquirenti, tante e tali risultano essere
le contraddizioni con quanto rilevato nel corso delle indagini. In soli nove
giorni la Procura di Catania acquisisce indizi tali da poter disporre l’arresto
della madre di Loris e da poter dichiarare praticamente il caso chiuso, da un
punto di vista strettamente investigativo. Già, perché a questo punto a norma
del nostro ordinamento comincia la fase della convalida dell’arresto, dell’incriminazione,
del rinvio a giudizio e del processo, una fase estremamente lunga e complessa,
in cui solitamente in Italia tutto finisce per complicarsi, quello che sembrava
semplice, chiaro, risolto, in realtà non lo è più e il “ragionevole dubbio”
finisce per insinuarsi nelle coscienze di tutti.
Ma lasciamo la magistratura e le
forze dell’ordine al loro lavoro, con la speranza che stavolta il risultato
finale sia più confortante (per quanto può esserlo accertare la verità
giudiziaria circa un delitto efferato come quello commesso ai danni del piccolo
Loris Stival) non soltanto per loro ma anche e soprattutto per noi cittadini.
Quello che interessa in questo momento è rilevare come una volta di più insieme
alla macchina giudiziaria si sia messa in moto quella che vorremmo ancora
continuare a chiamare dell’informazione, e che invece ormai possiamo far
rientrare mestamente in quella del puro e semplice show business.
Lo spettacolo della “vita in diretta”,
così definibile dal nome di una delle tante trasmissioni che in questi anni
hanno invaso le nostre case – volenti o nolenti – con le immagini dei drammi
più atroci e dei delitti più infami sottolineate e commentate con discorsi e
toni da talk show salottiero, ha
preso subito il via a reti praticamente unificate. Gli attori di questo
spettacolo, in studio e sul campo, tutti al loro posto come statuine del
Presepio. Analisi e commenti tutti sulla falsariga del fiume di parole che
scorre ormai inarrestabile dai tempi di Garlasco, Avetrana, Brembate, e più
ancora indietro nel tempo.
Dai giorni di Girolimoni è
passato quasi un secolo, ma certe cose non cambiano, si adeguano solo ai nuovi
mezzi tecnologici. Il “mostro” è di nuovo in prima pagina, l’audience si
impenna e l’intrattenimento è assicurato. E pazienza se alla fine di questi
rituali collettivi a telecamere accese qualcuno – non tutti, e neanche forse i
più - si accorge che da una le vittime
rimaste a terra sono diventate due. La prima quella povera creatura di otto
anni, di cui forse non sapremo mai (e forse è un bene) di quali sofferenze sono
stati costellati i suoi pochi anni appunto trascorsi su questa terra, ed in
particolare le ultime atroci ore. La seconda quella nostra coscienza di
cittadini e quella nostra cultura giuridica che hanno agonizzato per anni e che
ora sono arrivati praticamente alla frutta.
Volente o nolente, chi scrive
alla fine si imbatte come tutti nel programma di approfondimento (non c’era
praticamente altro in televisione ieri sera) e coglie alcune battute scambiate
tra cronisti, esperti, opinion leaders, intrattenitori e conduttori. Quanto
basta per capire che siamo davanti al ripetersi del solito dramma.
Dove l’avevamo visto l’ultima
volta? Ah, sì, a Brembate, a metà giugno, il “mostro” allora si chiamava
Bossetti, praticamente incastrato dal DNA per l’omicidio Gambirasio, questione
di poco tempo per metterlo in cella e buttare via la chiave. Allora fu il noto
conduttore di uno dei più importanti telegiornali italiani a leggere la
sentenza in apertura di trasmissione, sembrando rendere superfluo il successivo
– e a quanto pare arduo – lavoro di magistrati inquirenti e giudicanti. A sei
mesi dal fermo, non esiste ancora alcun riscontro oggettivo della colpevolezza
di Bossetti (che fu “arrestato”, ma non “fermato”, c’è differenza, anche se
incomprensibile ai più di coloro che vivono sotto il cielo di questo paese),
che è tutt’ora in carcere ma non più vicino di sei mesi fa a vedersi confermare
la propria colpevolezza da prove e riscontri oggettivi. Inutile dire che anche
il popolare conduttore è ancora alla guida del suo telegiornale, per non
parlare del Ministro dell’Interno che sbandierò euforicamente ai quattro venti
l’arresto del mostro di giornata.
Stavolta non si tratta di un TG,
ma di un programma di approfondimento. Il nome non serve, è stato visto comunque
da tanta gente, e poi uno vale francamente l’altro. Cioè poco. Lo schema è lo
stesso, il conduttore alterna sapientemente gli ingredienti della suspence, dando ora la linea agli
esperti in studio oppure ai colleghi sul campo. I criminologi presenti provano
a contestare il castello accusatorio in ragione dei numerosi particolari della
vicenda ancora non chiariti e invitano alla cautela, ma vengono ben presto
travolti dalla marea montante della indignazione popolare. Non solo quella
espressa dalle urla di sottofondo ascoltate mentre scorrono le immagini
dell’arresto della Panarello tra due ali di folla che non mancano mai. Se la
rabbia popolare si può capire almeno a livello viscerale, un po’ meno
comprensibile infatti è la giornalista navigata e di gran fama che se ne fa
interprete e si autonomina giudice: “non ci sono attenuanti, non posso
perdonarla, non lo farò mai”.
Ecco fatto, giudice, giuria e
boia. Si può risparmiare il processo. In compenso questa trasmissione avrà
tante repliche, perché la tigre della rabbia della gente alimentata da dolore e
paura da un lato e dalla pressoché totale ignoranza di qualsiasi nozione
giuridica dall’altro va cavalcata fino in fondo. E’ uno sporco – e remunerativo
– lavoro, e qualcuno deve pur farlo. Ma non è tutto, linea all’inviato, che
legge il decreto di fermo. Stavolta chi ha disposto l’arresto dell’indiziato di
reato ha inteso prevenire la fuga di notizie che sempre si accompagna al lavoro
delle nostre autorità da che queste esistono. Nel modo più semplice, inserendo
il testo di alcune intercettazioni telefoniche nello stesso decreto, poi
diffuso alla stampa.
Lo abbiamo già scritto in
passato, ci hanno rovinato – oltre agli studi compiuti in un’epoca in cui c’era
ancora meno “relativismo culturale” e più rispetto per le materie che si
insegnavano e studiavano rispettivamente – i troppi telefilm americani visti. Law and Order, quegli ambienti asettici
dove l’arrestato è innocente fino a prova contraria, la colpevolezza viene
stabilita dalle prove, le prove si formano in un giudizio legalmente allestito
nell’apposito tribunale, la sentenza viene emessa da una giuria popolare
composta di dodici pari dell’imputato. E qualunque infrazione al codice – o
anche una sua semplice cattiva interpretazione – costa all’accusa, cioè allo
Stato, cioè a noi, non solo la perdita dell’azione intentata all’imputato ma
anche una probabile responsabilità civile, se non addirittura penale.
Ieri sera, come già in passato,
non c’era quasi nessuno a ricordare al popolo italiano seduto in poltrona la
semplice verità che tuttavia ci distingue ancora per poco dalle bestie: che
Veronica Panarello, ci stia simpatica e ci risulti credibile o meno, è
innocente fino a prova contraria; che nessuno doveva fare quei discorsi e quei
commenti, mostrare quelle immagini e leggere quelle risultanze di indagine in
pubblico.
Dentro le nostre coscienze di
spettatori ex-cittadini, lo spettacolo della vita e della morte in diretta ha
fatto una nuova vittima che verrà tumulata insieme alla salma del piccolo
Loris: la giustizia, che comunque vada a finire anche questa ennesima indagine
ormai in Italia non ha più nessuna credibilità.
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